Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo. In pianura padana si assiste a cambiamenti sostanziali, frutto di una consapevole gestione delle risorse, attraverso modalità di alimentazione sostenibile legate anche ad un consumo appropriato degli alimenti. Sono i temi trattati dal progetto PNRR La civiltà contadina: le origini di un’agricoltura sostenibile, noto anche con l’abbreviazione Onfoods in prehistory (vedi anche la nota in calce alla pagina).
Alimentazione nelle comunità nell’Età del Bronzo
Le comunità dell’Età del Bronzo necessitavano di un discreto apporto calorico per sopravvivere e svolgere le attività legate al sostentamento del villaggio (disboscamento, cura dei campi e degli animali, manutenzione delle capanne, realizzazione di strumenti e manufatti ecc.).
Dovevano quindi ottenere risorse necessarie da consumare nell’immediato, al pari di un surplus da accantonare per l’anno successivo. Gli studi hanno dimostrato come la dieta di queste comunità fosse prevalentemente a base cerealicola, che si è stimato costituisse circa il 70% dell’alimentazione.
Tra i cereali venivano coltivati soprattutto orzo (Hordeum vulgare L. ) e diverse specie di frumenti quali il piccolo farro (Triticum monococcum L.), il farro (Triticum dicoccum), il farro grande (Triticum spelta L.), il frumento vestito (Triticum timopheevi Zhuk.) e svestito (Triticum aestivum/ durum).
In questo periodo, però, si è diffusa anche la coltivazione di cereali a chicco piccolo, come miglio (Panicum miliaceum) e panìco (Setaria italica), seminati in primavera per integrare o alternare le coltivazioni principali, nonchè di segale (Secale cereale) e avena (Avena sativa). L’alta concentrazione di miglio nel record archeologico di alcuni insediamenti, come quello di Via Ordiere a Solarolo (RA), ha consentito di ipotizzarne un impiego non solo come foraggio per il bestiame, ma anche come parte integrante della dieta delle comunità stesse.
Le leguminose costituivano un altro elemento essenziale sia nella dieta sia nella gestione dei terreni. Le analisi archeobotaniche attestano la presenza di pisello (Pisum sativum L.), lenticchia (Lens culinaris), ervo (Vìcia ervilia), cicerchia (Lathyrus cicera-sativus), veccia (Vìcia sativa agg.) e fava (Vicia faba minor). I legumi rappresentavano un’ottima integrazione all’alimentazione delle comunità, in quanto fornivano proteine vegetali e aminoacidi complementari a quelli dei cereali. Inoltre, apportavano azoto ai terreni in cui erano coltivati, risultando così in grado di riequilibrarne le sostanze nutritive. Questa loro caratteristica ha permesso di ipotizzare un impiego delle leguminose in un sistema di rotazione ed alternanza delle colture che consentisse di mantenere la produttività dei campi.
Un ulteriore elemento integrativo della dieta di questi gruppi umani era sicuramente rappresentato dalla raccolta di frutti spontanei, con particolare attenzione, soprattutto in una prima fase dell’età del Bronzo, per il corniolo (Cornus mas). Inoltre, erano attestate anche ghiande, nocciole, mele, fichi, susine, pere, ciliegie, more, fragole, lamponi, alkekengi, sambuchi e, in alcuni abitati lacustri, la castagna d’acqua.
L’allevamento integrava, insieme all’agricoltura, la base della sussistenza delle comunità. Le indagini archeozoologiche hanno permesso l’identificazione degli animali attestati nei villaggi dell’epoca. Bovini, caprovini e maiali costituivano le principali fonti di proteine, anche se venivano sfruttati per prodotti secondari, come la forza lavoro/da traino di carri o aratri, la lana ed il pellame, il latte. Lo studio del numero minimo di individui (N.M.I.), attraverso l’analisi ed il riconoscimento delle faune, ha permesso di stimare quanti capi di bestiame fossero presenti all’interno dei villaggi. I resti faunistici analizzati dall’insediamento di via Ordiere a Solarolo (RA) hanno messo in luce la presenza di 125 bovini, 208 tra capre e pecore e 133 maiali. Si tratta di un numero di animali piuttosto elevato, che richiedeva acqua e cibo per il mantenimento e, conseguentemente, un uso sostenibile ed una sapiente gestione delle risorse messe a disposizione dal territorio circostante il villaggio. Inoltre, l’analisi del sesso e la ricostruzione dell’età di abbattimento dei capi di bestiame hanno permesso di ipotizzare lo specifico uso di ognuno, come fonte proteica di carne o come fonte di prodotti secondari.
