Trump alla fine ha deciso di unirsi ai bombardamenti israeliani contro l’Iran per smantellarne con la forza l’ipotetico programma nucleare. Le minacce della Russia più o meno implicite di usare la bomba nucleare con l’Ucraina sono sempre presenti, e la Corea del Nord fa lo stesso con la Corea del Sud. Questi dati sono oggetto anche delle preoccupazioni del Ban Monitor, che scrive che dal 2017 (entrata in vigore del Trattato di proibizione dell’arma nucleare) le testate nucleari totali sono un po’ diminuite, ma sono aumentate quelle pronte all’uso.

Ricordiamo che al Trattato di proibizione (che vieta il possesso di armi nucleari) non partecipano tutti i possessori della bomba (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord, dichiarati o meno) né i paesi membri di alleanze militari che usano l’ombrello nucleare come deterrenza. Quindi anche l’Italia in quanto membro NATO. Nel 2024, Indonesia, São Tomé e Príncipe, Sierra Leone e Isole Salomone hanno ratificato il trattato, raggiungendo così la metà dei paesi idonei. Israele non ha aderito nemmeno al Trattato di non proliferazione insieme a Pakistan, Corea del Nord e Sud Sudan. L’Iran è firmatario di quest’ultimo che, ricordiamo, chiede lo smantellamento ai possessori della bomba e agli altri di non dotarsene.

Qui l’elenco di altri trattati anche sull’uso delle armi nucleari, come lo START e ora il New START che mette d’accordo Stati Uniti e Russia sulla reciproca limitazione della bomba.

Ci sembra importante sapere che, sempre secondo il Ban Monitor, il 70% dei membri ONU è favorevole al Trattato di proibizione e l’80% dei cittadini dei 188 paesi che non hanno l’arma (cioè quasi tutti) è rappresentato da governi che sostengono il Trattato. Il comportamento dei pochi possessori della bomba, evidentemente, cozza non poco con la volontà di gran parte della comunità internazionale, che conosce bene quali sono le terribili conseguenze dell’uso di un ordigno nucleare e quindi preferirebbe non usarlo. L’obiezione, come noto, è la necessità di avere la tanto inflazionata deterrenza. Non è questo l’articolo per discuterne, ci sia solo consentito di levare leciti dubbi sulla sua effettiva utilità, se non proprio di prendere atto della sua ormai evidente irricevibilità.

Bombardamenti israeliani

Israele, come già detto, ha l’arma nucleare anche se non lo dichiara esplicitamente. Unica nel suo genere. Lo ricorda Lara Jakes sul New York Times. Il suo programma è segreto e, secondo alcuni esperti, anche in espansione. «Secondo il Center for Arms Control and Nonproliferation e la Nuclear Threat Initiative, si ritiene ampiamente che Israele possieda almeno 90 testate nucleari e abbastanza materiale fissile da poterne produrre fino a diverse centinaia in più».

Israele, ricorda l’autrice, non è tra i paesi protetti dall’ombrello nucleare americano, il che aggiunge certezza nell’effettivo possesso della bomba, che iniziò a sviluppare probabilmente dal 1958 nella città di Dimona. Risulta quindi a maggior ragione incoerente il comportamento dello stato israeliano nel bombardare l’Iran con l’accusa di volersi costruire ordigni nucleari.

I giornalisti sono tra le vittime colpite dai bombardamenti: considerando anche i massacri di Gaza, questo è «il periodo più letale per i giornalisti da quando il Committee to Protect Journalists ha iniziato a raccogliere dati nel 1992», si legge nel Bulletin of Atomic Scientists. Secondo la Federazione internazionale dei giornalisti, almeno quattro giornalisti sono stati uccisi dall’inizio dell’assalto israeliano contro l’Iran del 13 giugno» (l’articolo è del 18 giugno, quindi il numero potrebbe essere cresciuto). Inoltre,

il CPJ ha dichiarato di aver «documentato almeno otto episodi separati il 14 e 15 giugno che hanno coinvolto molestie, ostruzioni, confisca di attrezzature, istigazioni e, in alcuni casi, espulsioni forzate da parte della polizia israeliana ai danni di almeno 14 giornalisti». La maggior parte di questi giornalisti lavora per testate in lingua araba e stava seguendo eventi legati agli attacchi iraniani o israeliani.

