Pubblicato il 27/05/2025Tempo di lettura: 12 mins

Usciamo da mesi di duro confronto politico su una questione che ha visto tanti ricercatori, università, la CRUI, gli enti di ricerca, l’Accademia dei Lincei, oltre a giovani dottorandi, dottori di ricerca e assegnisti non afferenti ad alcuna sigla, rispondere con una compattezza trasversale. Il tema del contendere è stato il Contratto di Ricerca (CDR), un nuovo strumento contrattuale introdotto nella precedente legislatura con la legge n. 79 del 29 giugno 2022 e diventato operativo come sostituto dell’Assegno di Ricerca (ADR) solo pochi mesi fa, nel febbraio 2025, sebbene carico di aspetti in parte poco chiari persino per gli esperti di diritto del lavoro.

L’obiettivo del CDR, secondo il legislatore, era quello di «istituire un rapporto di lavoro pienamente subordinato, biennale, rinnovabile una sola volta e prorogabile di un ulteriore anno per specifici progetti di ricerca».

Il senatore Francesco Verducci (Partito Democratico), tra i promotori del CDR, sulle pagine de il Manifesto (21/5/2025), ha ammonito: «Non torniamo indietro da ciò che è stato conquistato con la legge 79 del 2022: il riconoscimento della dignità del lavoro della ricerca. È questo il punto oggi sotto attacco. C’è un dibattito regressivo, distorto, fuorviante. Una campagna contro il contratto di ricerca accusato di essere troppo costoso per il solo fatto che, allineandosi alla Carta europea dei ricercatori, finalmente assicura una retribuzione dignitosa e piene tutele (malattia, ferie, contributi). In un mondo normale il tema sarebbe: facciamo una battaglia per le risorse».

Proviamo a fare una disamina di queste e altre affermazioni e proporre alcune riflessioni:

