Pubblicato il 01/08/2025Tempo di lettura: 4 mins
Oggi i draghi rimangono nelle fiabe per i bambini e nei giochi di ruolo di persone un po’ meno bambine (anche decisamente adulte). Un tempo, popolavano il pianeta. Insieme a rondini di pietra, a cavalli del tuono che scendevano sulla Terra durante i temporali, a unicorni privi delle zampe posteriori, ai giganti: creature immaginate da frammenti d’ossa e impronte fossilizzate che hanno catturato tanto la curiosità quanto la fantasia dei nostri antenati. Tenendoli impegnati a cogitare per secoli.
È la storia che il divulgatore scientifico Diego Sala ha raccolto, con minuziosità e ironia, nelle pagine di Ossa di drago, lingue di pietra e altri abbagli, pubblicato quest’anno da Codice Edizioni. «Quand’è stata la prima volta che gli umani si sono messi a rovistare tra le pietre e hanno iniziato a raccogliere fossili?», è la domanda in apertura al primo capitolo. Ne nasce un saggio incredibilmente ricco, e non solo per gli “abbagli” che lo costellano – e che comunque valgono, da soli, un libro intero – ma anche e soprattutto per la ricostruzione di quel percorso tutt’altro che lineare che è stato la “paleontologia prima della paleontologia”. In effetti, forse, la vera domanda è: quando abbiamo capito cosa sono i fossili?
Ossa di drago parte dalle origini nel modo più letterale possibile, da quello che Sala chiama «il senso dei Neanderthal per l’arte»: perché i fossili, come rivelano anche alcune pubblicazioni recenti, hanno in qualche modo interessato i nostri stretti parenti da subito; alcuni venivano raccolti per essere dipinti e trasformati in ornamenti, comunque senza alcuna utilità pratica e strumentale. Scrive Sala: «È probabile che i fossili avessero qualche valenza artistica o, quantomeno, abbiano stimolato la curiosità di questi antichi umani verso le forme naturali».
È quindi dagli albori della nostra specie che la storia si dipana. Lo fa con grande gradualità, portandoci con delicatezza non solo attraverso le epoche ma anche attraverso i continenti. È uno dei grandi pregi del saggio. Certo, la storia dei fossili non può prescindere alle scoperte avvenute in America (lo stesso Thomas Jefferson, prima di diventare presidente degli Stati Uniti, avrà la sua parte nello scenario della paleontologia americana, sebbene sempre senza evitare gli abbagli che costellano il saggio). Ma Sala fa di più che spostarsi tra America ed Europa: nel suo percorso di ricostruzione, infatti, riesce a non dimenticare qualche accenno agli altri angoli del globo. Alla Cina, per esempio, dove i fossili avevano un ruolo di primo piano nella medicina tradizionale – ma anche dove, forse, si è prodotta la più antica falsificazione di fossili, perché i “pesci di pietra”, racconta Sala, erano infatti ritenuti di buon auspicio, ma la quantità di fossili disponibile non era sufficiente a rispondere alla richiesta e venivano dunque falsificati da venditori dipingendo le pietre con la lacca.
La parola chiave del viaggio storico nella comprensione dei fossili, per Sala, è serendipity, la scoperta fatta per caso. Che però, si sa, non si basa sulla sola fortuna ma anche sulla capacità di riconoscere il valore di ciò che si è trovato, sull’ apertura mentale e lo spirito di osservazione. In effetti è vero che in Ossa di drago abbonda la serendipity, peraltro a volte accompagnata da vicende da romanzo – a dirla tutta, l’impressione che lascia il saggio è che la paleontologia, almeno prima di essere tale, fosse fatta più da esploratori e avventurieri (amanti a volte delle scienze naturali, altre solo del denaro) che da scienziati. Ma questo non vuol dire che sia la sola serendipity a guidare il tutto. Perché l’altra metà della mela è la volontà di trovare risposte, che tra teorie balzane e qua e là rancori e truffe, ha anche, alla fine, saputo ricostruire la storia delle specie che hanno abitato il pianeta nel corso delle ere.
Ossa di drago si ferma, essenzialmente, alla prima metà dell’Ottocento e alla nascita della paleontologia in quanto tale. Anzi, la chiusura del saggio è proprio dedicata al come e quando venne coniato il nome di questa scienza. In un certo senso, è strano viaggiare tra tanti abbagli e scoprire che la meta rimane a oltre un secolo di distanza dal nostro tempo. Leggendo, forse, ci si aspetterebbe il puzzle completo, quello in cui per esempio si inseriscono i tasselli della teoria dell’evoluzione di Darwin, della datazione radiometrica per datare i fossili, della paleogenetica di oggi.
Ma, tutto sommato, la scelta è comprensibile. Non solo il saggio avrebbe raggiunto proporzioni inquietanti ma, soprattutto, in questo modo ci lascia nel punto esatto in cui la matassa si dipana, e le deviazioni e le strade senza uscita che hanno costellato la storia della paleontologia vengono abbandonate. Da lì in poi, la strada resta (abbastanza) lineare, e non resta che seguirla.