Gravi danni si sono registrati anche per la ricerca scientifica. Su Nature si racconta dei danneggiamenti di laboratori a causa dei bombardamenti, così come a impianti nucleari, con l’uccisione di alcuni scienziati nucleari, come noto. I ricercatori iraniani stanno evitando incontri in presenza per paura di essere colpiti. Abbas Edalat, informatico iraniano per l’Imperial College di Londra, e Encieh Erfani, cosmologa iraniana per il Perimeter Institute for Theoretical Physics di Waterloo, hanno fornito a Nature le loro testimonianze, parlando di «restrizione seria» alla scienza, che «sta pagando un prezzo molto alto», considerando anche le sanzioni già esistenti.

Cosa dice l’AIEA sul nucleare iraniano?

Posto che nessun pericolo imminente autorizzi alcuno stato a violare il diritto internazionale e bombardare un paese sovrano (anche se non democratico), l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), tramite il suo Direttore Generale Rafael Grossi, ha espresso preoccupazione per la mancanza di trasparenza dell’Iran sul suo programma nucleare. «A meno che e fino a quando l’Iran non collaborerà con l’agenzia per risolvere le questioni ancora aperte legate alle salvaguardie, l’AIEA non sarà in grado di garantire che il programma nucleare iraniano sia esclusivamente pacifico», ha affermato.

L’Agenzia ispeziona e monitora, anche con campionamenti ambientali e immagini satellitari, l’attività dei paesi per raccogliere dati e scrivere rapporti. Se un firmatario del Trattato di non proliferazione non rispetta i requisiti possono essere avviate pressioni diplomatiche, sanzioni o altre richieste.

A fine maggio, inoltre, l’AIEA ha pubblicato il rapporto Verification and monitoring in the Islamic Republic of Iran in light of United Nations Security Council resolution 2231 (2015), che aggiunge informazioni al riguardo. Ne elenchiamo alcuni punti fondamentali, eliminando le specifiche troppo tecniche, comunque consultabili al link qui sopra.

