Un’altra estate tremendamente calda si avvia al termine, e le spiagge iniziano a svuotarsi. Via gli ombrelloni, riposte le sdraio, di nuovo a casa i bagnanti. Ma ci sono attività che, sulle spiagge, proseguono tutto l’anno: tra queste, quella di monitoraggio della linea di costa portata avanti dall’Università di Genova nell’ambito del progetto PNRR Return, in collaborazione con l’associazione Genova Ocean Agorà e al progetto CoastSnap, condiviso dal UNSW Water Research Laboratory di Sydney.. È un esempio di citizen science cui l’obiettivo è raccogliere informazioni su un rischio con cui ci confrontiamo da sempre ma che, come avviene per molti alti fenomeni, è cambiato nel tempo. Complici, sempre come avviene per altri fenomeni, il nostro rapporto con l’ambiente e la crisi climatica.
Ne abbiamo parlato con Giovanni Besio, professore ordinario del Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale (DICCA) dell’Università di Genova e responsabile dell’attività nell’ambito del progetto Return.
Foto e IA per studiare la linea di costa
C’è una frontiera tra la terra e il mare dove le due realtà si incontrano: è la linea di costa, un elemento mobile che avanza quando si depositano i sedimenti e arretra quando invece la costa è erosa. «Studiarla nel tempo consente quindi di capire se una costa sta subendo un processo di erosione, e di quale entità. Tradizionalmente questa linea di ricerca è portata avanti con diversi strumenti, dai rilievi topografici che consentono misurazioni puntuali, a quelli satellitari e da droni», spiega Besio. «In questo come in altri contesti, però, le attività di citizen science possono dare un contributo significativo, perché consentono di raccogliere grandi quantità di dati con il coinvolgimento della popolazione». Soprattutto, continua il ricercatore, se portato avanti in un contesto dove il senso di comunità è forte: per questa ragione, l’attività si svolge su due spiagge genovesi molto vissute e partecipate, quella di Sturla e quella di Quinto, dove si svolgono varie iniziative non solo estive.
In questo caso, il fulcro della citizen science è un totem: vi si appoggia lo smartphone, si scatta una fotografia della spiaggia e la si invia tramite QR code. «In questo modo, le foto vengono scattate sempre dalla stessa posizione e altezza. Una volta raccolte, noi elaboriamo le foto con algoritmi di machine learning (ogni smartphone ha un obiettivo differente, per cui le immagini devono essere normalizzate), in modo da poterle usare per costruire uno storico della linea di costa», spiega ancora Besio. «Poi incrociamo le immagini con modelli di simulazione del moto ondoso, il principale agente erosivo».
L’incrocio dei due set di dati, quello delle immagini scattate dalla cittadinanza e quelli modellistici, sono la chiave per passare dalla descrizione di ciò che avviene sulla spiaggia alla spiegazione del perché ciò avvenga. E capire così se, per esempio, un certo tipo di mareggiata da sud-ovest provoca più erosioni di un altro tipo di mareggiata da sud-est, o associare un certo arretramento della costa a una determinata combinazione di altezza e direzione d’onda. «La linea di costa si muove in funzione delle onde, quindi collegare le due cose fornisce uno strumento fondamentale per capire cosa potrà succedere in futuro e il processo che si svilupperà», commenta il ricercatore.
Di spiagge ed erosione costiera
Secondo i dati più recenti disponibili pubblicati da ISPRA, i Comuni italiani che presentano «alti tassi di erosione» delle coste sono 644, 54 dei quali con tassi superiori al 50%, anche fino all’80-90%. Dati che, precisa la stessa ISPRA, non devono essere sottostimati: se è vero che apparentemente solo pochi Comuni, sul totale analizzato, presentano elevati livelli d’erosione, bisogna anche considerare che i tratti di costa inclusi nella valutazione comprendono anche aree che non possono andare in erosione (per esempio le coste rocciose) e, in più, che sono osservati già a valle delle eventuali opere di protezione messe in atto.
Quello dell’erosione è un fenomeno che raccoglie forse minor attenzione mediatica rispetto ad altri, come le alluvioni, di impatto più immediato. Non minori sono le conseguenze: una costa che arretra rappresenta una minaccia per gli insediamenti urbani, per le infrastrutture produttive e turistiche (da cui anche un possibile e significativo impatto economico), e anche per gli habitat naturali – dove ancora sopravvivono.
«L’erosione costiera è un processo naturale, influenzato però dalle nostre attività. Le dighe, per esempio, trattengono i sedimenti che i fiumi dovrebbero trasportare fino al mare, impoverendo le spiagge e limitandone la rigenerazione dopo le mareggiate. Anche l’urbanizzazione e la costruzione di infrastrutture, come porti e strade, implica l’interruzione del trasporto dei sedimenti naturali verso la costa, e la perdita di quegli ambienti, come dune o zone umide, che agiscono come una naturale protezione della costa», spiega Besio.
A questi elementi si va ad aggiungere la crisi climatica, un altro amplificatore dei fenomeni naturali: l’innalzamento del livello del mare, per esempio, determina un arretramento della linea di costa. Un Paese come il nostro, sostanzialmente circondato dal mare, è particolarmente vulnerabile ai rischi rappresentati dall’erosione costiera che infatti, secondo un recente studio italiano, potrebbe coinvolgere fino al 70% delle spiagge nell’arco dei prossimi 25 anni. «Il contributo della crisi climatica ha comunque degli aspetti ancora da chiarire, in particolare per quanto riguarda gli effetti futuri delle mareggiate (frequenza, intensità, distribuzione geografica). E la raccolta delle foto scattate dalla cittadinanza si pone anche nell’ottica di capirlo meglio, perché più sono le informazioni sui processi complessi, meglio riusciamo a comprenderli. Va ricordato, però, che per avere dati affidabili servono dati su serie temporali molto più lunghe: il nostro è quindi un seme per le future generazioni di ricercatrici e ricercatori».
Pianificazione, dalla soluzione tecnica a quella politica
La raccolta delle foto procede spedita: «Abbiamo installato il totem per le fotografie ormai quasi esattamente un anno fa, e ne riceviamo 3-4 al giorno per la sola spiaggia di Sturla. È una buona risposta da parte delle persone, e infatti l’intento è installare altre postazioni», racconta Besio. «Questo ci permetterebbe di raccogliere dati sullo stato di salute di altre spiagge».
E continuare così una ricerca di base, quella sull’evoluzione della linea di costa, i cui risvolti pratici sono immediatamente intuibili: indentificare e adottare le misure di prevenzione più efficaci per tutelare la spiaggia dall’erosione. «Le strategie non mancano, dagli interventi strutturali (come l’adozione di barriere frangiflutto, o anche nature-based, come il ripristino delle dune) alla pianificazione di strumenti di allerta. Ciò che manca, invece, è ancora troppo spesso la loro adozione», spiega il ricercatore. «In altre parole, mancano il passaggio politico e la capacità di pianificare in un’ottica di scala ampia, superando approcci locali e frammentati».
Intanto, quei pochi strumenti che a Genova si sono rivelati sufficienti tanto a migliorare la raccolta dei dati quanto ad avvicinare la comunità al mondo scientifico forniscono lo spunto per una raccolta dati su più vasta scala. E così, forse, potranno aiutare anche a compiere quel passaggio dalla tecnica alla politica.