Il 28 aprile 2025 la Spagna, il Portogallo e parte della Francia hanno subito un blackout elettrico che ha paralizzato interi paesi, con danni e perdite economiche ancora da valutare. Le cause dell’evento non sono ancora del tutto chiare. Escludendo, come sembra, attacchi informatici volti a mettere in ginocchio questi paesi, restano diverse ipotesi tecniche. Potrebbe essersi trattato di un guasto locale alla rete che si è propagato rapidamente creando sbilanciamenti che non sono stati gestiti adeguatamente. C’è anche l’ipotesi che le fonti rinnovabili, per loro natura non programmabili, abbiano a un certo punto prodotto troppa energia mandando in tilt il sistema. Gli esperti stanno ancora dibattendo la dinamica degli avvenimenti, ma qualche punto fermo comincia a emergere.
Cronaca di un disastro
Il blackout è iniziato intorno alle 12:30 ora locale (Madrid) di lunedì 28 aprile. In pochi istanti, gran parte della rete elettrica di Spagna e Portogallo è collassata, causando l’interruzione totale dell’alimentazione su quasi tutto il territorio iberico. Anche alcune zone nel sud della Francia hanno subito brevi interruzioni, risolte rapidamente grazie all’intervento tempestivo dei sistemi di protezione francesi.
Le analisi iniziali indicano che alle 12:38 il sistema elettrico della penisola iberica è stato disconnesso dalla rete elettrica francese e quindi dal resto della rete europea. Successivamente, alle 13:30 circa, è stata ripristinata la connessione tramite una linea elettrica a 400 kV tra la Francia e la Catalogna, ma inizialmente al solo fine di risincronizzare le reti, in quanto la linea riattivata, da sola non era in grado di sostenere la domanda di energia dalla Spagna.
Proprio nei giorni scorsi era stato dato ampio risalto al fatto che il 60% dell’energia elettrica immessa nella rete iberica proveniva da fonti rinnovabili: energia eolica e fotovoltaica. La parte rimanente è prodotta in Spagna da centrali convenzionali o importata dagli stati limitrofi, in questo caso dalla Francia. A causa del guasto, la connessione con la Francia è venuta a mancare. Pertanto, Spagna e Portogallo, connesso alla Spagna ma non direttamente alla Francia, hanno dovuto gestire da soli il guasto.
Nel corso del pomeriggio sono stati riparati i guasti e è stata riavviata l’immissione dell’energia elettrica nella rete elettrica nazionale, operazione resa lunga e laboriosa dall’elevato numero di generatori da fonti rinnovabili da ricollegare sulla rete. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha comunicato in un discorso a fine giornata che circa il 50% della fornitura elettrica nazionale era stato già ripristinato entro le ore 22.
Prime ipotesi sulle cause
L’origine del blackout rimane oggetto di indagine. Nelle ore successive all’evento sono emerse alcune ipotesi. La prima su un possibile attacco informatico non sembra stare in piedi, mentre più probabile che all’origine del collasso elettrico vi sia stata una “forte oscillazione del sistema elettrico europeo”, come ha riferito Sánchez. In altre parole, qualcosa ha prodotto una significativa variazione della quantità di energia presente nella rete, probabilmente a carattere oscillatorio, che per fenomeni di risonanza hanno fatto crollare l’intero sistema iberico. Si è ipotizzato che variazioni estreme di temperatura o vento possano avere indotto oscillazioni meccaniche nei cavi elettrici sospesi e che quest’ultime avrebbero sovramodulato la tensione dei cavi ad alta tensione (400 kV) determinando sfasamenti e perdita di sincronismo fra sezioni diverse del sistema elettrico, che sono stati eliminati disconnettendo le reti. Tuttavia dai primi controlli, variazioni così improvvise di vento o temperatura non sembrano essersi verificati. Tra le ipotesi più accreditate rimane quindi quella di un guasto grave in territorio spagnolo, probabilmente vicino al Portogallo, da cui è scaturita la disconnessione a catena su vasta scala, come ha fatto la Francia secondo le dichiarazioni del gestore di rete francese.
La coda lunga di un guasto locale
Per capire come un singolo evento possa degenerare in un blackout generalizzato è utile analizzare i meccanismi di funzionamento e stabilità della rete elettrica, confrontando questo episodio con casi analoghi del passato.