  • L’Iran può convertire il suo attuale stock di uranio arricchito al 60% in 233 kg di uranio weapons-grade in tre settimane presso l’impianto di arricchimento combustibile di Fordow, sufficiente per 9 armi nucleari.
  • L’Iran potrebbe produrre la sua prima quantità di 25 kg di uranio weapons-grade a Fordow in appena due o tre giorni.
  • Accelerando la produzione sia a Fordow che presso l’impianto di arricchimento combustibile di Natanz, i due impianti insieme potrebbero produrre abbastanza uranio weapons-grade per 11 armi nucleari nel primo mese, sufficienti per 15 armi nucleari entro la fine del secondo mese, 19 entro la fine del terzo mese, 21 entro la fine del quarto mese e 22 entro la fine del quinto mese.
  • Davanti agli occhi degli ispettori, l’Iran sta intraprendendo il penultimo passo dell’accelerazione, convertendo ora il suo stock di uranio arricchito al 20% in uranio arricchito al 60% a un ritmo notevolmente accelerato, anche se questo ritmo non può essere sostenuto molto più a lungo.
  • L’Iran non ha alcun uso civile o giustificazione per la sua produzione di uranio arricchito al 60%, particolarmente al livello di centinaia di chilogrammi. La sua fretta di produrne molto di più, esaurendo rapidamente il suo stock di uranio arricchito al 20%, che ha un uso civile nei reattori di ricerca, solleva ulteriori interrogativi.
  • Gli sforzi dell’AIEA per verificare le attività nucleari dell’Iran, particolarmente le sue attività di arricchimento dell’uranio, continuano a essere seriamente compromessi dalla decisione dell’Iran dello scorso autunno di ritirare la designazione di diversi ispettori esperti.
  • Al 17 maggio 2025, lo stock complessivo netto di uranio arricchito, inclusi tutti i livelli di arricchimento e tutte le forme chimiche, era aumentato di 953,2 kg, da 8294,4 kg a 9247,6 kg.
  • L’Iran ha continuato a produrre uranio arricchito al 60% da uranio poco arricchito al 5% in due coppie di cascate di centrifughe avanzate interconnesse presso l’impianto pilota di arricchimento combustibile in superficie.
  • Tuttavia, moltiplicando la sua produzione di uranio arricchito al 60%, l’Iran sta utilizzando quantità significative di uranio arricchito al 20% come materia prima, un ritmo che non è sostenibile a meno che l’Iran non aumenti significativamente la produzione di uranio arricchito al 20%.
  • A questo ritmo di alimentazione e produzione, l’Iran potrebbe sostenere l’alta produzione di uranio arricchito al 60% per circa tre mesi dopo il 17 maggio.
  • L’Iran ora ha quasi 14.689 centrifughe avanzate installate a Natanz e Fordow, dove la maggior parte sono dispiegate presso l’impianto di arricchimento combustibile di Natanz.
  • Va notato che molte centrifughe avanzate sono dispiegate ma non stanno arricchendo uranio, e le centrifughe IR-1 hanno una capacità ridotta di arricchire uranio.
  • L’Iran ha una capacità totale di arricchimento installata di circa 64.000 swu/anno. La sua capacità di centrifughe per l’arricchimento è minore, circa 50.000 swu/anno (il swu è il separative work unit, l’unità di misura dello “sforzo” fatto per separare isotopi di uranio in un processo di arricchimento).
  • In generale, l’Iran non ha dato priorità all’accumulo di uranio arricchito tra il 2 e il 5%. Questa scelta è in contrasto con l’affermazione dell’Iran che il suo obiettivo primario è accumulare uranio arricchito al 4-5% per l’uso nel combustibile del reattore nucleare. Invece, l’Iran si è concentrato sulla produzione di uranio arricchito al 60%, ben oltre i bisogni civili dell’Iran.
  • L’AIEA riporta nuovamente che l’Iran non inizierà la messa in servizio del reattore di Arak, ora chiamato Reattore di Ricerca ad Acqua Pesante di Khondab, fino almeno al 2025, con l’operazione prevista per iniziare nel 2026. Gli ispettori non hanno osservato nuovamente alcun cambiamento significativo al reattore, notando questa volta solo costruzioni civili minori.
  • Anche se l’AIEA può accertare il numero di centrifughe dispiegate a Fordow e Natanz, non può sapere quante altre l’Iran ne ha fatte e conservate o dispiegate in un sito non dichiarato. Un rischio è che l’Iran accumuli uno stock segreto di centrifughe avanzate, dispiegabili in futuro in un impianto di arricchimento clandestino, che avrebbe bisogno solo di ospitare relativamente poche cascate di centrifughe avanzate per arricchire l’attuale stock dell’Iran di uranio arricchito al 60% a uranio weapons-grade.

C’è quindi preoccupazione – anche appunto per mancanza di trasparenza – nonostante alcuni elementi facciano pensare, in ogni caso, che non sia così semplice per l’Iran dotarsi dell’arma nucleare.

Che cos’è l’arricchimento dell’uranio

Kaitlin Cook spiega su The Conversation a cosa serve l’arricchimento dell’uranio. In natura, la maggior parte dell’uranio, il 99,27%, è uranio-238, solo lo 0,72% è uranio-235, quello che serve per scatenare le reazioni a catena, controllate nei reattori a uso civile e il più veloci possibili nelle bombe.

