Sin dai primi giorni del suo insediamento, l’amministrazione Trump ha preso diverse decisioni politiche che hanno avuto pesanti ripercussioni sulla ricerca scientifica, in particolare andando a colpire le agenzie federali e gli atenei. Due ulteriori ordini esecutivi, varati a maggio e all’inizio di agosto, minacciano di aggravare ulteriormente il quadro, stravolgendo il modello di politica scientifica che ha guidato la ricerca negli Stati Uniti dal dopoguerra in poi. Questi provvedimenti si fondano sull’idea che la scienza americana attuale abbia perso di credibilità e che la nazione debba tornare a condurre ricerca di alta qualità, definita come gold standard science, per non perdere il suo ruolo di guida nella produzione di conoscenza a livello mondiale.
L’ordine esecutivo “Restoring gold standard science”
A fine maggio, il governo americano ha emanato un ordine esecutivo volto a riorganizzare il modo in cui le conoscenze scientifiche verranno prodotte, utilizzate e comunicate da parte delle agenzie federali. Nel linguaggio, il documento si riferisce esplicitamente ad aspetti di integrità della scienza ben noti ai ricercatori e definisce la gold standard science come: riproducibile, trasparente, in grado di comunicare l’errore e l’incertezza, collaborativa e interdisciplinare, critica nei confronti dei propri risultati e delle proprie assunzioni, strutturata in modo da consentire la falsificabilità delle ipotesi, soggetta a revisione paritaria imparziale, in grado di valorizzare anche i risultati negativi, e priva di conflitti di interesse. Difficilmente si potrebbe dissentire da tale visione.
Nella realtà, però, il provvedimento suggerisce che tutti questi criteri debbano essere contemporaneamente soddisfatti affinché i risultati di una ricerca possano essere considerati validi e utilizzabili per informare decisioni politiche. Così facendo, il rischio è che, invece di usare le migliori prove a disposizione, molte conoscenze scientifiche vengano escluse dal processo decisionale. Inoltre, l’ordine esecutivo conferisce a un incaricato politico l’autorità di decidere quali studi debbano essere considerati rilevanti. Questa figura potrà arbitrariamente stabilire che i risultati non in linea con la posizione ufficiale del governo sono viziati da scientific misconduct, decidere di ignorarli, ed eventualmente intraprendere azioni disciplinari nei confronti di chi li ha prodotti. Oppure, semplicemente, pretendere un grado di certezza dei risultati impossibile da raggiungere in un particolare ambito prima di includerli nei processi regolatori. O, ancora, decidere di ignorare tutti gli studi nei quali gli autori non hanno reso pubblici i dati originari (cosa che spesso è frequente negli studi epidemiologici, per motivi di privacy).
Come ha sottolineato David Michaels, che da anni si occupa di problemi di integrità della scienza, in particolare nell’ambito regolatorio americano, questo approccio nella gestione dei risultati della ricerca ricorda molto le strategie di “generazione del dubbio”, largamente utilizzate dalle industrie produttrici di prodotti nocivi per la salute per rallentare l’introduzione di regolamentazioni a protezione dei cittadini. Il fatto che, in questo caso, il responsabile di tali pratiche non sia un gruppo di multinazionali, ma l’intero governo americano, porta però il problema su un altro livello.
Se tutto questo non bastasse, l’ordine esecutivo cancella, con efficacia immediata, tutte le iniziative che erano state messe in campo dall’amministrazione Biden per preservare l’integrità della ricerca in ambito federale. Tra queste, in particolare, c’erano dei sistemi che permettevano ai dipendenti di denunciare indebite pressioni politiche nei processi decisionali e appellarsi contro le decisioni dei propri superiori. Infine, viene richiesto che tutti i regolamenti, le decisioni e le valutazioni scientifiche prodotti dalle agenzie federali durante gli ultimi cinque anni vengano rivalutati alla luce della nuova normativa ed eventualmente cancellati.
L’ordine esecutivo “Improving oversight of federal grantmaking”
Il 7 agosto è stato emanato un altro ordine esecutivo, che mira a riorganizzare il sistema dei finanziamenti erogati dalle agenzie federali, in particolare per le attività di ricerca. Le principali novità contenute nel documento sono:
- Tutto il processo di finanziamento (dalla scelta di quali filoni promuovere fino alla selezione dei progetti da premiare) avviene sotto la supervisione di un incaricato politico, che è incoraggiato a usare il proprio «giudizio indipendente» per «promuovere l’agenda politica presidenziale». La peer-review dei progetti da parte di esperti del settore è ancora consentita, ma ha un ruolo unicamente consultivo.
