Ogni anno, la vita di milioni di persone viene sconvolta da conflitti armati e guerre. Il numero di stati coinvolti in conflitti armati nel 2023 era 52, tre in meno rispetto all’anno precedente. Nel 2023, quattro conflitti sono stati classificati come maggiori (con 10.000 o più vittime nello stesso anno): Ucraina, Palestina, Myanmar, Sudan. Nello stesso anno, 20 sono stati classificati come conflitti armati ad alta intensità (cioè che hanno causato tra 1.000 e 9.999 vittime): Nigeria, Burkina Faso e Repubblica Democratica del Congo, con oltre 8.000 morti ciascuno. L’Africa è la regione con il più alto numero di conflitti governativi all’anno. La maggior parte dei conflitti mondiali è concentrata in Asia e Africa e le forme più comuni sono le controversie territoriali e le guerre civili. La guerra è quindi un’emergenza sanitaria pubblica cronica per gran parte della popolazione mondiale.
I decessi e i feriti correlati ai conflitti contribuiscono in modo significativo al carico globale di malattie. L’impatto della guerra sui determinanti sociali e ambientali della salute è drammatico sia nell’immediato che nel tempo. La sua durata è sconosciuta e dipende da molti fattori, tra cui: le condizioni sociali ed economiche dei Paesi in guerra, lo stato di salute della popolazione prima della guerra, la durata e l’intensità del conflitto, gli aiuti forniti alle vittime durante e dopo la guerra, la capacità e la possibilità di ricostruire le aree devastate, la fiducia e, ove possibile, la partecipazione dell’intera comunità colpita dalla guerra.
Sebbene ogni contesto di guerra sia unico in termini di cause e di impatto sulla salute della popolazione colpita, gli effetti sulla salute e sulla mortalità di donne e bambini superano di gran lunga l’impatto su coloro che sono direttamente colpiti dalla violenza dei conflitti. La guerra colpisce i bambini in tutti i modi in cui colpisce gli adulti, ma anche in modi diversi (morte, ferite, disabilità, malattie, stupri e prostituzione per la sussistenza, sofferenza psicologica, impatto morale e spirituale, perdite sociali e culturali, bambini soldato), e i bambini sono sempre stati le vittime più vulnerabili e innocenti di qualsiasi conflitto moderno. Oltre 400 milioni di bambini, circa 1 su 5, vivono in Paesi in guerra o coinvolti in conflitti violenti. Garantire la salute dei bambini è quindi una responsabilità fondamentale per tutti prima e molto tempo dopo la fine di una guerra.
Anche i tempi e le modalità del ritorno alle condizioni prebelliche saranno quindi unici. Le urgenti esigenze dei bambini colpiti dalla guerra in luoghi come Gaza, Sudan, Siria, Ucraina e Yemen necessitano di una risposta in merito ai tempi necessari per la ripresa. Quali sono le tendenze nel tempo di specifici indicatori relativi alla salute dei bambini colpiti dalla guerra?
Quali gli esiti sulla salute?
Gli esiti sulla salute di una popolazione vittima di guerra durante il conflitto e quelli a ridosso della sua sospensione sono quelli acuti, quelli delle emergenze (prevalentemente: mortalità, disabilità fisiche, epidemie, malnutrizione) quelli osservati e descritti dalle varie fonti e agenzie internazionali. Dopo la guerra l’attenzione internazionale cala, sebbene i bisogni delle popolazioni coinvolte siano aumentate rispetto a periodo prebellico. Quanti anni sono necessari affinché la vita di una popolazione vittima di guerra torni ai livelli iniziali? Non si sa con certezza perché ancora scarsa è stata sinora l’attenzione in proposito.
Tante le variabili da considerare, ma monitorare nel tempo il ritorno alla vita precedente e il miglioramento delle condizioni di vita delle vittime di guerra non è mai stato contemplato negli accordi di pace.
I conflitti armati aumentano in modo significativo e persistente la mortalità infantile (il numero di decessi di bambini di età inferiore ai 5 anni ogni 1000 nati vivi nello stesso anno): un indicatore esplicativo della salute e del benessere dei bambini che viene spesso utilizzato come proxy della salute della popolazione nel tempo o tra popolazioni in un singolo momento. Inoltre ad alti tassi di mortalità infantile corrispondono valori più bassi della speranza di vita alla nascita, così che un protratto aumento della mortalità infantile nel tempo può cancellare un’intera generazione, in particolare in quelle popolazioni in cui le primipare sono giovani. L’indicatore mortalità infantile nei primi 5 anni di vita riflette una combinazione di fattori sociali, economici, biologici, ambientali e comportamentali e può essere utile non solo per misurare le tendenze, ma anche per progettare e monitorare interventi sulla salute dei bambini nelle aree post-conflitto. I recenti risultati della valutazione dell’andamento della mortalità infantile nel tempo e l’impatto dei conflitti sullo stato di salute nazionale in tre conflitti (Bosnia ed Erzegovina, Ruanda e Siria) con caratteristiche diverse (per cause etniche o politiche recenti o ancora in corso; per contesti geografici diversi; per valore di mortalità infantile nel 2023; per aspettative al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2030 – OSM; target 3.2) indicano che ci vuole tempo per raggiungere una normalizzazione e molto di più per registrare un miglioramento. I tre casi storici analizzati indicano che dopo la fase acuta di un conflitto armato, ci vogliono circa quindici anni per ripristinare, mantenere e riprendere il trend di miglioramento dei livelli di mortalità infantile nei primi 5 anni di vita rispetto a quelli precedenti al conflitto.