Il metodo più usato oggi per arricchire l’uranio è l’uso di centrifughe, di cui parla l’AIEA. Sfruttando la differenza di peso dei due isotopi (di poco più dell’1%) il pesante uranio-238 si depositerà alle estremità isolando l’uranio-235. Le pareti esterne della centrifuga si muovono a una velocità di 400/500 metri al secondo. Il processo viene ripetuto molte volte, ecco perché è costoso, ma tecnicamente si può usare lo stesso metodo sia per ottenere combustibile per le centrali nucleari sia per le bombe.

La percentuale di arricchimento per le prime è di 3/5%; alle bombe serve almeno il 20%. Tuttavia, spiega Cook, più è arricchito più l’arma sarà leggera, quindi si tende a preferire un arricchimento al 90%, definito appunto weapons-grade.

Intelligence USA: il rischio è anche da Russia e Corea del Nord

Gli Stati Uniti bombardano l’Iran anche se non credono (o non credevano?) che sia in grado di sviluppare l’atomica. È quanto scritto in un rapporto recente della U.S. Intelligence Community, l’entità federativa che raggruppa 18 agenzie federali americane tra cui la CIA, sul pericolo nucleare non solo dell’Iran, ma anche della Russia e della Corea del Nord. I nemici storici insomma (infatti non c’è traccia di Israele nel rapporto, se non come bersaglio di Hamas e Iran). Anche in questo caso è più comodo elencare i punti principali.

Sull’Iran:

  • Teheran cercherà di sfruttare la propria solida capacità missilistica, il programma nucleare ampliato e il rinnovato impegno diplomatico con i Paesi della regione e i rivali degli Stati Uniti per rafforzare la propria influenza regionale e garantire la sopravvivenza del regime. Tuttavia, le sfide regionali e interne – in particolare le tensioni con Israele – stanno mettendo seriamente alla prova le ambizioni e le capacità dell’Iran.
  • Continuiamo a ritenere che l’Iran non stia costruendo un’arma nucleare e che Khamenei non abbia riattivato il programma nucleare militare da lui sospeso nel 2003, anche se probabilmente le pressioni su di lui in tal senso sono aumentate.
  • Nell’ultimo anno, si è assistito a un’erosione del tabù, durato decenni, sul parlare pubblicamente di armi nucleari, cosa che ha incoraggiato i sostenitori dell’arma atomica all’interno dell’apparato decisionale iraniano. Khamenei resta l’ultima autorità decisionale in merito al programma nucleare iraniano, compresa ogni eventuale decisione di sviluppare armi nucleari.

Sulla Russia:

  • La Russia possiede lo stock di armi nucleari più ampio e diversificato che, insieme ai suoi sistemi di lancio terrestri, aerei e navali schierati, potrebbe infliggere danni catastrofici al territorio nazionale statunitense.
  • La Russia ha sviluppato una forza nucleare strategica più modernizzata, mobile e sopravvivibile, progettata per aggirare o neutralizzare future difese missilistiche potenziate degli Stati Uniti e garantire la deterrenza attraverso una capacità affidabile di attacco di rappresaglia.
  • L’enorme arsenale russo di armi nucleari non strategiche le consente di compensare la superiorità convenzionale dell’Occidente e di disporre di opzioni efficaci per la gestione dell’escalation in scenari di guerra regionale.
  • La Russia continua a modernizzare le proprie capacità nucleari nonostante i ripetuti fallimenti nei test di nuovi sistemi.

