Progettare impianti eolici offshore in modo che nascano già per generare energia pulita e proteggere e ripristinare la biodiversità marina. È quanto propongono Christiaan J van Sluis e altri su Bioscience, tra cui Laura Airoldi del Gruppo2003 – che abbiamo sentito via email – che ha partecipato allo studio per la stazione idrobiologica di Chioggia “Umberto D’Ancona” (Università di Padova) e il National Biodiversity Future Center di Palermo.

Lo studio condotto da un team di ricercatori internazionali dimostra che destinare anche solo l’1% degli investimenti globali nell’energia eolica offshore da qui al 2050 potrebbe finanziare il ripristino di milioni di chilometri quadrati di ecosistemi marini come i letti di ostriche e le praterie di fanerogame marine.

«L’eolico offshore è la grande industria marina emergente, quindi c’è la possibilità di creare fin dall’inizio concessioni che siano veramente inclusive della natura, delineando obiettivi chiari di ripristino marino integrati nei requisiti per la concessione delle licenze e generando benefici per la società e l’ambiente», dice Airoldi. Infatti, sono da tenere a mente due target europei imprescindibili. Si deve arrivare a proteggere il 30% delle aree marine entro il 2030 e ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni di gas serra (rispetto ai livelli del 1990). Per altro, è previsto anche il ripristino del 20% di aree marine entro il 2030 e, nuovissima proposta della Commissione europea, la riduzione del 90% delle emissioni di gas serra entro il 2040.

Continua Airoldi: «Il vantaggio per le aziende sarebbe un iter autorizzativo più equo alla luce dell’attuale legislazione sulla conservazione della natura, che impedirebbe che i consorzi orientati esclusivamente al prezzo più basso per megawatt superino quelli impegnati nella tutela degli ecosistemi marini».

L’Agenzia europea per l’ambiente ricorda che tendenzialmente l’eolico offshore è istallato in aree costiere, la più profonda è a 58 metri con alcune in sperimentazione per i 70 metri di profondità. E realizzare impianti lungo la costa ha anche un costo minore. Quindi, considerando anche la presenza di vento in specifiche zone, non tutto lo spazio marittimo europeo è per ora idoneo all’offshore. La costa, di conseguenza, è considerata un luogo ad alta intensità antropica, dove c’è pesca, estrazione di aggregati marini, banale trasporto marittimo, posa di cavi e oleodotti sottomarini, acquacoltura, sfruttamento di petrolio e gas, e turismo. Gli impatti sugli habitat marini sembrano quasi inevitabili.

«L’eolico offshore ha l’opportunità unica non solo di contribuire alla transizione energetica, ma anche di essere la prima industria offshore a dare un contributo realmente positivo al ripristino della natura su larga scala» afferma il ricercatore principale Christiaan J van Sluis dello studio. «Incorporando regole intelligenti nei permessi e nelle gare per i parchi eolici ora, possiamo invertire la perdita di biodiversità con solo una frazione degli investimenti totali».

Lo studio stima che «per ogni dollaro investito nel ripristino degli ecosistemi, si possono ottenere benefici sociali compresi tra 2 e 12 dollari». E i ricercatori ricordano che alcuni paesi, come i Paesi Bassi, la Danimarca e il Regno Unito hanno già procedure centralizzate particolarmente adatte a integrare il ripristino della natura.

Ancora l’Agenzia europea per l’ambiente sottolinea che si possono realizzare impianti offshore che possono offrire benefici all’ambiente marino creando ambienti simili a barriere artificiali «che possono fornire rifugio a specie ittiche di interesse commerciale, soprattutto se accompagnate da restrizioni su alcune tipologie di pesca commerciale». Per esempio, il verme Sabellaria spinulosa (che è nella lista rossa dello IUCN delle specie in via di estinzione) è stato osservato «mentre formava nuove colonie sulle basi delle turbine nel Mare del Nord». Pe quanto gli impianti eolici offshore abbiano impatti minori sull’ambiente circostante rispetto agli impianti tradizionali, «al momento la tendenza è quella di cercare di combinare usi multipli – come la pesca e l’acquacoltura – minacciando quindi il potenziale protettivo», dice Laura Airoldi. E conclude: «Sosteniamo che, contrariamente ai piani attuali che favoriscono sinergie e coesistenza di molteplici usi, gli impianti eolici offshore possano essere progettati per limitare le attività estrattive, per integrare le aree marine protette e per favorire il ripristino attivo delle aree circostanti».

Segnaliamo che in Europa esiste l’Osservatorio e rete europea dei dati marini (EMODnet), che fornisce dati ambientali marini per la Commissione europea e delle attività umane; inoltre, la Greater North Sea Basin Initiative, istituita nel novembre 2023, che vuole rafforzare la cooperazione su vari aspetti della pianificazione dello spazio marittimo. Oltre chiaramente alla nota rete Natura 2000 (abbiamo parlato qui delle varie misure di protezione, anche in funzione turistica).

La NOAA indica alcuni esempi di ulteriori attenzioni nell’istallazione di eolico offshore:

  • Evitare l’installazione delle fondamenta nei periodi in cui è più probabile la presenza di balene franche nordatlantiche nell’area
  • Utilizzare tecnologie di attenuazione del rumore, come le barriere a doppia cortina di bolle, per ridurre i livelli di rumore durante l’installazione delle fondamenta
  • Effettuare verifiche acustiche sul campo per comprendere i livelli di rumore prodotti durante la costruzione e il funzionamento dei parchi eolici
  • Ritardare o interrompere le fonti di rumore se i mammiferi marini si trovano entro determinate distanze
  • Applicare limiti di velocità e restrizioni di avvicinamento per le navi, al fine di ridurre il rischio di interazioni tra i mammiferi marini e le imbarcazioni degli impianti eolici offshore
  • Richiedere la presenza di osservatori specializzati per le specie protette e il monitoraggio acustico durante alcune attività, come la palificazione

Qui sotto un video della NOAA dove si spiega che non tutto il mare è idoneo per l’eolico offshore.

Per raggiugere l’obiettivo di aumentare di oltre 16 volte entro il 2050 la produzione di energia eolica offshore europea, dovrebbe essere necessario non più del 3% dello spazio marittimo complessivo. Integrando soluzioni amiche degli ecosistemi marini possiamo riuscire a portare a casa tutti gli obiettivi ambientali senza troppi problemi ed essere ancora da esempio per il resto del mondo.