  1. Il CDR è una realtà di fatto; è uno strumento che sarà utilizzato nei modi e nelle forme volute dal legislatore. Il CDR non è mai stato sotto attacco per il fatto che “darebbe dignità al lavoro della ricerca”. Molto più semplicemente, da più parti sono invece stati evidenziati una serie di seri problemi applicativi e rigidità esecutive del nuovo contratto, che suggeriscono di affiancargli figure più idonee a particolari situazioni della progressione di formazione e carriera nella ricerca.
    Riguardo alla critica che il problema si risolverebbe aumentando le risorse (il CDR ha un costo molto più elevato dell’ADR), ci chiediamo perché il legislatore non abbia pensato a questa soluzione nel momento in cui proponeva il CDR. Era il 2022 quando la norma veniva approvata e il legislatore aveva certamente contezza dei numeri e delle risorse necessarie. Ma il CDR veniva approvato a invarianza di spesa. Non è quindi chiaro quali strategie proponga oggi il legislatore per finanziare il maggiore costo di un numero di CDR compatibile con i numeri dei sorpassati ADR – a fronte dei pochi ADR su fondi ministeriali, si ricorda che nel 2022 erano già 13 mila e oggi, per la sollecitazione a reclutare giovani neo-dottori data dal Pnrr, sono circa 24 mila gli ADR su finanziamenti non ministeriali. Quale futuro per le migliaia di giovani ricercatori ex-ADR che non riusciranno a restare nel campo della ricerca viste le specificità e i costi del CDR?
  2. È stato detto che il CDR assicura una retribuzione dignitosa rispetto a quanto garantivano i sorpassati ADR. A fronte di un costo lordo di 83.000 euro per i due anni di contratto (41.500 euro per anno), il netto in busta paga del percettore di CDR si aggira intorno ai 1.800 euro mensili. Con lo strumento dell’ADR (che garantiva tutte le tutele essenziali) la stessa cifra produceva un netto di 2.450 euro mensili. Questo perché una quota significativa del costo del CDR è destinata a imposte (IRAP, IRPEF, TFR). Avendo poi il CDR un massimale, non superabile, di 2.200 euro netti al mese, a questi giovani ricercatori – a cui il CDR non fornisce alcuna ipoteca circa una futura stabilizzazione – non si potrà nemmeno aumentare più di tanto lo stipendio in funzione delle competenze acquisite. Sarà, inoltre, molto difficile attrarre giovani dall’estero, poiché si tratta di una somma netta molto lontana da quella normalmente percepita dai ricercatori con un simile inquadramento in altri paesi europei, quali la Francia, la Spagna, la Germania. L’ADR era peraltro rendicontabile anche nei progetti europei, attenendosi alle indicazioni che la list of country-specific issues emanata dalla Commissione europea per i grant europei nel periodo 2021-2027 dava, cioè che «le condizioni di lavoro siano simili a quelle di un dipendente con funzioni analoghe». Forme ulteriori e migliori sono sempre auspicabili ma occorre capire cosa si elimina, cosa si propone e comprendere le conseguenze che ne derivano, alle condizioni date.
  3. Si sostiene che il CDR !garantisce piene tutele (malattia, ferie, contributi)» e a più riprese viene sottolineato che le nuove forme di reclutamento introdotte nel DL 45 PNRR Scuola (gli “incarichi di ricerca” e gli “incarichi post-doc” dell’emendamento del Senatore Mario Occhiuto, Forza Italia, poi approvato in Commissione e in Aula con la fiducia al DL) non garantiscono tutele. Se è vero che il CDR introduce una forma di reclutamento esito della contrattazione nazionale collettiva e le tutele contemplate, è tuttavia contrario al vero sostenere che i sorpassati ADR, così come i nuovi “incarichi di ricerca” e “incarichi post-doc” dell’emendamento Occhiuto, non garantiscano alcuna tutela in materia fiscale e previdenziale. Non è nemmeno vero, come invece più volte ripetuto in Aula lo scorso 21 maggio durante gli interventi del PD, che gli “incarichi di ricerca” e gli “incarichi post-doc” prevedano il conferimento diretto, senza concorso pubblico, in contrasto con l’articolo 97 della Costituzione. Come è stato rimarcato dalla senatrice a vita Elena Cattaneo nella stessa discussione in Aula e, come sottolineato dal relatore Presidente della Commissione 7°, senatore Roberto Marti della Lega, «gli incarichi di ricerca e gli incarichi post-doc [così come il contratto di ricerca, aggiungiamo noi], prevedono bandi di selezione pubblici nella totalità dei casi». Tranne – si specifica nell’emendamento Occhiuto – alcune eccezioni, che rappresentano una prassi per molte forme di reclutamento, perché a poter essere reclutati per chiamata diretta sono coloro che hanno già vinto una selezione competitiva da parte di agenzie e fondazioni riconosciute; una prassi consolidata nel rispetto di tutti i principi costituzionali e già usata nelle Università per alcuni reclutamenti in diverse posizioni.
  4. Il senatore Verducci in più occasioni ha sostenuto che «il CDR si allinea alla Carta europea dei ricercatori», che «mette fine al precariato» e che con i nuovi incarichi dell’emendamento Occhiuto verrebbero !reintrodotte sotto nuove vesti le stesse forme di precarizzazione che la riforma del 2022 aveva superato». Ripetere una falsità non la rende vera: il CDR non è uno strumento che contrasta il precariato e, anzi, non sposta nulla circa il precariato. Lo dicono anche diversi giuslavoristi riunitisi in una tavola rotonda organizzata nell’aprile del 2025 dall’Università Sapienza di Roma. Non vi è infatti alcuna garanzia che tale forma contrattuale sia propedeutica all’ingresso in ruoli universitari – anzi questa possibilità è espressamente esclusa. Il CDR è infatti legato alla realizzazione di una specifica ricerca e il contrattista non è inserito in alcuna organizzazione del dipartimento. È inoltre fuorviante identificare come “precari” coloro che si avviano alla carriera nella ricerca il giorno dopo aver conseguito il dottorato o la laurea, poiché il loro curriculum è ancora in fase di costruzione. Questa definizione rischia di distogliere l’attenzione dai “veri precari”: ricercatori con un curriculum solido, ma privi di reali opportunità di stabilizzazione.