La rete elettrica continentale è, da anni, una fittissima ragnatela di linee, più o meno importanti in termini di energia transitante nella singola linea. Questa rete è gestita in modo dinamico e in stretto coordinamento dai vari gestori nazionali, in Italia da Terna. Se si verifica un guasto, i sistemi di protezione agiscono prontamente, isolandolo e provvedendo a incanalare l’energia su altre direttrici. Ciò può determinare la sofferenza di una o più linee, soggette a sovraccarichi. Da queste sofferenze, se prolungate nel tempo, possono scaturire nuove situazioni critiche o addirittura guasti, determinando un effetto domino. In questi casi, gli operatori di rete, fanno una specie di triage delle utenze, disconnettono le linee ritenute meno importanti e cercano di continuare a fornire energia alle utenze critiche (ospedali, telecomunicazioni, organi di comando e coordinamento ecc). Se la crisi non viene gestita in modo appropriato, si ha il collasso dell’intero sistema, ma non necessariamente la propagazione di guasti. «Un aspetto fondamentale è garantire la sincronia fra tutti i generatori connessi in parallelo» spiega Carlo Cecati, del Dipartimento di Ingegneria e scienze dell’informazione e matematica dell’Università dell’Aquila. «In presenza di migliaia di generatori di piccola taglia (in genere non più di alcuni MW) il riavvio del sistema è molto lungo, in quanto, ristabilita la funzionalità della rete, sarà necessario mettere in sequenza la riconnessione dei generatori. Infatti se i generatori iniziassero adimmettere energia elettrica con una differente frequenza e fase, si creerebbe una nuova condizione critica».
Un parallelo storico utile è il blackout che colpì l’Italia il 28 settembre 2003, all’epoca il più grande mai avvenuto in Europa. In quel caso, la sequenza di eventi iniziò alle 3 di notte con la caduta di un singolo elettrodotto a 400 kV in Svizzera, nella zona del Lucomagno: un cavo entrò in contatto con un albero, provocando un corto circuito e venendo disattivato automaticamente. L’Italia in quel momento importava una porzione significativa del suo fabbisogno elettrico attraverso quella linea, perciò la sua perdita riversò improvvisamente la corrente su linee parallele dalla Francia, che in pochi minuti andarono in sovraccarico. Intorno alle 3:20, anche i restanti collegamenti con l’estero vennero meno e l’intera rete italiana si separò da quella europea.
Senza il supporto delle importazioni, la produzione interna italiana risultò inferiore alla domanda e in pochi secondi la frequenza di rete calò drasticamente sotto i limiti di sicurezza. La perdita di circa 7,5 GW di importazioni fece scendere la frequenza italiana a 49 Hz in pochi secondi; nonostante lo sgancio automatico di carichi, la frequenza continuò a calare fino al valore critico di 47,5 Hz, soglia alla quale tutti i generatori si sono disconnessi per autoproteggersi, causando il black-out.
In altri casi può accadere il contrario: un eccesso improvviso di generazione in un’area isolata può far salire la frequenza oltre i limiti, portando alcuni impianti a spegnersi (protezione di sovrafrequenza) e potenzialmente invertendo il problema in un deficit successivo.
«Le reti di trasmissione sono dotate di riserve primarie, secondarie e terziarie» spiega Filippo Spertino, del Dipartimento Energia del Politecnico di Torino. «Già nei primi decimi di secondo dal verificarsi di riduzioni di frequenza, interviene l’inerzia delle parti rotanti dei generatori e la riserva primaria dei grandi generatori per dare più potenza, così come dispositivi di controllo che possono inserire o togliere carico, e distacchi programmati di carichi meno prioritari quando la frequenza scende sotto soglie predefinite». Allo stesso modo, in caso di sovrafrequenza, alcuni generatori (soprattutto rinnovabili) sono programmati per ridurre la produzione o disconnettersi. Queste azioni, tuttavia, hanno dei limiti: sono efficaci per compensare squilibri moderati (fino ad alcune centinaia di MW). In eventi eccezionali come quello di ieri, la rapidità e l’entità del disturbo hanno probabilmente superato la capacità di compensazione immediata del sistema automatico, innescando il collasso.
Qualcosa di simile potrebbe essere accaduto ieri in Spagna e Portogallo.
Il nodo del bilanciamento e il ruolo delle fonti rinnovabili
Un aspetto chiave emerso in questo blackout è il delicato bilanciamento tra domanda e offerta di elettricità, specialmente in presenza di elevata generazione da fonti rinnovabili non programmabili. Il blackout si è verificato verso mezzogiorno di una giornata primaverile, orario in cui la produzione fotovoltaica era presumibilmente molto alta a fronte di una domanda elettrica non di punta.
