Lunedì 17 novembre, a Ginevra ha preso il via la Cop11, la Conferenza delle parti che riunisce tutti i firmatari della Convenzione quadro dell’OMS per il controllo del tabacco (FCTC). Un avvio con molto meno clamore e copertura mediatica della Cop30 di Belem. Eppure non sono poche le ragioni per guardare all’incontro con interesse, tra cui il ruolo dell’Italia che, purtroppo si conferma sempre di più come un ruolo scellerato. Ma andiamo con ordine.
La Convenzione quadro per il controllo del tabacco è il primo trattato internazionale per la tutela della salute che sia stato negoziato sotto gli auspici dell’OMS. Il suo obiettivo è proteggere le generazioni attuali e quelle future dalle conseguenze sanitarie, sociali, ambientali ed economiche del consumo di tabacco, tutte importanti e negative. Sottoscritta da 182 Stati più l’Unione Europea nel suo complesso rappresenta il 90% della popolazione mondiale. Sono davvero pochi i Paesi che non hanno ratificato la Convenzione, tra questi gli Stati Uniti che si sono limitati a sottoscriverla, l’Argentina e la Svizzera. Nonostante queste defezioni importanti, almeno sulla carta la Convenzione e gli attori che la sostengono dovrebbero essere forti di tante evidenze scientifiche e di una costante crescita della consapevolezza dei danni per la salute e dei costi per le società del consumo di tabacco. Ciononostante la discussione per individuare, implementare e sostenere interventi efficaci ad eliminare l’epidemia di tabagismo si presenta aspra e proprio l’Italia che è stata la prima in Europa a emanare una legge efficace contro il fumo passivo è oggi alleata ai Paesi che remano contro.
Salute in fumo
L’Organizzazione mondiale della sanità ci ricorda che ogni anno almeno 8 milioni di persone muoiono in conseguenza del fumo di tabacco, che costituisce il fattore di rischio evitabile più importante al mondo. Un celebre e impressionante studio prospettico che ha osservato per 50 anni una coorte composta di medici maschi, ha dimostrato che i fumatori morivano in media 10 anni prima dei non fumatori. Sono dati noti e solidi a cui si vanno aggiungendo sempre nuove evidenze; per esempio, una recente revisione degli articoli scientifici effettuata da un gruppo di ricercatori italiani ha dimostrato che non è mai tardi per smettere di fumare: anche dopo una diagnosi di cancro abbandonare il fumo aumenta significativamente le probabilità di sopravvivenza per diversi tipi di tumore, tra cui quelli del polmone, della testa, del collo e dell’apparato digerente.
Insomma, le evidenze sono ormai talmente tante e note che l’industria del tabacco su questo fronte ha da tempo rinunciato a difendersi, spostando però la sfida su un piano diverso, puntando sui nuovi prodotti per giocare la propria partita e sostenere che sigarette elettroniche, sacchetti di nicotina e la galassia dei prodotti a tabacco riscaldato servono a smettere di fumare e contribuiscono a una politica di riduzione del danno. Insomma, l’industria del fumo alleata con la salute e non più contrapposta, il che apre a tante possibilità di accordi, che verranno trattati e discussi nel corso della Cop intorno a un tavolo che vede già schieramenti diversi tra i Paesi.
Un freno e non un aiuto nella lotta al tabagismo
«I prodotti a tabacco riscaldato rappresentano un rischio per la salute di chi li consuma e di chi li inala passivamente. Gli effetti a lungo termine non sono ancora noti, ma una cosa è certa: questi prodotti rappresentano un freno alla lotta contro il tabagismo. Infatti, la maggior parte dei fumatori non abbandona le sigarette ma diventa un consumatore duale, senza ottenere alcun beneficio significativo in termini di riduzione del rischio», così scriveva Silvano Gallus su Scienza in rete in occasione della giornata mondiale contro il fumo.