    In sintesi, il CDR è stato incomprensibilmente concepito, sin dalla sua genesi, affinché il beneficiario – il giovane ricercatore universitario – non faccia né didattica, né assistenza a studenti, nemmeno un’attività di ricerca di carattere generale, bensì agisca su un solo progetto – quello di altri, a cui ESCLUSIVAMENTE, come la norma recita, deve dedicarsi: «esclusivo svolgimento di specifici progetti di ricerca». Oggi, quindi, chi percepisce un CDR non può partecipare ad altri progetti di ricerca, né a bandi per giovani con un proprio progetto di ricerca, limitando in modo importante la costruzione della propria indipendenza e vedendo ridotta la possibilità di accrescere e rendere sempre più competitivo il proprio CV.
    Questo problema è stato riconosciuto dagli stessi estensori della legge n. 79 del 29 giugno 2022, contenente lo strumento del CDR che, durante la discussione in Commissione 7a di poche settimane fa, hanno proposto un emendamento correttivo su specifici punti – l’emendamento non è stato approvato. L’esito è che il dispositivo finale del CDR – a nostro avviso – collide con la Carta europea dei ricercatori, a cui il CDR pretende di ispirarsi: «…i ricercatori dovrebbero godere della libertà di pensiero, opinione ed espressione ed essere liberi di definire i temi da sottoporre a ricerca, di individuare i metodi per risolvere i problemi, di scegliere ed elaborare teorie, di mettere in discussione le opinioni comuni e proporre nuove idee, nonché di associarsi in organismi accademici professionali o rappresentativi. I ricercatori dovrebbero avere il diritto di diffondere e pubblicare i risultati delle loro ricerche anche attraverso attività di formazione e insegnamento».
  5. Come più volte ribadito, l’assenza di una forma di reclutamento “junior” rende l’accesso al CDR da parte dei neodottori di ricerca quasi impossibile, per il loro trovarsi a competere – per l’assegnazione di quell’unica tipologia di contratto – con i profili più esperti di chi ha già alle spalle esperienze e un curriculum più strutturato e competitivo. Per esempio, quello maturato proprio durante gli anni di ADR e di altre forme di collaborazione, tra cui i contratti di ricercatore a tempo determinato di tipo A (RTD-A), aboliti dalla stessa riforma che ha introdotto i CDR. Tra costi maggiori e mancato accesso, la stima fatta dalla Ragioneria dello Stato (RdS) nella relazione tecnica a quella riforma del 2022, prevedeva la perdita di circa il 50% del personale che entra nella ricerca dopo il dottorato: circa 6-7.000 giovani secondo le stime di allora (e molti di più oggi, visto l’aumento del numero di ADR citato sopra) costretti, per legge, a scomparire dal panorama della ricerca pubblica in Italia. Questo genera e alimenta il paradosso di formare per espellere.
    In questo contesto, è ancora più sconcertante quanto esplicitato dalla stessa relazione tecnica della RdS, nella quale si dichiara che le finalità perseguite dall’intervento normativo di istituzione del CDR sono di rendere “più armonica la struttura piramidale della carriera accademica” riducendo “il numero assoluto dei soggetti titolari delle posizioni”, ieri di assegnista, oggi di contrattista, per diminuire “le pressioni per ulteriori interventi normativi tesi alla stabilizzazione”. In altre parole, il legislatore era già consapevole che definendo un nuovo e più alto costo lordo per la nuova forma contrattuale del CDR – in assenza, come poi verificatosi, di un aumento delle risorse a copertura della differenza dei costi – l’effetto certo sarebbe stato quello di attivare molti meno CDR, rispetto ai “sorpassati” ADR. E così è stato. Pensando alla sola piccola quota dei CDR coperti da fondi ministeriali (una minima percentuale dell’intero panorama) il MUR ha emesso un bando di 37,5 milioni di euro (la stessa che veniva resa disponibile per gli ADR ministeriali), finanziando complessivamente 369 CDR in enti di ricerca e università. Metà di quelli che venivano istituiti come ADR e molto pochi (l’1,5%!) rispetto ai 24.000 ADR attivati nell’ultimo anno. Questo dimostra inoltre che “anche se vi fossero più risorse” queste non potrebbero certo coprire i costi aggiuntivi dell’istituzione di migliaia di CDR che ricadrebbero totalmente su finanziamenti vinti dai ricercatori italiani e che, spesso – si pensi all’importo medio finanziato dai bandi Prin – non hanno la capienza finanziaria per sostenere il costo di un singolo CDR.
  6. L’accesso ai CDR è subordinato all’ottenimento del titolo di dottore di ricerca, escludendo di fatto dal mondo della ricerca i neolaureati. Non solo. Dal percepimento di uno stipendio con CDR (qualora vincitori del bando) sono esclusi anche coloro che, terminati i tre anni di dottorato, sono in attesa di discutere la tesi. Questo “buco” può durare molti mesi, fino a un anno. Chi si farebbe carico del sostegno economico per questo giovane ricercatore nel periodo in cui è tenuto a lavorare alla revisione della propria tesi, successivamente alla consegna dell’elaborato, prima della sua discussione per l’acquisizione del titolo di dottore di ricerca? Il giovane si troverebbe a fare ricerca non retribuito. In aggiunta a queste criticità, non è possibile reclutare personale con CDR su fondi, per esempio, ottenuti da enti come l’Associazione Italiana Ricerca contro il Cancro (AIRC), e la disponibilità del solo strumento contrattuale del CDR impedisce il reclutamento di dottorandi nei consorzi Marie Skłodowska-Curie Actions (MSCA) Doctoral Network (anche questo un vulnus ora compreso dagli estensori del CDR).
  7. È infine grave e inaccettabile sostenere di dare voce a ricercatori e ricercatrici «contro le menzogne di un potere politico e accademico che li vuole zittire»– come ha dichiarato il senatore Verducci in Aula lo scorso 21 maggio – lasciando intendere quasi un intento intimidatorio da parte di professori e docenti nei confronti dei giovani ricercatori. Da professori universitari e ricercatori di enti pubblici ci chiediamo su quali basi si fondi un’affermazione così grave. In assenza di riscontri reali, queste dichiarazioni risultano lesive della dignità del lavoro di coloro che, con rigore e impegno, in ogni università e centro di ricerca italiano, in condizioni spesso di estrema difficoltà e mancanza di risorse, cercano soluzioni e mettono in campo passione, dedizione, competenza e ogni forma di sostegno per la formazione e la valorizzazione di migliaia di giovanissimi studiosi.