Negli ultimi anni la Spagna e il Portogallo hanno visto crescere notevolmente la quota di eolico e solare nel loro mix elettrico, con momenti della giornata in cui gran parte del fabbisogno è coperto da queste fonti verdi. Questo fatto, peraltro, ha portato ad avere in questi Paesi prezzi all’ingrosso dell’elettricità più bassi d’Europa, con notevole vantaggio per le rispettive economie. In queste condizioni, la rete iberica può trovarsi in esubero di generazione rinnovabile, rendendo necessaria l’esportazione di energia in eccesso verso l’estero o la riduzione della produzione rinnovabile per mantenere l’equilibrio.
È plausibile che poco prima del blackout del 28 aprile la Penisola Iberica stesse esportando energia verso la Francia (o riducendo al minimo la produzione convenzionale) a causa dell’abbondante produzione solare ed eolica di metà giornata. Se l’evento iniziale ha causato la separazione improvvisa dalle linee con la Francia, quell’energia in surplus non ha più avuto sbocco: in un istante, la Spagna è passata da uno scenario di equilibrio, grazie alla possibilità di esportare energia, a una situazione di isolamento dove la generazione superava nettamente i consumi interni. La troppa offerta avrebbe fatto impennare la frequenza oltre il valore nominale di 50 Hz.
Di fronte a una sovrafrequenza improvvisa, i sistemi di controllo reagiscono riducendo la produzione. È possibile che molti impianti rinnovabili si siano disconnessi quasi simultaneamente quando la frequenza è uscita dalla banda consentita. Paradossalmente, questo può aver provocato un ribaltamento istantaneo della situazione: da eccesso a deficit grave di generazione, producendo quella “forte oscillazione” del sistema descritta dalle autorità.
Qui emergono i limiti delle fonti rinnovabili attuali nella gestione della rete: esse sono collegate alla rete elettrica tramite inverter elettronici che, a differenza dei generatori tradizionali (turboalternatori di centrali termoelettriche o centrali idroelettriche), non hanno inerzia. Un basso livello di inerzia significa che la frequenza di rete cambia velocemente in seguito a uno squilibrio, lasciando meno tempo ai controlli per correggere la rotta.
Lezioni per il futuro
L’ampia penetrazione di fonti rinnovabili nel sistema iberico potrebbe aver giocato un ruolo nell’evento, non come causa primaria del guasto ma come fattore di contesto che ha influenzato la risposta dinamica della rete. Un eccesso momentaneo di generazione rinnovabile nel sistema ha probabilmente amplificato lo squilibrio al momento della separazione dalla rete europea, e la bassa inerzia di sistema ha reso più rapida la cascata di eventi.
Se è vero che l’elevata interconnessione europea ha permesso di confinare il collasso all’area iberica e di fornire rapidamente assistenza di emergenza attraverso le frontiere, è anche vero che la dipendenza reciproca può innescare un effetto domino catastrofico se più livelli di sicurezza falliscono simultaneamente.
In attesa di conoscere nei dettagli cosa sia successo, l’incidente di ieri ci ricorda che la transizione energetica in corso, per quanto necessaria e conveniente, è anche costellata di sfide tecnologiche che evidenziano la necessità di investire in strumenti di stabilizzazione avanzati man mano che la transizione procede.
«Per rendere la rete più robusta, in presenza di una quota importante di rinnovabili, si richiede l’installazione a breve termine di compensatori sincroni, come sta già facendo Terna in Italia, capaci di aumentare l’inerzia globale del sistema, seguiti da supercondensatori, batterie elettrochimiche e, dove possibile, impianti idroelettrici di pompaggio», sottolinea Filippo Spertino.
«La presenza di sistemi di accumulo (idroelettrico, batterie) potrebbe, verosimilmente, eliminare il problema o comunque limitarne la propagazione. Una soluzione al problema consiste nello struttura il sistema energetico in più microreti, ciascuna autonoma rispetto alle altre, ma interconnessa al resto del sistema, in modo da scambiare energia o prelevarla in caso di necessità. Un’altra soluzione è introdurre nella rete stabilizzatori statici. Essi sono in grado di smorzare le oscillazioni all’insorgere, quindi di ridurre drasticamente la possibilità di propagazione, ma al momento non sono diffusi. Di certo, l’utilizzazione delle fonti rinnovabili richiede un ripensamento di come le reti elettriche sono concepite e gestite», conclude Carlo Cecati.