Questa indicazione è importante non solo per monitorare l’esito di un conflitto, ma anche per pianificare meglio gli interventi necessari a ripristinare e migliorare il benessere delle popolazioni vittime. La lezione del periodo post-genocidio del Ruanda è che è possibile ricostruire efficacemente il sistema sanitario (insieme ai sistemi sociali ed economici) con nuove politiche e politici interessati al bene pubblico in modo partecipativo. Ricostruzione, comprese infrastrutture, aiuti economici e alleanze politiche sono i termini presenti nei trattati postbellici, ma la ricostruzione psicofisica e identitaria di una popolazione non è legata a convenzioni internazionali, la si ottiene attraverso i diritti che le persone hanno riconquistato. Come la salute, il benessere è una risorsa per la vita quotidiana ed è determinato dalle condizioni sociali, economiche e ambientali. Il benessere comprende la qualità della vita e la capacità delle persone e delle società di contribuire al mondo con un senso di significato e scopo. È quindi una caratteristica oggettiva complessa di ogni società, ma i suoi valori e principi sono, o dovrebbero essere, universali. Si stima che 5,2 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiano principalmente per cause prevenibili e curabili. Per le popolazioni colpite dalla guerra, è la guerra stessa la causa principale di mortalità, disabilità e malattia. Tutti gli altri fattori sono comorbilità.
Come fare?
Le vittime delle guerre odierne sono civili, in maggioranza donne e bambini, come hanno dimostrato i recenti conflitti armati. Le forze armate russe hanno probabilmente subito circa 900.000 vittime (tra morti e feriti) dall’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio del 2022 a tutto il marzo 2025. Di questi, è probabile che tra 200.000 e 250.000 soldati russi siano stati uccisi, le maggiori perdite subite dalla Russia dalla Seconda Guerra Mondiale. Nello stesso periodo sono state 68.925 le vittime sul fronte ucraino, 62.439 i dispersi e 6.404 i militari catturati (L’attendibilità dei dati forniti dalle varie fonti è quanto mai precaria nel corso di una guerra, e anche al termine. Solo dopo anni si converge su stime “di riferimento”). Inoltre le condizioni in cui le persone nascono, crescono, lavorano, vivono e invecchiano vengono tragicamente stravolte nel corso di un conflitto.
La distruzione di case, scuole, ospedali, luoghi di lavoro minaccia la vita anche futura delle popolazioni vittime di guerra.
Secondo il ministero della Salute palestinese guidato da Hamas, nei 18 mesi trascorsi dall’inizio della guerra a Gaza sono state uccise almeno 51.266 persone; circa un terzo dei morti aveva meno di 18 anni. Si stima che un ulteriore 50% di questi decessi non sia stato ancora conteggiato a causa di situazioni in cui intere famiglie vengono uccise simultaneamente, senza che nessuno possa denunciare il decesso, o in cui un numero imprecisato di persone muore nel crollo di un grande edificio e viene sepolto senza passare attraverso un obitorio. Il piano arabo denominato “Gaza 2030”, che mira a emarginare Hamas e propone un eventuale controllo della Striscia assediata da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, prevede la necessità di 53 miliardi di dollari per la ricostruzione. Cifra resa pubblica da un rapporto congiunto ONU-UE-Banca Mondiale. Quindi un investimento economico: non solo quello della distruzione (armi, armamenti, scelte politiche ed economiche), ma anche la ricostruzione è fonte di guadagno e speculazione. Le orrende fantasticherie (non esclusivamente a fini mediatici) dello spostamento di massa dei 2 milioni di residenti della Striscia di Gaza proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per creare la Costa Azzurra o la Las Vegas del Medio Oriente ne sono testimonianza. Così come l’accaparramento americano delle terre rare ucraine a determinare la sospensione delle ostilità russe. Il diritto economico dei pochi per un inevaso diritto dei molti.
Come prevenire distruzione, morte, invalidità, povertà causate da un conflitto? Domanda difficile a cui rispondere, ma a cui ciascuno di noi, sia personalmente, sia come appartenente a una comunità (famigliare, religiosa, sociale, scientifica, locale, nazionale, internazionale) è tenuto ad adoperarsi per rispondere, condannando la disumanizzazione della guerra, degli atti di genocidio e di razzismo. Gli effetti del commercio di armi e dei conflitti armati sulla salute devono essere inclusi nel curriculum universitario degli studenti di medicina, in quanto rappresentano un importante problema di salute pubblica. Le organizzazioni dei medici hanno una lunga tradizione nell’affrontare questi problemi, come è il caso del contrasto alla minaccia della guerra nucleare.
Molte società scientifiche, sia a livello nazionale che internazionale, contemplano tra le proprie attività (alcune statutarie) la cooperazione con i Paesi a scarse risorse, la formazione del personale, la fornitura di materiale sanitario e anche la garanzia e disponibilità di interventi di emergenza in zone di conflitto. Scambio e condivisione delle conoscenze scientifiche, offerta di aiuto nel momento del bisogno, frutto di generosità e volontà, ma anche di programmazione e di mantenimento nel tempo.
La storia personale di molti italiani ha incrociato e percorso le strade della non violenza, dell’antimilitarismo, dell’obiezione di coscienza, della disubbidienza civile. “Ci sono cose da non fare mai: per esempio la guerra”. Altre invece da sostenere, promuovere sempre: per esempio la pace. La pace va insegnata in famiglia, a scuola, ovunque. Bisogna essere educati alla pace.