A valle di queste considerazioni, la riforma che ha introdotto il CDR sembra aver puntato più a restringere gli accessi che a valorizzare le competenze o a garantire un futuro alla ricerca. Come si può parlare di «piena dignità» tacendo che il CDR elimina di colpo il 50% degli aspiranti, negando loro il diritto e la libertà di immaginarsi in un percorso di ricerca? Come si può parlare di «piena dignità» senza garantire «piene opportunità»? È dignitoso un CDR che riconosce tutele (quelle essenziali già esistenti con le altre forme) ma esclude tanti giovani dalla vita accademica e scientifica? È equo un sistema che forma talenti per poi espellerli? Gli “incarichi di ricerca”, per il personale junior, danno tutele maggiori delle vecchie borse post-laurea e permettono ai giovani di avviarsi alla ricerca altrimenti loro preclusa dal CDR. Gli “incarichi post-doc” danno maggiore libertà, progettualità e compensi dei CdR. Sono strumenti migliorativi in tutti i sensi. La cosa da cui si discostano di più rispetto al CDR è il vincolo della contrattazione collettiva. Tuttavia, non è chiaro quali vantaggi potrebbe portare la contrattazione collettiva ai “precari”.

Noi non condividiamo l’idea di una università in cui i giovani e la ricerca debbano dipendere da un CDR subordinato alla contrattazione collettiva nazionale, improntato a modalità esecutive, limitato nell’iniziativa progettuale, vincolato da un massimale economico mensile, che esclude il 50% dei giovani, ostacola il reclutamento dall’estero, e si dimostra rigido e inadeguato a rispondere alla molteplicità delle esigenze del comparto ricerca.

Alcune istituzioni, come CGIL e ADI, hanno già annunciato l’intenzione di presentare un esposto alla Commissione europea, contestando la compatibilità dei due nuovi strumenti, “l’incarico di ricerca” e “l’incarico post-doc”, con i principi di libertà e con le modalità di reclutamento previste dal diritto europeo e dalle misure del Pnrr. Poiché il nostro punto di vista è opposto, con i mezzi di coloro che non si riconoscono in sigle, riteniamo invece di poter interpellare la medesima Commissione – molti lo possono fare- per segnalare le limitazioni alle libertà di ricerca implicite nel CDR, contribuendo a chiarire che le due nuove figure professionali introdotte dall’emendamento Occhiuto, proprio grazie alle garanzie previste, all’accesso su base competitiva e a retribuzioni adeguate estendibili in funzione delle competenze, rappresentano un miglioramento concreto che tutela la libertà di ricerca e offre un’opportunità di crescita e occupazionale reale per un numero significativamente maggiore di giovani, nel pieno rispetto dei diritti costituzionali. Opportunità che, altrimenti, risulterebbero loro precluse.

Antonio Musarò (Sapienza Università di Roma)
Elisabetta Cerbai (Università di Firenze)
Michele Simonato (Università di Ferrara)
Marco Tamietto (Università di Torino)
Graziella Messina (Università di Milano)
Thomas Vaccari (Università di Milano)
Giulio Cossu (Istituto Scientifico San Raffaele, Milano)
Michele De Luca (Università di Modena e Reggio Emilia)
Marco Onorati (Università di Pisa)
Maria Giovanna Durante (Università della Calabria)
Fabrizio Nicastro (Istituto Nazionale di Astrofisica-Roma)
Guido Poli (Università Vita-Salute San Raffaele Milano)
Miriam Melis (Università di Cagliari)
Giovanna Borsellino (Fondazione Santa Lucia IRCCS)
Gianpaolo Papaccio (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, Napoli)
Guglielmo Sorci (Università di Perugia)
Carmine Settembre (Università Federico II, Napoli)
Cesare Gargioli (Università di Roma Tor Vergata)
Maria Grano (Università di Bari)
Luca Battistini (Fondazione Santa Lucia IRCCS)
Daniele Bani (Università di Firenze)
Silvia Parolini (Università di Brescia)

Gaza, tradita dal silenzio e dall’impunità

Pubblicato il 26/05/2025

Sul genocidio che si sta consumando a Gaza, il silenzio non è più un’opzione (se mai lo è stata). La cifra della tragedia che ha travolto la popolazione palestinese è ormai tale che non è più possibile ignorarla.