Un’altra disciplina essenziale nella ricostruzione della dieta, delle modalità di gestione delle risorse e di processamento dei cibi è, senza dubbio, l’archeologia sperimentale. Con coltivazioni sperimentali seguite nell’arco di diversi anni, essa ha permesso di stimare la produttività dei campi durante l’età del Bronzo. Il risultato? Un’elevata resa dei prodotti agricoli, stimata nel rapporto tra semina e raccolto di 1:20 o nella produzione di 14 quintali di prodotto per ettaro.
Si tratta di stime decisamente superiori rispetto a quanto riportato dalle fonti classiche, che permettono di affermare che queste comunità vivessero bene e fossero in salute, grazie ad una dieta variegata, un apporto calorico e proteico bilanciato ed un consumo delle risorse commisurato a quanto effettivamente richiesto dall’organismo.
Onfoods in prehistory: un ponte fra ricerca scientifica e comunità
Come ampiamente dimostrato dai dati sopra riportati, era necessario che il progetto avesse un taglio multidisciplinare, con il coinvolgimento di differenti discipline interconnesse all’archeologia come l’archeobotanica, l’archeozoologia, l’archeologia sperimentale, l’etnografia e le analisi fisiche e chimiche dei materiali.
Il progetto Onfoods in prehistory è stato un successo in virtù dell’applicazione di tutte queste discipline, che a loro volta hanno tratto giovamento da una mole di dati corposa già a disposizione del team e derivata da precedenti ricerche sul campo. Ciò ha permesso di concentrarsi su un altro elemento essenziale del progetto, la comunicazione e la divulgazione dei principi e dei valori fino ad ora evidenziati, raggiungendo un ulteriore risultato.
Obiettivo primario e motore delle scelte effettuate in questo campo era quello di creare un ponte fra la ricerca scientifica ed i suoi dati da un lato ed il vasto pubblico di non addetti ai lavori dall’altro. L’intera durata di Onfoods in prehistory è stata scandita da un ricco e variegato programma di attività educative, ludiche e coinvolgenti, al fine di promuovere una nuova riflessione critica e condivisa sui principi dell’educazione alimentare e della sostenibilità, riscoprendo un modello da far proprio e seguire nel presente e nel futuro.
Lo sforzo maggiore delle borsiste di ricerca Nicla Branchesi e Alice Zurzolo è stato rivolto ad una comunicazione diretta ed immediata, attraverso i social media più usati dagli utenti (Instagram e Facebook), pur con un differente approccio (in lingua inglese per Instagram e su una in italiano per Facebook). Sono state ideate, curate e pubblicate settimanalmente 4 rubriche: “OnFoods travels to…”, “Dig&dine”, “Cucinare nella preistoria” e “Chat Chews”. La prima è pensata per dare spazio alle iniziative aperte al pubblico organizzate dal team e come sede di contatti e collaborazioni con enti pubblici e realtà del territorio; la seconda, “Dig&dine” analizza i manufatti archeologici legati all’alimentazione ed istituisce un parallelo con gli strumenti della quotidianità odierna.
“Cucinare nella preistoria”, curata dalla ricercatrice ed esperta di alimentazione antica Florencia Inés Debandi, mira a rafforzare questo ponte fra scienza e comunità attraverso l’analisi di alcune delle risorse attestate nell’Età del Bronzo, suggerendo ricette che ne prevedano l’uso e stimolino la curiosità dei lettori attraverso la visita di musei e realtà territoriali. Infine, grande successo in questa comunicazione “a distanza” è ottenuto da “Chat Chews”, la rubrica dedicata alle interviste ad esperti di alimentazione, archeologia e discipline affini.

