«Non credo nemmeno di volere più un figlio. Voglio solo riavere la mia vita. Voglio dire, guardaci. Siamo un disastro. È come se non avessimo nemmeno una relazione, figuriamoci un matrimonio. Non sono tuo marito, sono solo un tipo che ti inietta ormoni ogni sera. Non facciamo nemmeno più sesso». Lo sfogo di Richard dopo l’ennesimo tentativo fallito di fecondazione in vitro con sua moglie Rachel, nel film Private Life di Tamara Jenkins del 2018, è un’efficace rappresentazione del costo emotivo e fisico della procreazione medicalmente assistita. Quale coppia in questa situazione non preferirebbe recuperare la propria fertilità naturale con un metodo meno invasivo, più rispettoso della fisiologia e dell’intimità?
Su questa fragilità fanno leva i promotori della NaProTecnologia (tecnologia della procreazione naturale), un protocollo per il trattamento dell’infertilità presentato come un’alternativa naturale, sicura ed efficace alla PMA, che proprio per questa ragione sta guadagnando seguito negli Usa e più di recente anche in Europa.
Un approccio di matrice religiosa
Negli anni ‘80-’90 del secolo scorso, il ginecologo Thomas Hilgers, fondatore del Saint Paul VI Institute di Omaha, nel Nebraska, ha messo a punto la NaProTecnologia per venire incontro alle coppie con problemi di infertilità che per motivi religiosi rifiutano il concepimento al di fuori dell’atto sessuale tra coniugi, quindi sia l’inseminazione intrauterina che la fecondazione in vitro, e la produzione di embrioni soprannumerari. L’approccio, si legge sul suo sito web, è «medicina pro-vita, che rispetta le donne, le coppie e i bambini non nati e non viola gli insegnamenti della Chiesa Cattolica».
Il protocollo di Hilgers, di cui si trova un riassunto in rete e una descrizione più dettagliata nelle 1290 pagine del manuale The Medical and Surgical Practice of NaProTechnology (Pope Paul VI Institute Press, 2004), si basa principalmente sull’osservazione, più volte al giorno, della consistenza del muco cervicale della donna, la cui descrizione deve essere riportata ogni sera in una tabella allo scopo di identificare i giorni fertili del ciclo ovulatorio in cui programmare rapporti sessuali per ottimizzare la probabilità di concepire.
L’osservazione del muco cervicale e i rapporti sessuali mirati nei giorni fertili del ciclo sarebbero sufficienti, secondo Hilgers, a compensare l’eventuale fattore maschile dell’infertilità di coppia, a garantire buone probabilità di concepimento anche in presenza di alterazioni quantitative o qualitative del liquido seminale.
Se il successo tarda ad arrivare alla gravidanza nonostante questo accorgimento, l’osservazione della tabella e il dosaggio nel sangue degli ormoni sessuali permettono di identificare e correggere la disfunzione responsabile del problema. In aggiunta, il protocollo prevede che tutte le donne con problemi di infertilità vengano sottoposte a chirurgia esplorativa pelvica, per individuare eventuali anomalie degli organi genitali, anche minime: focolai di endometriosi, aderenze, cisti ovariche, polipi, fibromi. Tutte devono essere rimosse per ripristinare la piena funzionalità riproduttiva.
«Più efficace e più sicura della PMA»
Non c’è nulla di male nell’offrire dei servizi sanitari in linea con le convinzioni morali di chi ne usufruisce, a patto di fornire informazioni corrette su efficacia, sicurezza e limiti. Hilgers sostiene ripetutamente che il tasso di successi ottenuto applicando le tecniche della NaProTecnologia è superiore a quello della procreazione medicalmente assistita. Le pubblicazioni su cui si basano le sue affermazioni, però, sono resoconti dell’attività dei centri che applicano esclusivamente questo protocollo. Non è stato mai condotto uno studio clinico controllato che compari la PMA e la NaProTecnologia, perché i due approcci si applicano in contesti diversi: si ricorre alla procreazione medicalmente assistita proprio quando non è possibile ripristinare la fertilità naturale della coppia, oppure quando gli esami per indagare sull’origine dell’infertilità richiedono più tempo di quello disponibile prima che le probabilità di successo si riducano per l’avanzare dell’età dei partner.
«Lo specialista di medicina della riproduzione che prende in carico una coppia con un problema di infertilità, la sottopone agli accertamenti e ai trattamenti più appropriati con lo scopo, quando è possibile, di risolvere il problema e consentire il concepimento», spiega il ginecologo Antonino Guglielmino, fondatore ed ex-presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana, «ma non sempre c’è una terapia efficace per rimuovere l’ostacolo. Allora in molti casi si può fare ricorso alla PMA, che non restituisce la fertilità naturale, ma ha fatto nascere milioni di bambini e ha consentito a milioni di coppie nel mondo di realizzare il loro progetto genitoriale».
