Pubblicato il 26/05/2025Tempo di lettura: 5 mins
Su quello che sta succedendo a Gaza, il silenzio non è più un’opzione (se mai lo è stata). La cifra della tragedia che ha travolto la popolazione palestinese è ormai tale che non è più possibile ignorarla. È vero che la rivista Lancet silenziosa non è mai stata: non solo ha dato conto nel corso del tempo dell’impatto dell’azione militare del governo di Israele sulla popolazione della Striscia, ma già a luglio dello scorso anno, quando ancora larga parte dell’opinione pubblica internazionale guardava altrove, ha richiamato l’attenzione sul numero spropositato di morti civili in conseguenza del conflitto (Anche Scienza in rete, nel suo piccolo, ha cercato di supportare questo sforzo di documentazione, per esempio lo ha raccontato qui e ne ha ragionato qui).
In questi giorni in cui il disastro di Gaza ha infine cominciato a lambire e a filtrare nella comunicazione generalista dei media cosiddetti mainstream e racconti e testimonianze compaiono sempre più spesso nella narrazione, Lancet ha scelto di dedicare un nuovo durissimo editoriale per offrire e commentare dati ed evidenze scientifiche di quello che appare sempre di più lo sterminio di un popolo.
«Gaza è sull’orlo della morte per fame» è l’esordio. Non si tratta di una figura retorica: non solo quasi mezzo milione di persone, una su cinque, rischia letteralmente di morire di fame, ma è l’intera popolazione della Striscia ad affrontare alti livelli di insicurezza alimentare. Le abbiamo viste le immagini delle persone che si accalcano per ottenere briciole di cibo o gocce d’acqua, ma se vogliamo averne una conferma basata sui dati, Lancet ci suggerisce di aprire il link all’Integrated Food Security Phase Classification, un’iniziativa che analizza e documenta le condizioni di alimentazione e nutrizione a livello globale: l’intera Striscia appare rossa. Nella classificazione del livello di rischio, rosso corrisponde alla Fase 4, la penultima. La fase successiva, cinque, è direttamente la catastrofe.
«La situazione è precipitata a causa del rifiuto del governo israeliano di far entrare gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza per oltre 11 settimane, nonostante la distruzione della maggior parte dei sistemi agricoli, ittici e alimentari» denuncia l’editoriale. Come sappiamo e come ricorda la stessa Lancet, da qualche giorno le autorità israeliane hanno aperto ad aiuti minimi, ma le quantità rilasciate finora sono del tutto inadeguate. Una nota della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, documenta come, dopo il blocco degli aiuti umanitari, l’apporto calorico medio giornaliero per persona a Gaza sia crollato al 67% del minimo necessario per la sopravvivenza, un valore che si prevede diminuirà ulteriormente entro il 5 luglio.
La fame è solo un aspetto
Forse gli attacchi alle strutture e agli operatori sanitari sono quelli di cui più spesso abbiamo sentito parlare anche nei mesi in cui la strage a Gaza non rientrava tra le notizie. Ai primi dello scorso aprile, per esempio, l’aggressione alle ambulanze che ha portato alla distruzione di due veicoli e alla morte di 15 operatori, e il conseguente tentativo di Idf di negarlo ha trovato spazio su molti media. Molto meno noto è che Gaza ha subito il maggior numero di attacchi all’assistenza sanitaria di qualsiasi altro Paese che abbia vissuto un conflitto nel 2024. Molti ospedali sono stati bombardati o distrutti, soprattutto nelle zone settentrionali di Gaza. L’assistenza specializzata è quasi del tutto scomparsa: l’Ospedale Europeo, l’unica struttura in grado di effettuare interventi chirurgici per il cancro, non è più in funzione, precisa l’editoriale di Lancet. Il sistema sanitario, già moribondo, è stato ulteriormente indebolito dal blocco degli aiuti: «Il sistema sanitario di Gaza viene sistematicamente smantellato, rendendo impossibile sostenere la vita dei palestinesi» scrive Lancet. In realtà, tutte le infrastrutture necessarie alla sopravvivenza vengono sistematicamente attaccate, con «l’89% dei sistemi idrici e igienici e il 92% delle abitazioni distrutte o danneggiate. Con le zone militari vietate che ora coprono il 70% di Gaza e lo sfollamento di circa il 90% della popolazione in spazi abitativi sovraffollati con scarso accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici, le malattie infettive sono diffuse». Le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere i palestinesi sostengono il proliferare delle malattie: confrontando i dati annuali del 2023 e del 2024, i casi di diarrea acquosa acuta sono aumentati di 36 volte, mentre la sindrome dell’ittero acuto (riferibile all’epatite A) di ben 384 volte. Tra i primati drammatici, ricorda Lancet, Gaza ospita anche la più grande coorte di bambini amputati della storia moderna.
I dati dell’impatto della guerra sui più piccoli: 18.000 bambini e bambine uccisi dall’inizio del conflitto e 35 che in media perdono la vita ogni giorno, sono certamente quelli che hanno fatto più breccia nell’opinione pubblica. E a tradurre i numeri nella realtà quotidiana proprio in queste ore abbiamo nella mente (e negli occhi per chi ha avuto il coraggio di guardare il video) il dramma della pediatra Alaa Al-Najja, che ha perso nove dei suoi dieci figli quando un missile ha colpito la sua casa. Ma, oltre che per i bombardamenti e gli altri attacchi con armi da fuoco, bambini e bambine muoiono di malnutrizione cronica e quelli che sopravvivono potrebbero non riprendersi mai del tutto: oltre alle ferite fisiche, il trauma psicologico di vedere le proprie case distrutte e le proprie famiglie uccise non potrà che lasciare cicatrici permanenti. L’eredità di questa distruzione si sentirà nelle generazioni a venire, ammonisce la rivista inglese.
Ma l’affondo più duro l’editoriale di Lancet lo riserva alle ultime righe, richiamando l’impunità troppo a lungo concessa al governo israeliano: «nonostante le dichiarazioni spesso ripetute di medici ed esperti di salute pubblica sulle atrocità commesse contro la popolazione civile a Gaza, molte accademie mediche e organizzazioni di professionisti della salute che rivendicano un impegno per la giustizia sociale non hanno parlato. Il loro silenzio è moralmente inaccettabile». La storia del conflitto israelo-palestinese e il contesto geopolitico circostante sono complessi, riconosce Lancet, ma le prove del tentativo di eliminare la popolazione palestinese ci sono e la comunità internazionale deve trovare il coraggio di infrangere il silenzio e battere l’impunità.
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