A partire dalla scoperta e sviluppo della penicillina negli anni ‘40 del secolo scorso, la ricerca farmacologica ha compiuto progressi inarrestabili per oltre quarant’anni identificando nuove classi di antibiotici, ciascuna con uno specifico meccanismo d’azione, che hanno consentito per decenni di trattare un ampio spettro di infezioni batteriche con successo. Tuttavia, le straordinarie capacità adattative dei patogeni, stimolate da un uso eccessivo e spesso inadeguato degli antibiotici, hanno inaspettatamente portato allo sviluppo di resistenze contro i principali meccanismi molecolari dei farmaci.

Al contempo, all’“età dell’oro” della scoperta antibiotica è seguito un forte rallentamento nella ricerca: l’incapacità di individuare strategie terapeutiche innovative ha contribuito a rendere l’antibiotico resistenza la pandemia silenziosa di questo secolo. Secondo il rapporto dell’ONU No Time to Wait del 2019, in assenza di un intervento urgente e coordinato a livello globale, le infezioni resistenti potrebbero causare fino a 10 milioni di morti all’anno entro il 2050. Attualmente in Europa si registrano 35.000 decessi annui legati a queste infezioni, un terzo dei quali in Italia, che si conferma tra i maggiori consumatori di antibiotici.

Come riporta l’AIFA, l’agenzia del farmaco, nel suo Rapporto nazionale sull’uso degli antibiotici in Italia relativo all’anno 2023, nella nostra penisola si osserva un preoccupante incremento del 5,4% nel consumo di antibiotici a uso sistemico e del 4,3% attraverso le altre vie di somministrazione rispetto all’anno precedente. Si tratta dunque di una sfida non più rinviabile, per la quale è urgente dotarsi di nuovi strumenti. E l’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi l’alleato che finora è mancato.

La vista lunga dell’algoritmo

Da circa un decennio, infatti, la ricerca scientifica sfrutta modelli di AI per sviluppare nuove strategie terapeutiche. Gli algoritmi più utilizzati si basano su modelli matematici in grado di elaborare grandi volumi di dati: partendo da dataset contenenti migliaia di molecole ad attività nota, il sistema è capace di individuare le porzioni molecolari responsabili dell’attività contro determinati target terapeutici, prevederne le interazioni nell’organismo in termini di efficacia e tossicità, ed eventualmente generare, sulla base delle informazioni acquisite, strutture molecolari ex novo potenzialmente attive. I modelli più comunemente usati si basano su metodi tradizionali di apprendimento automatico (Machine Learning, ML). Gli algoritmi riescono a riconoscere le caratteristiche strutturali importanti e a prevedere come queste molecole interagiranno con l’organismo, in termini di efficacia o tossicità. Questo permette di ridurre drasticamente la necessità di testare ogni singola molecola in laboratorio, con un grande vantaggio in termini di costi e tempi.

Una delle prime pubblicazioni in materia risale al 2014 e riguarda l’impiego dell’AI nella ricerca di nuove molecole attive contro Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA), una delle maggiori sfide legate alla resistenza antibiotica. Lo studio si è basato sull’uso di diversi algoritmi di apprendimento automatico (ML) applicati a un dataset di 5.451 composti, noti per inibire in misura differente la crescita dei ceppi resistenti. Una volta individuati i pattern chimico-fisici associati all’attività, il modello più performante ha applicato questi criteri nello screening di un database di circa 7.500 composti, individuandone 56 potenzialmente attivi. Su questi sono stati condotti test in vitro su tre ceppi di MRSA altamente resistenti, individuando 12 molecole ad azione anti-MRSA a una concentrazione clinicamente promettente, di cui 3 con attività significativa contro tutti e tre i ceppi testati. L’approccio ha quindi permesso di restringere rapidamente il numero di candidati da 7.500 a pochi agenti promettenti, accelerando il processo di discovery.

Inoltre, grazie all’analisi computazionale, è possibile ipotizzare l’effetto di modifiche strutturali, come l’introduzione di nuovi gruppi funzionali o vincoli conformazionali, sull’attività biologica e sulla tossicità delle molecole. In altre parole, a partire da composti noti, è possibile progettare nuove molecole con caratteristiche farmacologiche migliorate.

Funziona anche l’approccio inverso

Un’ulteriore possibilità consiste nell’adottare l’approccio inverso, partendo dallo studio del sito attivo nel quale il farmaco si inserisce per esplicare la propria azione, e procedendo poi all’identificazione di strutture potenzialmente efficaci. Questa impostazione ha permesso di individuare potenziali inibitori delle beta-lattamasi in uno studio del 2017 basato su un modello di intelligenza artificiale Random Forest (RF).

Molti batteri hanno nel tempo sviluppato la capacità di produrre beta-lattamasi, una classe di enzimi che, inattivando gli antibiotici beta-lattamici, rendono il patogeno resistente alla loro attività farmacologica. Gli autori hanno costruito un modello RF istruendolo a selezionare potenziali inibitori sulla base delle caratteristiche chimico-fisiche del target, analizzando una vasta libreria chimica di circa 700.000 composti. Lo screening, basato su parametri come forma molecolare, solubilità, polarità e proprietà elettrostatiche, ha permesso di selezionare 74 candidati, successivamente sottoposti a validazione sperimentale.