I sostenitori della NaProTecnologia accusano la procreazione medicalmente assistita di essere pericolosa per la salute delle donne e dei futuri bambini. «Sono stati condotti molti studi sull’eventualità che i farmaci somministrati all’aspirante madre per stimolare l’ovulazione, la fecondazione in vitro e le pratiche a cui viene sottoposto l’embrione prima del trasferimento in utero possano alterare lo sviluppo dello stesso embrione», risponde il genetista Liborio Stuppia, professore ordinario di Genetica Medica e Rettore dell’Università Gabriele D’Annunzio Chieti-Pescara. «A oggi l’unica conseguenza accertata è che il rischio di malformazioni congenite per i nati con l’aiuto della PMA è pari al 4%, contro un rischio del 3% per i nati da fecondazione spontanea. È un dato che deve essere comunicato alle coppie che stanno valutando se avvalersi della PMA, ma che di solito non influisce molto sulla loro decisione, perché queste persone non hanno la scelta tra concepimento spontaneo e PMA, ma tra la PMA e rinunciare ad avere un figlio. Inoltre, ci sono diversi fattori, prima tra tutti l’età materna, che influiscono sulla salute del nascituro più del ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Se dovessimo sconsigliare la procreazione medicalmente assistita per questo motivo, dovremmo sconsigliare anche la gravidanza spontanea a tutte donne di età superiore a 35 anni».
Per quanto riguarda l’impatto sulla salute dell’aspirante madre, la NaProTecnologia non è meno invasiva della PMA. «Sottoporre tutte le donne con problemi di infertilità a chirurgia laparoscopica è una scelta opinabile», osserva il ginecologo Walter Vegetti, responsabile della Struttura Semplice di Procreazione Medicalmente Assistita della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. «Come tutti gli interventi chirurgici, comporta dei rischi e non è sempre utile, dal momento che non sempre la presenza di un polipo o di un fibroma sono causa di infertilità. Per quanto riguarda l’endometriosi, proprio di recente sono stati presentati i risultati di uno studio italiano multicentrico randomizzato che ha coinvolto il nostro ospedale, l’Ospedale San Raffaele e l’Ospedale Macedonio Melloni di Milano, condotto su 130 donne con infertilità ed endometriosi moderata e grave. Un gruppo di loro è stato sottoposto a rimozione chirurgica dei focolai della malattia, seguita dalla ricerca del concepimento spontaneo. Il secondo gruppo è stato indirizzato alla fecondazione in vitro. Un anno dopo, il 46% delle pazienti che hanno intrapreso la fecondazione in vitro ha portato a termine con successo una gravidanza, contro il 23% delle pazienti sottoposte a intervento chirurgico. È la prima volta che questi due approcci vengono confrontati in uno studio randomizzato e la PMA è risultata nettamente superiore».
La diffusione negli USA e in Europa
Non sorprendentemente, la NaProTecnologia e altri approcci analoghi, come NeoFertility e il protocollo FEMM, chiamati nel loro complesso medicina riproduttiva riparativa, si sono guadagnati il consenso dei movimenti pro-natalisti Usa che si oppongono all’interruzione volontaria di gravidanza e ai metodi contraccettivi moderni. Lo stesso Thomas Hilgers attribuisce alla rivoluzione sessuale e all’avvento dei contraccettivi ormonali la dissoluzione morale della società e del matrimonio tradizionale e, di conseguenza, gli attuali tassi di infertilità.
L’anno scorso, esperti legali del think tank conservatore Heritage Foundation hanno presentato una proposta di legge per tagliare i fondi pubblici alla PMA e indirizzarli verso le cliniche che praticano la medicina riproduttiva riparativa. L’American Society for Reproductive Medicine ha risposto con una nota che la medicina riproduttiva riparativa non è un’alternativa alla procreazione medicalmente assistita e non aggiunge nulla alla medicina riproduttiva tout court. Le sottrae invece alcuni strumenti di provata efficacia, riducendo le probabilità di successo anziché aumentarle.
Negli ultimi anni, studi medici e singoli professionisti che praticano la NaProTecnologia e approcci simili si sono moltiplicati anche in Europa, specialmente in Spagna, Irlanda e Svizzera. Alcuni sono attivi anche in Italia. Nel rapporto The Next Wave: How Religious Extremism Is Regaining Power pubblicato lo scorso settembre, gli esperti dello European Parliamentary Forum for Sexual and Reproductive Rights chiamano questi attori «fornitori di servizi anti-gender», la stessa categoria a cui appartengono i centri per le gravidanze in crisi, strutture simili a consultori che offrono sostegno alle donne in gravidanza con l’obiettivo di dissuaderle dall’aborto. Il rapporto li definisce «servizi pseudo-scientifici, radicati nel dogma religioso, indirizzati ai giovani, alle donne incinte e alle comunità LGBTQI per minare in modo sottile l’accesso alla contraccezione, all’aborto, all’educazione sessuale e alle relazioni tra persone dello stesso sesso. Moderni nell’aspetto ma regressivi nella loro essenza, questi servizi sono solitamente promossi da organizzazioni non governative di matrice ecclesiastica, dissimulati dietro facciate credibili e sostenuti da evidenze scientifiche distorte. (…) Si presentano come legittime alternative ai servizi di salute sessuale e riproduttiva basati sull’evidenza».