I prodotti a tabacco riscaldato cui si è rivolta l’industria per mantenere il proprio mercato non sono longevi quanto le sigarette, ma la ricerca comincia a raccogliere evidenze che smentiscono le affermazioni di big tobacco sulla riduzione del rischio legata al consumo dei nuovi prodotti. L’80% di coloro che utilizzano sigarette elettroniche o gli altri prodotti a tabacco riscaldato lo fa in aggiunta alle sigarette tradizionali, nell’illusione, sostenuta dai messaggi diffusi dall’industria, di ridurre in questo modo il rischio del fumo, è su questo aspetto che si sono concentrati diversi studi recenti. «I nostri risultati suggeriscono che l’aggiunta dello svapo al fumo accelera il rischio di sviluppare un cancro ai polmoni», scrivono gli autori di un lavoro che ha messo a confronto quasi 5.000 persone con diagnosi di cancro al polmone con 27.000 controlli senza tumore. Ebbene: anche una volta aggiustati i dati per genere, età ed etnia, lo studio conferma un rischio quattro volte maggiore di cancro al polmone tra le persone che svapavano in combinazione con il fumo cronico.
Il peso dell’interferenza: note dolenti per l’Italia
Ulteriori studi sono necessari, ma i risultati già disponibili dovrebbero quanto meno indurre una certa cautela nel consentire l’accesso ai nuovi prodotti a tabacco riscaldato o contenenti nicotina, ma non è sempre così. In Italia, per esempio sigarette elettroniche, sacchetti di nicotina e Iqos non sono stati equiparati alle sigarette tradizionali, perciò non ne condividono limitazioni e precauzioni d’uso.
La capacità dell’industria del tabacco di proporsi come alleata delle iniziative di sostegno del lavoro o di valorizzazione di attività produttive ha via via fatto perdere lucidità alle istituzioni che dovrebbero invece garantire la salute della popolazione e del Paese. Non per niente l’Italia si è classificata all’82° posto su 100 nel Global Tobacco Industry Interference Index 2025, che valuta i Paesi in base alla capacità dell’industria di influenzare le politiche di controllo del tabagismo. Si tratta del secondo peggior piazzamento tra tutti i Paesi dell’UE, dopo la Romania.
Il Tobacco Industry Interference Index, presentato l’11 novembre, si basa su informazioni pubblicamente disponibili sull’interferenza dell’industria del tabacco nei vari Paesi e sulle risposte dei rispettivi governi a queste interferenze. I punteggi totali in base ai quali si costruisce la classifica dei Paesi arrivano da diversi attori pubblici e della società civile. Più basso è il punteggio, minore è il livello complessivo di interferenza, il che è di buon auspicio per il Paese.
Con il suo 82° posto su 100, per l’Italia si tratta piuttosto di note dolenti, ma d’altra parte sia Philip Morris International (Pmi) sia British American Tobacco (Bat) hanno investito non poco nel nostro Paese, la città di Bologna si è vista promettere 500 milioni di euro per due stabilimenti dedicati ai prodotti del tabacco e della nicotina “potenzialmente a rischio ridotto”. Bat ha fatto lo stesso a Trieste, annunciando l’apertura del suo “A Better Tomorrow Innovation Hub”, con un ulteriore investimento di 500 milioni di euro in cinque anni.
E che dire dell’iniziativa della Filiera Tabacchicola italiana, promossa e presentata da Coldiretti in occasione del XXIII Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione, che si «inserisce nel più ampio progetto di Filiera Italia, il modello di collaborazione tra agricoltori, industria e distribuzione per tutelare e promuovere il made in Italy agroalimentare»? A dirigere la nuova organizzazione Cesare Trippella, esponente di Philip Morris Italia. Altro che interferenza, qui si va direttamente a braccetto.
Tutto questo nelle settimane che hanno visto, sul fronte opposto, la proposta di «far diventare il fumo così costoso da scoraggiare soprattutto i giovani, salvare vite e recuperare risorse per un sistema sanitario che ha bisogno di ossigeno». È l’obiettivo della campagna lanciata da Aiom, la società scientifica degli oncologici medici, insieme alla Fondazione Umberto Veronesi e altri importanti enti nazionali, che intendono lanciare una proposta di legge d’iniziativa popolare per introdurre un’accisa fissa di 5 euro sulle sigarette.
Quello che non è stato chiarito è chi rappresenta l’Italia alla Cop11, tanto che diverse associazioni della società civile, tra cui l’Alleanza per un’Italia senza tabacco hanno inviato una lettera aperta al ministro Schillaci per chiedere di sapere come sarà composta la delegazione.
In assenza di risposta, non resta che seguire i lavori della conferenza.