- È vietato finanziare bandi o progetti che promuovono «valori anti-americani» o comunque invisi al governo, tra cui la promozione di tematiche di genere o sulla diversità etnica.
- Nel processo di valutazione dei progetti, il ruolo attribuito al prestigio degli istituti proponenti viene ridimensionato (dichiarando di voler «democratizzare» l’attribuzione dei fondi, coinvolgendo una platea più ampia), a favore di una loro documentata adesione ai principi della gold standard science presidenziale, e della richiesta di costi indiretti bassi (una battaglia che il governo porta avanti da tempo, e di cui Scienza in rete ha parlato qui).
- Le agenzie federali dovranno al più presto dotarsi di regole che permettano l’interruzione immediata dei fondi assegnati a progetti (inclusi quelli già approvati) che dovessero, a detta dell’incaricato politico, non essere più allineati con gli obbiettivi del governo. Questo, ovviamente, ha delle ricadute importanti sulla stabilità dei finanziamenti, e scoraggia programmi di lunga durata.
- In ogni agenzia, l’incaricato politico dovrà preparare delle procedure per assicurare che tutto il sistema dei finanziamenti sia allineato con quanto indicato nell’ordine esecutivo. Fino ad allora, tutte le nuove assegnazioni di fondi sono interrotte. Per legge, tutti i fondi federali che non vengono spesi entro il 30 settembre devono essere restituiti al Dipartimento del Tesoro. Questa clausola, quindi, sembra essere una scappatoia per permettere al governo di ridurre i finanziamenti alla ricerca rispetto a quanto precedentemente deliberato dal Congresso, una mossa che Trump ha tentato ripetutamente di fare nei mesi precedenti, ma che è stata giudicata illegale.
Alcune incoerenze della gold standard science
I due ordini esecutivi, nel loro preambolo, motivano la necessità di cambiamento della politica della ricerca con l’esigenza di contrastare una crescente sfiducia della società americana verso la scienza. Ciò viene attribuito, in particolare, al modo in cui, sotto l’amministrazione Biden, decisioni politiche irrazionali e dannose sarebbero state imposte alla nazione utilizzando un principio di autorità tecnocratico (“obbedite perché lo dice la scienza”). Inoltre, la scienza avrebbe perso la sua tradizionale neutralità perché infiltrata da elementi ideologici come la promozione dei temi di genere e i programmi di Diversità, Equità e Inclusione (DEI). Lo scopo dichiarato dei provvedimenti sarebbe quindi quello di favorire una riconciliazione tra ricercatori e cittadini.
Anche volendo riconoscere la sincerità di tale obbiettivo (qualcosa di cui, date le altre decisioni del governo in ambito scientifico, è legittimo dubitare), non sfuggono una serie di incoerenze, che rendono difficile sperare in un miglioramento nella conduzione della ricerca scientifica statunitense negli anni a venire. Se si ritiene che la scienza attuale sia troppo politicizzata, in che modo aumentare ulteriormente il suo controllo da parte del potere esecutivo dovrebbe garantire una sua maggior neutralità? Gli elettori repubblicani si sentirebbero ugualmente tutelati da questi provvedimenti, sotto un eventuale governo a guida democratica?
In realtà, uno dei punti chiave, quando si parla di trasparenza nelle decisioni politiche basate su evidenze scientifiche, riguarda l’esplicitare come tali informazioni entrano nel processo deliberativo. Curiosamente, nel paragrafo dell’ordine esecutivo Restoring gold standard science che enfatizza la necessità di rendere pubblici dati e risultati, l’unica eccezione che viene riportata riguarda proprio i modelli di rischio utilizzati dalle agenzie per prendere decisioni di tipo regolatorio. Inoltre, finanziamenti incerti, che possono essere revocati in ogni istante se i risultati sperati non vengono ottenuti, assieme a una cultura della paura di perdere il proprio posto di lavoro, sembrano essere la ricetta perfetta per aumentare il rischio di pratiche illecite da parte dei ricercatori.