Il contributo del Deep Learning

È a partire dal 2020 che l’AI ha compiuto progressi veramente rivoluzionari nella ricerca di nuovi antibiotici, grazie all’applicazione di tecniche all’avanguardia come il Deep Learning (DL). Questo algoritmo permette di analizzare direttamente dati grezzi, come le sequenze amminoacidiche, poiché basato su reti neurali estremamente complesse. La comprensione del loro funzionamento interno rimane in gran parte limitata, ecco perché spesso definiti modelli a “scatola nera” (black box). Un momento chiave in questo campo è stato uno studio che ha impiegato un modello di Deep Learning chiamato Directed Message Passing, addestrato utilizzando un dataset di 120 molecole efficaci contro Escherichia coli e 2.215 molecole inattive. Una volta addestrato, il modello è stato utilizzato per analizzare librerie più estese, contenenti oltre 5.000 molecole in diverse fasi di sviluppo.

Questo screening ha portato alla scoperta dell’Halicin, inizialmente investigato per il trattamento del diabete, che ha mostrato un’attività inaspettata contro ceppi resistenti di E. coli, persino su cellule in uno stato metabolicamente represso. La sua azione di interferenza con la produzione di energia della cellula batterica ne compromette irreversibilmente le funzioni vitali.

Questi algoritmi possono dunque offrire un aiuto concreto nel selezionare nuove strutture chimiche e contrastare l’antibiotico resistenza.

Appropriatezza e approccio One Health

Ma se da un lato l’obiettivo è individuare nuovi rimedi, dall’altro è altrettanto urgente agire sulle cause profonde di questa crisi, riconoscendo l’interconnessione tra salute umana, ambientale e animale. È in quest’ottica che è stato sviluppato il nuovo Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR, 2022-2025), approvato in Italia nel novembre del 2022 e strutturato secondo il paradigma One Health, adottato già nel 2017 dalla Commissione europea. Il piano delinea strategie e indicazioni affrontando in modo integrato la salute degli ecosistemi viventi e dell’ambiente circostante e sottolineando al contempo l’importanza di una rete di sorveglianza a livello nazionale, oltre che di un’attività di comunicazione mirata a educare sul consumo prudente degli antibiotici. In una parola: sensibilizzare, primariamente tra i professionisti della salute.

Infatti, secondo i dati, una prescrizione su quattro è inappropriata e inefficace perché rilasciata contro infezioni a eziologia non batterica. Proprio per questo sono state promosse iniziative formative e strumenti digitali rivolti in primis agli operatori sanitari. L’Agenzia italiana del farmaco ha recentemente lanciato First Line, un’applicazione pensata sia per guidare i medici verso scelte terapeutiche più appropriate sia per diffondere maggiore consapevolezza nella popolazione. È fondamentale limitare gli antibiotici appartenenti alle categorie Watch e Reserve, meno selettivi e quindi maggiormente impattanti sulla diffusione della resistenza, preferendo gli antibiotici di categoria Access, ad azione più mirata. Secondo quanto riportato nel piano One Health, le prescrizioni relative a questo gruppo dovrebbero raggiungere il 65% entro il 2030, mentre in Italia il dato più recente è fermo al 54,4 %, con forti disparità regionali.

Proprio allo scopo di orientare in modo coerente le azioni di contrasto all’antibiotico resistenza da parte delle Regioni, il precedente PNCAR 2017-2020 aveva già introdotto SPiNCAR , uno strumento realizzato e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità che consente a Regioni, ASL e strutture sanitarie di autovalutare l’attuazione delle misure previste, attraverso indicatori condivisi e standardizzati. Dopo la raccolta dati del 2022 e l’esito positivo del progetto pilota, SPiNCAR è stato aggiornato per allinearsi al nuovo piano PNCAR 2022-2025.

Il rafforzamento della sorveglianza e l’implementazione di sistemi come questo, fondamentali per monitorare e gestire l’antibiotico-resistenza con un approccio sinergico, e il continuo perfezionamento delle tecnologie e dei metodi utilizzati nella ricerca farmacologica sono i punti su cui è necessario far leva in questo momento.

I limiti dell’AI

È indubbio che i modelli computazionali e gli algoritmi di intelligenza artificiali abbiano potenzialità straordinarie e offrano grandi opportunità alla ricerca scientifica, ma è fondamentale evitare di affidare prematuramente un ruolo salvifico a questa evoluzione, non considerando i limiti di queste tecnologie.

Uno dei principali vincoli risiede nella qualità e nella disponibilità dei dati. I modelli di machine learning lavorano su database preesistenti e la loro capacità predittiva dipende fortemente dalla quantità, varietà e affidabilità delle informazioni contenute. In ambito farmaceutico, le banche dati sono spesso ridotte o scarsamente standardizzate, soprattutto per quanto riguarda le molecole meno studiate o i composti con profili tossicologici incerti. Questo può ridurre la capacità di individuare nuove soluzioni davvero efficaci o clinicamente rilevanti. Inoltre, le molecole promettenti individuate tramite l’intelligenza artificiale potrebbero rivelarsi fallimentari nei successivi test in vitro e in vivo: alcuni candidati, pur mostrando attività antimicrobica, potrebbero avere problemi di tossicità, biodisponibilità, stabilità chimica e assorbimento, evidenziando come sia ancora necessario procedere cautamente nella valutazione sperimentale.

Ecco perché l’AI non va considerata come una soluzione autonoma o definitiva, o, peggio, una panacea, bensì come un potente strumento da affiancare ai metodi tradizionali. Solo un’integrazione critica e consapevole delle nuove tecnologie, affiancata da concrete azioni di prevenzione e da un uso responsabile degli antibiotici, potrà tradursi in un reale progresso terapeutico nella gestione efficace dell’antibiotico-resistenza, sempre mantenendo al centro la sicurezza e il rigore scientifico.