Sulla Corea del Nord:

  • Kim cerca di intimidire gli Stati Uniti e i suoi alleati per farli rinunciare all’opposizione alle armi nucleari della Corea del Nord e alla sua aggressione verso la Corea del Sud. Per esempio, risponde alla pianificazione militare statunitense con la Corea del Sud e alla cooperazione trilaterale con Corea del Sud e Giappone ordinando lanci di missili e minacciando rappresaglie nucleari.
  • Kim rimane determinato ad aumentare il numero delle testate nucleari della Corea del Nord e a migliorare le sue capacità missilistiche per minacciare il territorio nazionale e le forze statunitensi, i cittadini e gli alleati, e per indebolire il potere degli Stati Uniti nella regione Asia-Pacifico, come dimostrato dal ritmo dei test di volo missilistici del Nord e dalla propaganda pubblica del regime sulle sue capacità di arricchimento dell’uranio.
  • La Corea del Nord è probabilmente pronta a condurre un test nucleare e continua a testare in volo i missili balistici intercontinentali così che Kim possa minacciare il territorio nazionale. La Russia sta sempre più sostenendo lo status nucleare della Corea del Nord in cambio del supporto di Pyongyang alla guerra di Mosca contro l’Ucraina.

Le bombe statunitensi (anche in Italia)

Il sito Arms Control Association scrive che da quando Trump si è ritirato unilateralmente dall’accordo sul nucleare con l’Iran, «Teheran ha ampliato la propria capacità di produrre materiale nucleare a uso militare e ha ridotto l’accesso degli ispettori internazionali», per l’appunto. In più, l’associazione conferma il rischio crescente della bomba nucleare fintanto che la Russia continuerà la guerra con l’Ucraina, soprattutto ora che sta per scadere il trattato New STAR tra Russia e Stati Uniti. Il sito allerta anche che gli autori del Project 2025 – vicino all’agenda politica di Trump – vogliono più spesa per la modernizzazione nucleare e addirittura la ripresa dei test nucleari esplosivi dal 1992.

Qui sotto un video esplicativo sulle bombe nucleari degli Stati Uniti pubblicato dal Bulletin.

Le testate nucleari americane non sono solo su territorio statunitense, ma anche in sei basi di cinque paesi europei membri della NATO: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia. Il Council on Foreign Relations spiega che le testate americane in Europa sono solo “a gravita B61”, «che sono progettate per essere sganciate da bombardieri alleati o aerei da caccia». La potenza di questi ordigni è sulle centinaia di chilotoni; quelle di Hiroshima e Nagasaki erano di quindici e ventuno chilotoni, rispettivamente.

Anche l’Italia partecipa alla condivisione nucleare, con le basi dell’Aereonautica militare di Aviano in Friuli-Venezia-Giulia e di Ghedi in Lombardia. Le testate totali sono 35. È questo il motivo per cui l’Italia non ha mai voluto firmare il Trattato di proibizione, nonostante l’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta avesse spinto per aderire, nonostante l’87% degli italiani lo voglia e, in più, il 74% vuole che le testate nucleari americane siano rimosse dal territorio italiano (secondo un sondaggio YouGov del 2020). Ancora una volta, il parere della maggioranza non sembra contare.

Le bombe russe (forse in Europa)

Il Bulletin ha effettuato lo stesso lavoro anche per le testate russe. Ci avverte che la Russia si trova «nelle fasi finali di un programma di ammodernamento pluridecennale per sostituire tutti i suoi sistemi con capacità nucleare dell’era sovietica con versioni più recenti». In ogni caso, sono registrare difficoltà nel raggiungimento dell’obiettivo di espansione nucleare: «il significativo incremento delle armi nucleari non strategiche che il Pentagono aveva previsto cinque anni fa finora non si è materializzato». Potrebbe nel frattempo completarsi un sito di stoccaggio in Bielorussia.

Potrebbe essere, secondo alcuni ricercatori, che la Russia abbia collocate testate nucleari a Kaliningrad, l’exclave russa sul Mar Baltico tra Polonia e Lituania. Nel 2018 un funzionario russo « avrebbe confermato che la Russia aveva inviato missili Iskander con capacità nucleare a Kaliningrad»; nel 2022 il ministro della difesa lituano ha detto che ci sono sempre state; infine, quando era presidente Medvedev, egli disse che «se Finlandia e Svezia avessero fatto domanda per unirsi alla NATO, cosa che successivamente fecero, la Russia avrebbe dovuto ripristinare l’equilibrio nucleare nei Baltici». Chi lo sa.