Le possibili conseguenze
La visione alla base della gold standard science trumpiana è quella di un controllo politico forte sulle attività della scienza, giustificato, a detta dei suoi sostenitori, dal fatto che è il governo ad aver ricevuto il mandato da parte del popolo, non i ricercatori o i burocrati federali. In questo contesto, è il concetto stesso di integrità scientifica a cambiare di significato. Mentre fino alla presidenza Biden questa era basata sulle buone pratiche di ricerca, e i rappresentanti politici stessi erano obbligati ad attenersi agli standard della comunità scientifica, ora il rapporto appare ribaltato, con il finanziamento, la produzione e la comunicazione della scienza che diventano strumenti per ottenere un allineamento dei ricercatori a principi di tipo ideologico. In particolare, desta preoccupazione la centralizzazione da parte del governo dell’attività di valutazione delle prove scientifiche, in contrasto al tradizionale modello, nel quale questa attività è affidata alla comunità scientifica, e le ipotesi contrastanti vengono vagliate pubblicamente nel “mercato delle idee”. Si tratta di una deriva pericolosa; gli esempi ammonitori di quello che succede quando uno stato decide di arrogarsi il diritto di scegliersi le proprie verità scientifiche non mancano (ne sono un esempio il negazionismi dell’infezione da HIV/AIDS in Sudafrica e la il lysenkoismo). In questo senso, le vivaci critiche che sono state mosse dalla comunità scientifica a due recenti rapporti governativi, uno sulla salute infantile [16] e l’altro sui cambiamenti climatici, sembrano confermare tal timori.
Inoltre, l’approccio proposto rischia di perpetrare ulteriormente un circolo vizioso, che sta già caratterizzando alcune scelte in ambito scientifico del governo Trump. In un articolo di maggio, il direttore della Food and Drug Administration (FDA) giustificava la decisione di non raccomandare più la vaccinazione contro Covid-19 nelle persone di età inferiore a 65 anni e prive di comorbidità, sostenendo che le prove di un reale beneficio in questo gruppo della popolazione fossero scarse, e richiedendo la conduzione di trial clinici di grandi dimensioni per poter colmare questa mancanza di conoscenze. Un paio di mesi dopo, il direttore dei National Institutes of Health ha dichiarato che il governo non finanzierà più la ricerca sui vaccini a mRNA, perché questi non avrebbero ottenuto sufficiente fiducia da parte del pubblico (sic), un argomento apparentemente più adatto all’esclusione di un programma da un palinsesto televisivo che alla valutazione delle priorità di finanziamento della ricerca. Sembra probabile, a questo punto, che le ulteriori prove richieste dall’FDA non arriveranno mai.
Come riportato da Michael Kratsios, consigliere scientifico del presidente, l’obiettivo finale è che i principi della gold standard science vengano fatti propri non solo dalle agenzie federali, ma dall’intero ecosistema della ricerca, incluse università, società scientifiche e mondo dell’editoria. Possono essere letti anche sotto questa luce i ripetuti e inediti attacchi da parte del governo alle riviste scientifiche avvenuti negli ultimi mesi: le richieste del Department of Justice a decine di giornali in ambito medico di spiegare quale spazio concedano sulle loro pagine a “punti di vista divergenti” su questioni controverse; la pretesa da parte di Robert Kennedy Jr che un articolo che non confermava la sua narrazione sui rischi dei vaccini venisse ritirato; la minaccia di vietare ai ricercatori federali di pubblicare su alcune delle riviste più importanti del mondo, perché considerate corrotte; il possibile blocco degli abbonamenti alle riviste da parte delle agenzie federali.
Le sfide per la comunità scientifica
Come era prevedibile, l’emanazione dei due ordini esecutivi è stata accolta con preoccupazione dai gruppi che si occupano di integrità della ricerca e ha animato un vivace dibattito sulle più importanti riviste scientifiche. Mentre precedenti iniziative del governo Trump, di fatto, avevano già iniziato ad apportare cambiamenti nell’ambito della politica della scienza (pensiamo, tra tutti, all’introduzione di termini “vietati” nella ricerca), i nuovi provvedimenti estendono e formalizzano tali modifiche, rendendo più difficile contestarle in tribunale.
Gli Stati Uniti hanno svolto negli ultimi ottant’anni un ruolo centrale nell’avanzamento della scienza, sia dal punto di vista culturale che per l’ingente quantità di fondi investiti. È difficile immaginare che un cambiamento così radicale nel suo approccio alla ricerca non avrà ripercussioni anche nel resto del mondo. Secondo vari osservatori, inoltre, l’uso strumentale del concetto di integrità della scienza minaccia di svuotare di contenuto un movimento culturale che ha un ruolo centrale per la comunità scientifica. Mai come oggi i ricercatori sono chiamati a raccogliere la sfida di individuare nuove modalità per promuovere i principi indispensabili alla credibilità della scienza, proteggendoli dal loro uso distorto in chiave pseudoscientifica.