Il 10 settembre 2025 si è tenuta una conferenza stampa della NASA per annunciare un importante risultato nel campo dell’astrobiologia e dell’esplorazione di Marte, in concomitanza con l’uscita dell’articolo scientifico sulla prestigiosa rivista Nature. Si parla di una potenziale biofirma: sono state individuate dal rover Perseverance della NASA alcune rocce che presentano tracce forse prodotte da antiche forme di vita microbiche. «Le biofirme sono degli indicatori di una possibile passata o presente vita su un pianeta. Si dividono in diverse tipologie e possono essere di tipo chimico, biologico o fisico. Nel caso specifico di Marte si tratta di una potenziale biofirma di tipo fisico-chimico», spiega Alessandro Sozzetti, ricercatore all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e direttore dell’Osservatorio astrofisico di Torino, che si occupa della ricerca di pianeti extrasolari e potenzialmente abitabili. Per avere la certezza che si tratti di biofirme è necessario condurre ulteriori studi, che richiedono la collaborazione degli scienziati e delle scienziate di tutto il mondo e il ritorno dei campioni sulla Terra.
Organizzata per annunciare questo risultato nel campo dell’astrobiologia e dell’esplorazione marziana, la conferenza stampa si è rivelata anche un importante palco per ribadire l’approccio dell’amministrazione Trump allo spazio e alle scienze.
La roccia in questione è stata individuata nel luglio del 2024 dal rover Perseverance in una regione chiamata Bright Angel del cratere Jezero, su Marte. «Quando Perseverance ha inviato le immagini di questa roccia ero con il resto del team all’incontro annuale a Pasadena, negli Stati Uniti», racconta Teresa Fornaro, ricercatrice dell’INAF di Arcetri, tra le autrici dello studio. A distanza di un anno dai primi dati, sono stati condotti ulteriori studi per verificare la possibile origine non biologica delle formazioni ad anello presenti sulla roccia. Per il momento però l’ipotesi biologica sembra la più probabile. «Processi non biologici che danno origine a quel tipo di strutture avvengono generalmente ad alte temperature. Qui non abbiamo alcuna evidenza di processi ad alta temperatura: i grani sono molto fini e generalmente poco cristallini, questo accade proprio quando la roccia si forma a bassa temperatura», spiega Fornaro, e aggiunge: «Sulla Terra – l’unico esempio che abbiamo per studiare i processi biologici – le cause che possono dare origine a quel tipo di caratteristiche, senza intervento della vita, sono processi ad alta temperatura. Poiché la roccia marziana non sembra essersi formata ad alta temperatura, questo ci porta a pensare che per ora l’ipotesi biologica sia la più probabile».
Rimane comunque fondamentale tener presente che le analisi eseguite finora sono parziali. Lo step successivo della ricerca prevede di continuare a studiare i dati di Perseverance: gli autori e le autrici dello studio hanno invitato l’intera comunità scientifica a fare ulteriori esperimenti in cerca di spiegazioni non biologiche che potrebbero risultare più probabili rispetto all’ipotesi biologica. Questo fino a che non verranno riportati i campioni sulla Terra: «Per avere la certezza è necessario studiare i campioni nei laboratori terrestri, dove è possibile eseguire analisi molto più approfondite», afferma Fornaro.
Il rover Perseverance è infatti stato progettato pensando al rientro dei campioni, che dovrebbe essere effettuato attraverso una missione internazionale chiamata Mars Sample Return, che vede coinvolta anche l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). È una delle missioni più ambiziose e costose della NASA: «La sfida più grande sarà riportare i campioni in modo da evitare contaminazioni terrestri e danni. Per farlo sarà necessario capire che tecnologie sviluppare, come maneggiare i campioni e quali potrebbero essere le maggiori criticità», spiega Roberto Orosei, ricercatore presso l’Istituto di Radioastronomia dell’INAF a Bologna e membro dell’iMARS (international Mars Architecture for the Return of Samples). Orosei ha partecipato allo sviluppo di un piano preliminare per il ritorno dei campioni e aggiunge che «per via della sua complessità la missione vede coinvolti numerosi partner internazionali».