A tavola nell’età del Bronzo: attività di divulgazione al pubblico presso il Museo della Rocca dei Bentivoglio di Bazzano (BO)
Grazie al contributo più personale e diretto si riesce sicuramente ad arrivare meglio al pubblico, che può così trovare risposta a una serie di domande specifiche legate ai temi del progetto e non solo. Il gruppo di ricerca ha organizzato diverse attività indirizzate e aperte al pubblico: conferenze, attività di archeologia sperimentale dimostrativa presso il Parco Archeologico del Nuraghe di Tanca Manna (NU), il sito di Santa Maria Villiana (BO), il Museo della Rocca dei Bentivoglio a Bazzano (BO), lo Scout Park di Eboli (SA) in occasione del Sono Terra Festival e il Museo della Civiltà Contadina di Bentivoglio (BO), oltre ad attività didattiche indirizzate a scuole di ogni ordine e grado.
Infine, numerosi sforzi si sono concentrati sull’ideazione e la successiva elaborazione di un gioco da tavolo dedicato alla oculata gestione delle risorse necessarie per far prosperare il proprio villaggio dell’età del Bronzo. Colonna portante del gioco, dal titolo Il patto della preistoria. Prosperità e sostenibilità nel tuo villaggio dell’età del Bronzo, è il suo essere collaborativo, poiché collaborative erano le società terramaricole su cui esso stesso si basa. Il gioco è stato provato insieme agli studenti del corso di Preistoria e Protostoria, perfezionato insieme ai membri dell’associazione di giocatori La Contea e presentato al pubblico, riscuotendo non poco apprezzamento, in diverse occasioni di successo.

Presentazione del Gioco da tavolo “Il Patto della preistoria. Sostenibilità e prosperità nel tuo villaggio dell’età del Bronzo” in occasione della giornata dedicata al Progetto “Onfoods in Prehistory” presso il DISCI dell’università di Bologna
Il confronto con il mondo di oggi: idee per un’alimentazione sostenibile
La ricchezza e varietà delle attività proposte e il riscontro ottenuto in varia misura e modalità dai partecipanti ha permesso di ottenere certezze sul corretto svolgimento del progetto e sull’ottenimento degli obiettivi che si era sin da subito prefissato. La più chiara e precisa conoscenza delle tecniche di sfruttamento del terreno e della sapiente gestione delle risorse da esso fornite sono state veicolate a un pubblico sempre più vasto e curioso.
Elemento che ha certamente favorito la costruzione di quel ponte fra dimensione scientifica e dimensione sociale è, senza dubbio, il forte parallelismo fra un momento della preistoria antica e l’attualità della civiltà contadina: in quest’ultima, infatti, è possibile tuttora riscontrare un insieme di saperi che garantiscono produttività senza intaccare la fertilità del suolo. Oggi, invece, si è persa l’accortezza di evitare interventi e scelte che risulteranno in danni per l’ambiente.
Il recupero di questi antichi saperi e una profonda e consapevole educazione alimentare, attraverso la ricerca, lo studio e la divulgazione rappresentano senza dubbio il modo più efficace per lasciare alle generazioni future quanto ci hanno trasmesso le comunità di millenni fa in termini di alimentazione sostenibile.
Le ricerche e le attività descritte in questo articolo sono svolte all’interno del progetto PNRR “La civiltà contadina: le origini di un’agricoltura sostenibile” noto anche con l’abbreviazione “Onfoods in prehistory”, che si inserisce nel più ampio programma europeo ONFOODS – Research and Innovation Network on Food and Nutrition Sustainability, Safety and Security. Iniziato lo scorso maggio, con la direzione di Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna e la collaborazione di altri docenti e ricercatori dell’Università di Bologna (Marialetizia Carra, Claudio Cavazzuti, Antonio Curci, Florencia Ines Debandi, Nicla Branchesi, Sara Malavasi e Alice Zurzolo) e di diversi enti partner (il Comune di Solarolo (RA), l’Unione Romagna Faentina, il Comune di Valsamoggia (BO) e la Fondazione Rocca dei Bentivoglio), il progetto si fonda sulla convinzione che temi quali sostenibilità ed educazione alimentare debbano raggiungere un pubblico sempre più ampio.







