Il Circular Economy Network chiede all’Europa maggiore sforzo per accelerare riciclo, riuso, riutilizzo, per rendere l’economia molto più circolare. Lo fa in particolare con un position paper dove propone di creare un mercato unico europeo per le materie prime seconde, cioè quelle materie recuperate dai rifiuti dopo il loro primo utilizzo (per cui erano state introdotte nel sistema produttivo come materie prime). La rete invita ad aderire maggiormente agli obiettivi posti dal Clean Industrial Deal, il piano europeo che ha integrato e in parte sostituito il Green Deal approvato durante la scorsa legislatura.

La proposta si inserisce nella consultazione aperta dalla Commissione Europea per definire quello che sarà il Circular Economy Act, che per altro si rifà anche al noto documento sulla competitività che Draghi portò in Europa qualche mese fa. Il tasso di circolarità è salito dal 10,7% all’11,7% dal 2010 al 2023, ancora però troppo basso stando agli obiettivi dell’Unione, che, ricorda la rete, è «una delle aree del mondo che consuma più materia, produce più rifiuti e resta fortemente dipendente dalle importazioni di materie prime».

Tra gli obiettivi europei principali al riguardo ci sono infatti:

  • 65% di riciclo dei rifiuti urbani entro il 2035 (del 55% entro il 2025 e del 60% entro il 2030)
  • 70% del riciclo dei rifiuti d’imballaggio entro il 2030
  • collocamento in discarica di massimo il 10% dei rifiuti urbani entro il 2035
  • divieto di collocare in discarica i rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata e l’obbligo di raccolta differenziata per i rifiuti organici entro il 2023 e per i rifiuti tessili e i rifiuti domestici pericolosi entro il 2025.

L’Italia, ricorda il Circular Economy Network, ha raggiunto nel 2023 un tasso circolarità molto più alto della media europea, con il 20,8%; tuttavia, il nostro paese dipende ancora molto dalle importazioni con una percentuale del 46,6% del fabbisogno complessivo (nel 2024), molto più alta della media europea del 22,4%.

Il grafico di seguito riporta il “tasso di circolarità” dei vari paesi indicati: più è maggiore più significa che è alta la quantità di materie prime seconde che sostituiscono le materie prime, riducendo così gli impatti ambientali legati all’estrazione in natura.

Le proposte dalla rete vanno in diverse direzioni che, in generale, promuovono la piena attuazione del Circular Economy Action Plan e l’adozione di misure sia legislative che economiche, senza dimenticare il coinvolgimento dei consumatori «assicurando che il mercato fornisca informazioni attendibili e facilmente comprensibili».

L’intervento legislativo maggiore dovrebbe riguardare i settori più in difficoltà (anche a causa della competitività dei prezzi delle materie prime vergini), innanzitutto quello della plastica. Al riguardo segnaliamo questo utile tracker che tiene il conto degli investimenti globali sul riciclo della plastica: per i 107 paesi con dati disponibili siamo a oggi a 170 miliardi di dollari totali (dal 2018).

Un settore piuttosto prezioso su cui si focalizza giustamente il documento sono i RAEE, cioè i rifiuti che arrivano da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Si dovrebbe aumentare il controllo sulla destinazione di questi rifiuti, contrastare la dispersione dei flussi e interrompere quelli illegali, anche introducendo maggiori standard di qualità. Inoltre, andrebbe sviluppata un’impiantistica di più alta efficienza tecnologica per recuperare maggiormente, per l’appunto, tanto i RAEE quanto i rifiuti plastici.

Di seguito un interessante grafico su quanto ciascuno dei materiali elencati viene riciclato e quindi riduca la domanda di materie prime.

Oltre a nuove normative, servirebbe anche armonizzare quelle esistenti. Tra gli esempi riportati ci sono il Net-Zero Industry Act e il Critical Raw Materials Act che, a dire del Network, «enfatizzano il riciclaggio dei materiali, ma non fanno riferimento ad altri aspetti quali la riparazione, il riutilizzo, la rigenerazione, il remanufactoring e il ricondizionamento». Oppure anche disporre che il riconoscimento della disciplina End of Waste adottata dagli stati europei (e per cui devono rendicontare singolarmente alla Commissione) sia riconosciuto come valido in tutti i Paesi membri.

Tra i provvedimenti suggeriti di natura economica riassumiamo quelle che ci sembrano degni di nota. Innanzitutto, bisogna fare più investimenti e per riuscirci serve «attivare nuovi strumenti di debito comune e riorientare il risparmio privato a sostegno degli investimenti per la transizione, secondo quanto proposto dal Piano Draghi e dal Rapporto Letta». Su Scienza in rete avevamo scritto della necessità di debito comune europeo qui. Queste risorse, insieme ad altre, devono essere opportunamente allocate nel Bilancio pluriennale 2028/2034.

Dal punto di vista fiscale serve riorganizzare un «quadro di fiscalità ecologica» che tenga conto delle priorità ambientali. Quindi:

  • riformare l’imposizione sul valore aggiunto, con aliquote agevolate per la fornitura di servizi di leasing, noleggio, riparazione e riutilizzo e, più in generale, l’adozione di modelli circolari nella produzione, in modo da sostenere la domanda di materie prime seconde (evitando la doppia tassazione di materiali riciclati);
  • valutare la possibilità di introdurre un contributo europeo sui rifiuti destinati a smaltimento, utilizzando tali risorse finanziarie per incentivare il riciclo e il riutilizzo

L’ultimo suggerimento proposto dal Network è ormai un mantra che si ripete da anni, ma che, non si capisce perché, resta inattuato. Per una transizione a un’economia circolare (così come per la transizione ecologica in generale), serve «eliminare progressivamente i sussidi ambientalmente dannosi».

Di seguito gli investimenti privati in “circolarità”, per paese.