L’Atto del Governo 304 sul nuovo assetto per l’ANVUR – l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca – va considerato nel quadro della trasformazione complessiva che il governo ha avviato per il sistema dell’università e della ricerca.
Nello specifico, la proposta del governo allontana l’ANVUR dal ruolo di agenzia indipendente, espressione della varietà di soggetti nel mondo della ricerca, focalizzata sulla qualità della ricerca, e la avvicina a un ruolo di strumento del Ministero – che ne nomina direttamente il presidente – con un’azione ispirata ai principi di premialità, efficienza, efficacia e semplificazione.
Ci sono numerosi paradossi nell’Atto del Governo 304.
Si propone un nuovo assetto dell’ANVUR quando il governo ha bloccato da mesi la nomina dei nuovi membri selezionati dall’apposita Commissione di esperti.
Si parla di autonomia mentre si rafforza il controllo diretto del governo sull’ANVUR attraverso le procedure di nomina degli organi.
Si parla di “alta qualità” e allo stesso tempo si estendono gli ambiti di valutazione dell’ANVUR anche alla “valorizzazione della conoscenza” da parte degli atenei, in cui i criteri di mercato possono essere in contrasto con l’eccellenza scientifica.
Si parla di semplificazione e flessibilità quando le modalità di intervento dell’ANVUR in questi anni hanno rappresentato un pesante onere burocratico per gli atenei e l’ANVUR stessa ha promosso l’adozione di rigidi parametri quantitativi in attività come l’Abilitazione Scientifica Nazionale, la VQR, l’accreditamento dei corsi universitari, i criteri di assegnazione dei fondi premiali per gli atenei.
Inoltre, nulla si dice nell’Atto del Governo a proposito dell’aspetto più problematico che caratterizza oggi il sistema universitario italiano: la crescita di università telematiche private i cui standard di qualità – il numero di docenti strutturati per corso di laurea, il rapporto tra docenti e studenti, le modalità di realizzazione degli esami – sono gravemente inadeguati.
L’ANVUR che emerge dall’Atto del Governo sembra caratterizzarsi per attività di valutazione che hanno soprattutto la funzione di estendere logiche premiali nella distribuzione di risorse limitate, con una maggior gerarchizzazione degli atenei, nel quadro di un maggior controllo da parte del Ministero.
Le misure sull’ANVUR vanno considerate in rapporto agli interventi in corso sui concorsi universitari.
Appare incomprensibile come la riaffermazione dei principi di valutazione e del ruolo dell’ANVUR si accompagni all’abolizione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) nella riforma dei concorsi univeritari – DDL 1518, attualmente in discussione, su la “Revisione delle modalità di accesso, valutazione e reclutamento del personale ricercatore e docente universitario”, che introduce il ritorno a concorsi locali.
Le procedure dell’ASN avevano contribuito a migliorare la qualità della ricerca. Attraverso il sorteggio delle Commissioni, avevano indirizzato i giovani ricercatori verso una maggior produzione scientifica di livello internazionale, avevano limitato il peso degli interessi universitari locali, avevano ridotto la dipendenza dei giovani ricercatori dai poteri accademici, pur con alcuni problemi relativi alla definizione dei titoli e all’eccessivo ricorso a strumenti quantitativi. Il rischio per i nuovi concorsi è ora un minor riconoscimento della qualità della ricerca e un ritorno a logiche localistiche.
Gli emendamenti introdotti di recente al DDL 1516 chiariscono alcuni aspetti ma non mutano le preoccupazioni di fondo su un “ritorno al passato”. È importante che il sorteggio dei commissari dei concorsi si faccia da una lista nazionale di docenti qualificati, evitando il rischio di sorteggi tra commissari candidatisi per i singoli concorsi locali. Andrebbe inoltre tutelata l’esperienza delle Scuole superiori a ordinamento speciale, in cui la qualità delle commissioni di concorso è attualmente rafforzata dai requisiti relativi alla presenza di commissari stranieri e alla parità di genere.
In un periodo in cui si discute in Parlamento la Legge di bilancio, non si può non considerare la questione delle risorse per l’università e la ricerca. Nel 2025 il Fondo di finanziamento ordinario ha raggiunto i 9,4 miliardi di euro, un valore inferiore, in termini reali a quello del 2023 e che è inferiore di 170 milioni rispetto alle previsioni definite tre anni prima. Non si hanno ancora informazioni sul bilancio del MUR per il 2026, ma con la fine dei finanziamenti del PNRR, nel 2026 si prospetta in molti ambiti una riduzione di risorse. Non ci sono informazioni su nuovi bandi per progetti di ricerca PRIN. In particolare, migliaia di ricercatori precari – RTDA e assegnisti di ricerca – stanno terminando i loro contratti senza prospettive di rinnovo. La nuova legge che ha introdotto gli incarichi di ricerca e gli incarichi post-doc ha ulteriormente complicato il panorama del precariato universitario, senza fornire risorse. Ricordiamo che oggi il 35% di tutto il personale di ricerca ha posizioni precarie. Si prospetta una grave dispersione di capacità e di risorse, e un’ulteriore emigrazione di ricercatori, oltre ai circa 14 mila trasferitisi all’estero nei passati dieci anni.
Infine, un’ulteriore fonte di preoccupazione sono le voci che le Commissioni del MUR possano proporre di inserire in tutti i Consigli di Amministrazione degli atenei un rappresentante del governo e di estendere a otto anni (forse rinnovabili) i mandati dei Rettori.
Dall’insieme di queste iniziative, si profila un quadro preoccupante di ridimensionamento e frammentazione dell’università pubblica, in cui l’autonomia degli atenei e la libertà di ricerca e di insegnamento vengono indebolite, in palese contrasto con il dettato della Costituzione italiana.