Le testate nucleari totali

12.241 sono le testate nucleari nel mondo all’inizio del 2025, secondo la Federation of American Scientists (FAS). Stati Uniti e Russia ne posseggono l’87%. Il picco è stato raggiunto nel 1986 con 70.300 testate nel mondo. Gli Stati Uniti stanno diminuendo il numero di testate nazionali, Francia e Israele sono stabili, mentre Cina, India, Corea del Nord, Pakistan e Regno Unito, come forse la Russia, stanno aumentando le bombe nucleari.

testate nucleari, dove crescono dove diminuiscono

In particolare, la FAS scrive che la Cina ha solo una ventina di testate schierate, il grosso sarebbe stoccato. «La Cina non è un “pari” nucleare degli Stati Uniti, come alcuni sostengono. […] Mentre gli Stati Uniti possiedono una triade strategica completamente sviluppata, la Cina è ancora in fase di costruzione della propria triade nucleare».

La Cina sta concentrando gli sforzi nei missili balistici intercontinentali terrestri, per cui ha completato già tre campi di silos, trenta dei quali dovrebbero essere stati caricati. Stessa cosa con il potenziamento dei lanciamissili balistici sottomarini, per cui «si stima che ora i sottomarini cinesi conducano pattugliamenti continui con armi nucleari a bordo». Tuttavia, questi non sarebbero in grado di colpire il territorio continentale degli Stati Uniti dalle attuali aree operative.

Sui missili balistici, tornando al conflitto Israele-Iran, Al Jazeera ricorda che eventuali missili sono pericolosi proprio perché di lunga gittata, ad alta velocità e di difficile intercettazione, e alcuni rilasciano anche falsi bersagli o altro per ingannare i radar. «La distanza tra l’Iran e Israele è di circa 1.300-1.500 km. Missili balistici lanciati dall’Iran a Mach 5 [5 volte la velocità del suono] possono raggiungere Israele in circa 12 minuti».

Inevitabili condanne dei fisici pacifisti

Un commento a tratti cinico e a tratti provocatorio di Thomas Friedman sul New York Times recita elenca quali debbano essere le condizioni necessarie non sufficienti per la pace in Medio Oriente: l’Iran deve essere costretto a tracciare «un chiaro confine occidentale e smetta di tentare di colonizzare i suoi vicini arabi e distruggere Israele con una bomba nucleare», allo stesso modo «Israele sia costretto a tracciare un chiaro confine orientale e smetta di cercare di colonizzare l’intera Cisgiordania» e infine anche «i palestinesi siano costretti a tracciare chiari confini orientali e occidentali tra Israele e la Giordania e smettano con la sciocchezza del “dal fiume al mare”».

Più facile a dirsi che a farsi.

Da segnalare sicuramente la condanna degli scienziati pacifisti di Pugwash, anzitutto per mostrare vicinanza ai fisici nucleari uccisi «in quanto civili». La Conferenza di Pugwash fa notare che il bombardamento iraniano viola varie risoluzioni AIEA sugli attacchi contro strutture nucleari anche per i possibili effetti radioattivi sul territorio.

Come leader di Pugwash, siamo anche profondamente preoccupati che Israele, come Stato con armi nucleari al di fuori del regime globale del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare (TNP), abbia condotto attacchi militari contro strutture nucleari sotto le salvaguardie complete dell’AIEA di uno Stato non dotato di armi nucleari parte del TNP. Questi attacchi minano le soluzioni diplomatiche in corso sulla questione nucleare iraniana. Un’ulteriore escalation alimenterà e prolungherà la conflagrazione regionale, minaccerà il TNP e rischierà la proliferazione nucleare nella regione del Medio Oriente.

Insomma, la situazione non è delle migliori. E sicuramente la ricerca continua dell’escalation non sembra essere la soluzione migliore. Vedremo.