Questa missione si è dunque inquadrata sin dall’inizio della progettazione all’interno di una visione dello Spazio come dimensione di cooperazione internazionale. Ma ora il taglio al budget NASA la sta mettendo in crisi.
Durante la conferenza stampa, Sean Duffy, amministratore ad interim della NASA, ha più volte affermato la necessità che gli USA mantengano la leadership in ambito spaziale. Ha dedicato una parte del suo discorso a ribadire i prossimi obiettivi: ritornare sulla Luna e portare astronauti statunitensi su Marte, e non in un’ottica di un traguardo scientifico per l’umanità ma come conquista statunitense, in esplicita competizione con la Cina. In risposta al giornalista di Ars Technica Eric Berger, che aveva chiesto a Duffy in che modo gli Stati Uniti stessero pensando di agire di fonte all’annuncio cinese di una missione per recuperare campioni da Marte nel 2028, l’amministratore della NASA ha puntualizzato che è necessario spingere, dal momento che ci troviamo in un’altra corsa allo Spazio.
«Lo Spazio, e lo dimostrano queste dichiarazioni, è tornato prioritario come ambito competitivo. Per tantissimi anni era stato soprattutto un luogo di collaborazione pacifica: basti pensare alla Stazione Spaziale Internazionale dove, anche durante la guerra in Ucraina, cosmonauti russi e astronauti americani, europei, giapponesi, canadesi ed emiratini lavoravano insieme. Quel tipo di interpretazione dello Spazio sembra in questo momento esistere ancora, ma non essere più la principale. Purtroppo accanto a una visione cooperativa dello Spazio è tornata quella che lo vede come un abito di conquista o, se non altro, di competizione», commenta Emilio Cozzi, giornalista e autore del saggio Geopolitica dello Spazio, edito da Il Saggiatore, e del podcast La geopolitica dello Spazio di Radio 24. In effetti, nei discorsi pronunciati da Trump nei giorni dell’insediamento è emerso con forza l’obiettivo di raggiungere Marte con astronauti statunitensi. «Molti finanziamenti oggi sono diretti a favore di un utilizzo dello Spazio come piattaforma difensiva, e poi per le nuove conquiste dell’esplorazione spaziale – mi riferisco in primis alla Luna, ma anche a Marte. C’è un grande rilievo nei confronti di uno Spazio pensato come terreno di conquista e certamente c’è un interesse inferiore, almeno negli Stati Uniti, nella ricerca scientifica», aggiunge Cozzi.
Duffy ha sottolineato inoltre che la missione Perseverance è stata lanciata durante il primo mandato del Presidente Trump (ma è importante ricordare che una missione viene progettata e finanziata da molti anni prima del lancio) e che il Presidente è interessato allo Spazio. «Siamo tornati a interpretare lo Spazio come l’ambito di una nuova sovranità. Quanto questo sia buono o no lo lascio decidere a chi legge, ma di sicuro c’è una nuova corsa spaziale, capace di riflettere istanze terrestri che certamente, negli ultimi tempi, non vanno nella direzione di una collaborazione o di una convivenza internazionale pacifica, ma in quella di una competizione che speriamo non diventi conflitto», conclude Cozzi.
Che la conferenza stampa possa essere letta anche come un tentativo di stimolare missioni che altrimenti rischiano il taglio, o come la volontà di svincolarsi dalle accuse di disinteresse nei confronti della scienza, non sono prospettive necessariamente in contraddizione. Questo soprattutto se consideriamo l’impegno nei confronti di una linea di ricerca scientifica come vetrina per giustificare un impulso spaziale che di fatto ha scopi più marcatamente geopolitici ed economici che non scientifici in senso stretto. È un punto che rimane certamente aperto e la cui risposta, o anche solo argomentazione, lasciamo a chi ci sta leggendo. Di certo questo è un momento cruciale nella ricerca astrobiologica, perché questo risultato apre a una serie di approfondimenti che potrebbero portarci ad avere una risposta, o almeno maggiori conoscenze per continuare a interrogarci sulla presenza o assenza di vita al di fuori della nostro Pianeta. Insomma: questa conferenza ci ha parlato di Marte, di scienza e di passione, ma ci ha parlato anche della Terra, e di noi.