A gennaio 2025, l’ANSA ha pubblicato una lista con i nomi di quattordici persone, tredici ebree: sono i superstiti dell’Olocausto ancora in vita in Italia. Va sottolineato che questa è soltanto una lista parziale, perché stimare il numero esatto di superstiti della Shoah ancora in vita non è un compito semplice. Il motivo principale è che, se molti hanno dedicato una parte importante della propria vita a testimoniare gli orrori del nazismo, tantissimi altri invece hanno vissuto (e alcuni ancora vivono) i propri ricordi nel silenzio più totale. 

Il numero dei superstiti ancora in vita non è quindi conosciuto con esattezza; ciò che invece è certo è che questo numero continua a calare di anno in anno. Per semplici motivi anagrafici, i pochi superstiti rimasti hanno oggi più di ottant’anni, spesso anche più di novanta, e hanno vissuto la detenzione durante l’infanzia o l’adolescenza. È ovviamente il corso naturale della storia e nessuno ha mai creduto che le cose potessero andare in altro modo, ma ciò significa anche che questo è un momento particolarmente delicato per il modo in cui gli esseri umani del futuro ricorderanno, o non ricorderanno, l’Olocausto e le sue vittime. 

A breve dovremo imparare a mantenere vivo il ricordo della Shoah senza coloro che l’hanno vissuta in prima persona e che negli scorsi decenni hanno testimoniato le loro esperienze tramite molti mezzi diversi: conferenze nelle scuole, televisioni, radio. Per fare ciò saranno fondamentali i libri e le numerose ore di registrazioni televisive, spesso presenti anche su YouTube, ma un grande aiuto potrebbe venire anche dalle tecnologie più moderne: in particolare dall’intelligenza artificiale (IA).

Dimensions in Testimony

Nel 1994, il regista e sceneggiatore statunitense Steven Spielberg ha fondato la USC Shoah Foundation. Nell’arco di trent’anni la fondazione ha creato una collezione di interviste dei superstiti dell’Olocausto tra le più grandi e importanti al mondo: quasi 60.000 videoregistrazioni che saranno ereditate dalle generazioni future e che, nonostante il nome, non sono limitate alla sola Shoah, ma toccano anche il massacro di Nanchino, il genocidio armeno e altri stermini.

In anni più recenti, la fondazione ha fatto parlare nuovamente di sé con il progetto Dimensions in Testimony. Consiste in una raccolta di qualche decina di interviste molto più lunghe delle precedenti, che possono comprendere anche mille domande e che vengono registrate all’interno di una stanza verde circondata da numerose telecamere. Ciò che però distingue maggiormente questo progetto dagli altri è che sulle registrazioni vengono applicate tecniche avanzate di elaborazione del linguaggio naturale, ovvero la branca dell’intelligenza artificiale che si occupa del linguaggio umano, come il riconoscimento vocale e la generazione di testi scritti; in inglese si chiama Natural Language Processing (NLP). 

Il risultato è quella che viene definita una “biografia interattiva”, con cui è possibile simulare delle conversazioni con il testimone intervistato: si pone una domanda al superstite (o, meglio, alla sua versione virtuale) e l’IA restituisce il frammento video che meglio si addice come risposta. Non solo ciò permette a chiunque di farsi raccontare storie e dettagli sull’Olocausto da chi l’ha realmente vissuto; ma lo permetterà anche a coloro che nasceranno tra dieci, venti o cinquant’anni, e a cui questa possibilità sarebbe altrimenti preclusa.

Dimensions in Testimony è pensato principalmente per i musei, negli anni sono nate diverse installazioni permanenti in cui i visitatori possono interagire con questa tecnologia, ma è possibile utilizzarlo anche da casa in maniera gratuita. In questo modo, ho potuto conversare con Pinchas Gutter: il volto più noto del progetto, nonché il primo superstite ad averne preso parte. 

Pinchas Gutter è nato nel 1932 a Lodz, in Polonia. Dopo l’invasione della Polonia, lui e la sua famiglia furono prima internati nel ghetto di Varsavia, poi deportati nel campo di concentramento di Majdanek, era il 1943. I genitori e la sorella furono uccisi a Majdanek, mentre Pinchas venne trasferito in diversi altri campi e infine costretto a una marcia della morte sino a un ghetto in Cecoslovacchia, dove fu liberato dall’Armata Rossa nel maggio del 1945. Di seguito un breve estratto della conversazione che ho avuto con lui.

Domanda: Com’erano i lager? 
[N.d.R. “What were the camps like?” è una delle domande consigliate da Dimensions in Testimony]
Pinchas: La vita nel lager era indescrivibile perché era vivere la morte. E questo è l’unico modo in cui riesco a descriverlo. Essere in un campo di concentramento o anche in un campo di lavoro durante l’Olocausto era come vivere la morte. Eri a un solo centimetro dalla tomba.
Domanda: Quando sei stato separato dalla tua famiglia?
Pinchas: Appena arrivato nel primo campo di concentramento, ovvero Majdanek, mi separarono dalla mia famiglia. Mia-mia sorella andò con mia madre e io andai con mio padre. E da quel momento, quando mia sorella abbracciò mia madre, tutto ciò che riesco a ricordare di lei è la sua lunga – aveva una lunga treccia, una treccia bionda, e questo è tutto ciò che ricordo di mia sorella. E io andai con mio padre, con gli uomini. Mio padre mi disse di affermare di essere grande, di avere 18 anni; ne avevo 11.

