Pubblicato il 21/11/2025Tempo di lettura: 5 mins

In merito alle dichiarazioni rilasciate dal presidente dell’INFN Antonio Zoccoli sui media, riteniamo necessario chiarire alcuni punti che, nella loro formulazione, risultano inesatti o fuorvianti rispetto alla realtà del lavoro precario all’interno dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

‘Ma all’INFN non c’è un problema di precariato.’ cit. A. Zoccoli
Esiste eccome un problema di precariato all’INFN. Contrariamente a quanto affermato dal presidente, all’INFN operano oltre 800 persone senza un contratto stabile, di cui circa 300 come dipendenti a tempo determinato, e oltre 500 con assegni di ricerca o borse di studio che da anni svolgono attività fondamentali per gli esperimenti e i progetti scientifici dell’Ente. A fronte di 2100 dipendenti di ruolo, quasi un terzo del personale risulta precario. Il precariato non si misura solo dal numero di contratti stabilizzabili, ma dal grado di dipendenza strutturale dell’ente da personale non stabile. Negare l’esistenza del precariato significa negare la realtà quotidiana di chi garantisce continuità alla ricerca italiana, spesso senza tutele e senza prospettive di stabilità.

‘…secondo la legge Madia vanno stabilizzati i dipendenti con almeno tre anni di contratto a tempo determinato.’ Cit. A. Zoccoli
La Legge Madia non riguarda solo i “dipendenti a tempo determinato”. Il presidente sostiene che la Legge Madia (D.Lgs. 75/2017) consenta la stabilizzazione solo dei dipendenti con contratti a tempo determinato. Tale interpretazione è errata.  L’art. 20 della legge Madia prevede la possibilità di stabilizzare il personale precario purché abbia maturato almeno 36 mesi di servizio, negli ultimi 8 anni, con qualsiasi rapporto di lavoro flessibile, inclusi gli assegni di ricerca presso INFN o altri enti pubblici di ricerca ed Università e, nel caso del comma 1, è prevista la stabilizzazione diretta, senza concorso, del personale che abbia anche superato una procedura selettiva pubblica (ad es. concorso per Tempo Determinato). Questo è stato ribadito da circolari ufficiali del Dipartimento della Funzione Pubblica e da numerose sentenze del Consiglio di Stato. Pertanto, i potenziali aventi diritto alla stabilizzazione all’INFN non sono “meno di dieci” ma diverse centinaia di persone che soddisfano pienamente i requisiti previsti dalla Legge Madia. Ridurre la norma ai soli contratti “da dipendente” significa escludere artificialmente gran parte del personale precario stabilizzabile e che da anni contribuisce alla missione scientifica dell’Ente. 

‘Quanto agli assegni di ricerca, pensiamo che sia un passaggio formativo importante’ cit. A. Zoccoli
Gli assegni di ricerca non sono più “formativi”. Gli assegni di ricerca dovevano, in teoria, essere uno strumento post-dottorale di formazione e transizione. Ad oggi però, definire l’assegno di ricerca come “un passaggio formativo” ignora la realtà: la maggior parte degli assegnisti INFN lavora da 5, 10 o più anni su attività scientifiche strutturali, ricoprendo crescenti incarichi di responsabilità e di gestione in collaborazioni internazionali e in gruppi di ricerca che non potrebbero funzionare senza il loro contributo. Molti assegnisti lavorano in ambito precario presso l’INFN o le Università da oltre un decennio. L’assegno di ricerca non è più uno strumento “formativo”, ma una forma di lavoro stabile senza diritti stabili.

‘…nel nostro Ente la durata media dell’assegno è inferiore ai due anni, e questo dimostra che è stato uno strumento utilizzato in modo sano.’ cit. A. Zoccoli
La durata media dei contratti non racconta la precarietà reale. Il presidente cita una durata media degli assegni “inferiore ai due anni” per sostenere che lo strumento sia usato in modo “sano”. Purtroppo però, tale durata media si riferisce al singolo contratto, e non alla durata effettiva della precarietà della persona. Tale dato è statisticamente ingannevole: i contratti sono brevi, ma le persone restano precarie per anni, spesso con rinnovi successivi o interruzioni artificiali ma con continuità di mansioni. Da un recente sondaggio (promosso da noi precari e tuttora in corso) che ha coinvolto circa un centinaio di ex o attuali assegnisti il 52% ha dichiarato di aver avuto 3 o più anni di assegni di ricerca INFN.  Si tratta quindi di precarietà seriale, non di un sistema “sano”.

‘Abbiamo avuto un incontro con la ministra […] Bernini: il piano è di regolarizzare chi ha lavorato a progetti PNRR, […] ma noi vogliamo assumere per concorso e basandoci sul merito.’ cit. A. Zoccoli
Il PNRR non può essere un alibi. I contratti finanziati dal PNRR stanno producendo una nuova generazione di precari, spesso con altissima qualificazione scientifica. Annunciare “regolarizzazioni” ma ribadire che “si assumerà solo per concorso” ignora che molti di questi precari hanno già superato selezioni pubbliche competitive. È necessario un piano straordinario di stabilizzazione e di riconoscimento del merito, non l’ennesimo azzeramento.

‘Due anni fa abbiamo assunto 50 ricercatori e oltre 100 tecnologi, più altri 50 ricercatori quest’anno e 45 tecnologi nel 2026. Non è poco.’ cit. A. Zoccoli
Le assunzioni tramite concorso non risolvono il problema. I concorsi citati dal presidente (50 ricercatori, 100 tecnologi, e altri previsti nel 2026) rappresentano una frazione minima del personale precario in servizio senza incidere sul fenomeno strutturale. Lo dimostra l’esorbitante numero di candidati dell’ ultimo concorso per ricercatori (più di 500 domande per soli 40 posti). Inoltre, tali concorsi coinvolgono giustamente anche i precari universitari e di altri enti, esterni agli INFN. Le assunzioni ci sono state, ma con tempistiche dilatate e numericamente irrilevanti rispetto ai precari in servizio. Il turnover naturale non è una soluzione ad un emergenza, ma una sostituzione naturale. Senza un piano straordinario di stabilizzazione, il fenomeno del precariato resta invariato.

In conclusione: 
L’INFN è un’eccellenza scientifica italiana riconosciuta a livello mondiale, ma si regge sul lavoro di centinaia di precari. Negare questa evidenza, o interpretare erroneamente le norme di stabilizzazione, significa tradire lo spirito stesso della legge Madia, nata per valorizzare chi ha contribuito alla ricerca pubblica per anni senza tutele e ignorare il riconoscimento del valore e del merito delle carriere del personale precario che lavora nell’INFN. Gli strumenti legislativi sono lì per essere usati: chiediamo che l’Ente si attivi immediatamente per effettuare una reale ricognizione dei precari e degli aventi diritto alla stabilizzazione mediante Legge Madia e art. 12 bis del d.lgs. 218/2016 applicando la normativa in modo pieno. È il momento di avviare un percorso concreto di riconoscimento e stabilizzazione di chi ha sostenuto con passione, competenza e continuità le attività scientifiche dell’INFN e, con esse, l’intera ricerca italiana.