La storia della lebbra si intreccia da millenni con quella dell’umanità, alimentando timori, leggende e, purtroppo, pregiudizi. Per lungo tempo abbiamo pensato di conoscerne con certezza le origini e i percorsi di diffusione, soprattutto in relazione all’arrivo nelle Americhe, tradizionalmente attribuito ai colonizzatori europei. Tuttavia, negli ultimi anni nuove scoperte scientifiche hanno iniziato a mettere in discussione questo scenario. Ora, un recente studio internazionale offre una ricostruzione sorprendente e più complessa delle vicende evolutive della lebbra e dei suoi agenti patogeni.
Cos’è la lebbra
La lebbra, o morbo di Hansen, è una malattia infettiva cronica che colpisce prevalentemente la pelle, i nervi periferici, gli occhi e le mucose del tratto respiratorio superiore. Ha un lungo periodo di incubazione (fino a 5-20 anni) e si trasmette probabilmente tramite goccioline respiratorie, con contatti prolungati con persone infette.
È poco contagiosa e quasi il 90% delle persone è naturalmente immune ma, se non trattata, può causare danni neurologici permanenti, disabilità e, nei casi più gravi, è letale.
In passato era fonte di forte stigma sociale e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è scomparsa. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno vengono diagnosticati circa 200.000 nuovi casi nel mondo; le aree più colpite sono l’India, il Brasile e l’Indonesia, ma si registrano casi anche in altri Paesi tropicali dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Nei Paesi europei, tra cui l’Italia, la malattia è invece rarissima e si presenta quasi esclusivamente in persone provenienti da aree endemiche.
Grazie alla medicina moderna, la lebbra è oggi completamente curabile con una terapia a base di una combinazione di antibiotici (MDT – multidrug therapy), sovvenzionata tramite programmi sanitari internazionali.
I due tipi di lebbra
Per lungo tempo si è ritenuto che la lebbra fosse stata introdotta nelle Americhe esclusivamente dai colonizzatori europei, attraverso il batterio Mycobacterium leprae. Tuttavia, la scoperta nel 2008 da parte di Xiang-Yang Han e colleghi di un secondo agente patogeno, Mycobacterium lepromatosis, in due pazienti messicani, ha sollevato dubbi su questa visione.
In seguito, altri casi di questo patogeno sono stati identificati negli Stati Uniti, Canada, Brasile, Cuba, Singapore e Myanmar, con particolare concentrazione nelle Americhe, suggerendo che la lebbra fosse presente nel continente americano già prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo.
Un nuovo studio filogenetico
Per verificare questa ipotesi, un team internazionale guidato da N. Rascovan, dell’Istituto Pasteur di Parigi, in collaborazione con Han (il cui team aveva scoperto il secondo patogeno) e altri ricercatori, ha analizzato 389 campioni di DNA antico a partire da resti precolombiani e 408 campioni moderni, provenienti da tutto il continente americano. Lo studio mirava a verificare se M. lepromatosis fosse presente tra le popolazioni indigene precolombiane e a chiarirne storia evolutiva e distribuzione geografica: tramite il sequenziamento del DNA con tecniche avanzate e successive analisi filogenetiche, sono stati ricostruiti e messi a confronto i genomi dei due agenti patogeni responsabili della lebbra.
I ricercatori hanno così identificato M. lepromatosis in tre individui vissuti tra 860 e 1.310 anni fa: uno nell’attuale zona di confine tra Alaska e Canada e due lungo la costa sud-orientale dell’Argentina. Le analisi filogenetiche indicano che questi ceppi antichi appartenevano a cladi distinti da quelli dominanti oggi, suggerendo una diffusione ampia e rapida su scala continentale, già prima dell’arrivo degli europei.
Confrontando i dati moderni, è emerso che quasi tutti i ceppi attuali (soprattutto in Messico e Stati Uniti) sono quasi identici a quelli antichi, appartenenti a un singolo lignaggio dominante (PDDC – Present-Day Dominant Clade). Tuttavia, è stato identificato anche un ceppo raro e arcaico ancora in circolazione oggi, non presente nei reperti archeologici, suggerendo che almeno due varianti di M. lepromatosis infettino attualmente l’uomo in Nord America, accanto ai ceppi europei di M. leprae.
Nel complesso, lo studio ha rivelato cinque cladi principali di M. lepromatosis, quattro dei quali esclusivamente americani. Una delle linee evolutive, sviluppatasi circa 3.000 anni fa, è strettamente imparentata con il ceppo che oggi infetta gli scoiattoli rossi del Regno Unito e Irlanda, suggerendo una trasmissione di tipo zoonotico di origine americana.
Le analisi genetiche indicano anche che M. lepromatosis si è evoluto nelle Americhe per circa 10.000 anni, e che la divergenza con M. leprae risale a 720.000 anni fa (molto più recente rispetto ai 14 milioni di anni precedentemente ipotizzati), anche se l’area geografica della separazione rimane sconosciuta.
La lebbra che sfuggiva agli archeologi
Dal punto di vista clinico, M. lepromatosis si comporta in modo diverso da M. leprae: attacca i vasi sanguigni, soprattutto negli arti inferiori, e può causare necrosi, infezioni gravi e morte rapida, spesso prima che si formino segni scheletrici. Questo potrebbe spiegare l’apparente scarsità di resti archeologici con segni evidenti di lebbra nelle Americhe, rispetto a quelli europei o asiatici, che ha portato la comunità scientifica a ritenere per anni che la lebbra fosse arrivata nelle Americhe solo dopo la conquista da parte degli europei.
Una vecchia malattia, nuove sfide globali
Il nuovo studio rappresenta una svolta nella comprensione della storia della lebbra e obbliga il mondo della ricerca a rivedere le sue sicurezze sulla diffusione di questa malattia, che tanto impatto ha avuto nella storia della nostra specie.
Oltre al suo valore storico, la scoperta ha implicazioni cruciali per la salute pubblica. Lo studio, infatti, evidenzia lacune nel campionamento e una necessità urgente di ulteriori ricerche, inclusa la sorveglianza in regioni come l’Asia e l’America meridionale. La lebbra, infatti, è in riemersione in alcune regioni e l’aumento della resistenza agli antibiotici rischia di comprometterne il trattamento. Inoltre ci sono stati casi di trasmissioni di tipo zoonotico che hanno causato alcuni focolai negli Stati Uniti meridionali, collegati a infezioni da Mycobacterium leprae trasmesse da armadilli selvatici, che fungono da serbatoi naturali.
Un ulteriore problema, evidenziato dall’OMS, è che in molti Paesi a basso reddito, la lebbra resta sottodiagnosticata e gravata da forte stigmatizzazione sociale. Questo genera ritardi nella diagnosi e nel trattamento, con aumentato rischio di disabilità e trasmissione. Per questo motivo, sarà probabilmente necessario agire con urgenza in chiave di una sorveglianza globale e di una mappatura aggiornata dei ceppi circolanti, al fine di prevenirne la diffusione e affrontare efficacemente eventuali recrudescenze.