Pinchas Gutter non è l’unico superstite a cui è possibile porre domande sul sito di Dimensions in Testimony, e le domande possono essere poste sia per iscritto sia a voce.
È importante specificare che le risposte che ho ricevuto non sono generate dall’IA: sono aneddoti reali, raccontati dal vero Pinchas Gutter secondo le sue memorie e con le sue parole. L’unico compito che ha l’intelligenza artificiale è selezionare all’interno della registrazione il frammento che meglio si addice alla domanda che è stata posta. Chiaramente questo impedisce di avere una vera conversazione, le risposte che si possono ottenere fanno parte di un archivio limitato, anche se molto grande. Può quindi capitare che, in sessioni sufficientemente lunghe, si riceva una risposta già sentita in precedenza, ma questo è forse l’unico modo per assicurare il totale realismo storico del racconto.

IA e Olocausto: opportunità o rischio?

In un resoconto del 2024, l’UNESCO individua diversi modi in cui l’IA, in particolare quella generativa, mette a rischio la conoscenza e il ricordo dell’Olocausto. L’IA può essere usata per diffondere odio e antisemitismo, oltre che per creare falsi contenuti sull’Olocausto, non sempre di facile distinzione da quelli autentici. Rischia di semplificare eccessivamente la storia dell’Olocausto concentrandosi su pochi eventi, spesso quelli legati ad Auschwitz-Birkenau, trascurando quelli meno noti e amplificando in questo modo bias e stereotipi. C’è poi il problema dei dati con cui vengono allenati i modelli, su cui gli sviluppatori non sarebbero, secondo l’UNESCO, abbastanza trasparenti: è possibile che nel mischione da cui le IA attingono informazioni finiscano anche siti negazionisti dell’Olocausto. 

Un altro fenomeno preoccupante è che, anche utilizzando i migliori dati possibili, i chatbot sono spesso soggetti alle cosiddette allucinazioni: quando non sanno la risposta a una domanda tendono semplicemente a inventarla. Questo è il caso di quando ChatGPT inventò da zero la storia dell’“Olocausto da affogamento”: secondo il bot, i nazisti avrebbero condotto campagne in cui gli ebrei venivano affogati in fiumi e laghi. A queste non troppo rare allucinazioni va aggiunta la percezione comune dell’IA come fonte autorevole di conoscenza, ottenendo così il pericolo di diffondere falsità su un argomento che già prima dell’avvento di queste tecnologie era vittima di non poca disinformazione.

Infine, il resoconto mette in guardia dal fatto che, in ultima istanza, non sia nemmeno necessario che l’IA crei contenuti o informazioni false sull’Olocausto per minacciarne la memoria. In un futuro in cui ogni immagine potrebbe essere stata generata o modificata tramite l’IA, si diffonderà scetticismo anche sulle prove reali della Shoah. Ai negazionisti basterà sollevare il dubbio che le foto e le testimonianze siano state in realtà generate con l’IA per portare acqua al mulino del complottismo.

Tutto ciò deve metterci, giustamente, in allerta; ma non implica che Dimensions in Testimony sia un’eccezione, l’unico caso di utilizzo virtuoso dell’IA per la preservazione del ricordo della Shoah. Il resoconto dell’UNESCO identifica molte minacce, ma anche molte opportunità. L’IA può essere usata, e in parte viene già usata, per limitare la diffusione di contenuti estremisti e per riconoscere affermazioni false riguardanti l’Olocausto. Può essere usata per tradurre testimonianze da una lingua all’altra, per organizzarle o per trovare pattern al loro interno: tutte cose impossibili per gli esseri umani a causa della quantità troppo grande di documenti disponibili. Parla poi di «nuovi metodi per apprendere sull’Olocausto», come chatbot realmente informati con cui i giovani potranno condurre conversazioni educative e prive di allucinazioni o affermazioni tratte da siti negazionisti.

È doveroso ripetere quello che ormai è quasi un luogo comune: l’IA non è né intrinsecamente buona né intrinsecamente cattiva, ma ciò non significa che sia neutra. L’UNESCO chiede che si prosegua con la digitalizzazione delle informazioni storiche relative all’Olocausto, ma sprona anche gli sviluppatori di IA a essere più trasparenti sui dati che usano per allenare i modelli e a lavorare a stretto contatto con gli storici esperti della Shoah. Per continuare a citare l’UNESCO, l’IA ha il potere di «plasmare la conoscenza futura sull’Olocausto». È sicuramente una minaccia non trascurabile, ma se usata coscienziosamente potrà diventare invece un’alleata insostituibile.