In merito alla risposta delle assemblee e dei coordinamenti dei precari alla nostra lettera aperta sulle criticità del nuovo Contratto di Ricerca (CDR), desideriamo fare chiarezza e spiegare meglio il punto centrale. Le problematiche sollevate non riguardano esclusivamente i ricercatori precari ma coinvolgono l’intero sistema della ricerca, inclusi coloro che formano e impiegano i ricercatori, tra cui noi stessi.

Come attori dello stesso processo scientifico, siamo naturalmente uniti nell’intento di promuovere il progresso della conoscenza. Ci preme sottolineare che la situazione attuale non è il risultato di una mera, e strumentale, contrapposizione tra categorie, bensì di una storica e cronica insufficienza di risorse dedicate alla ricerca e di un’organizzazione sistemica che necessita di profonde revisioni. In questa ottica, il nostro obiettivo è contribuire a un dibattito costruttivo e orientato alla ricerca di soluzioni, evitando di alimentare contrapposizioni che rischiano di distogliere l’attenzione dalle vere priorità: la valorizzazione del ruolo della ricerca e dei suoi protagonisti nel tessuto sociale ed economico del Paese.

Affamare l’ecosistema della ricerca è un cattivo investimento

Con il passaggio ai CDR, sta alla logica dedurre che se sono circa il doppio più onerosi dei precedenti assegni di ricerca, il doppio delle risorse debbano essere impiegate, per rimanere dove si è. Di più se si vuole progredire. Ricordiamo che gli investimenti in ricerca sono tra i più redditizi, come più volte ricordatoci da molti studi e dai successi nei più svariati ambiti, come quelli della medicina e dell’intelligenza artificiale.

Le non più rinviabili riforme dell’ecosistema della ricerca

Risulta sempre più evidente che il nostro paese necessita di una riorganizzazione radicale e sistematica del sistema di sostegno e finanziamento della ricerca. Come sottolineato da numerosi esperti del settore questo cambiamento non è più rinviabile. È essenziale avviare una strutturazione efficace degli strumenti di finanziamento, che preveda bandi con frequenze e cadenze regolari, accompagnati da sistemi di revisione trasparenti, competenti e costruttivi. Ogni ricercatore, sia esso junior o senior, deve potere accedere a procedure di finanziamento competitive che ne accompagnino la progressiva maturazione scientifica e che permettano una programmazione pluriennale degli sforzi. Nelle scienze della vita, esistono esempi virtuosi di come strutturare questi processi. Sono quelli messi in atto da anni da associazioni del terzo settore come AIRC e Telethon Italia, i cui ruolo non è quello di reperire più risorse per sopperire alle mancanze dei finanziamenti pubblici, ma potrebbe essere quello di indicare la rotta verso la quale dirigerci nel riformare il sistema.

Questi cambiamenti devono necessariamente essere accompagnati dalla creazione di un’Agenzia Nazionale per la Ricerca, capace di mettere a sistema le risorse oggi disperse in molteplici rivoli. L’attuale frammentazione contribuisce a un sistema non solo povero di mezzi, ma anche estremamente inefficiente. Un’agenzia centralizzata e ben strutturata garantirebbe una gestione più coerente e strategica delle risorse, favorendo un approccio integrato e omogeneo che supporti lo sviluppo della ricerca in modo più incisivo.

Un periodo di regime transitorio

La pratica scientifica insegna che le novità dovrebbero essere introdotte gradualmente, sperimentandole inizialmente su scala ridotta per valutarne le ripercussioni. Non si comprende, quindi, perché la normativa dei CDR non possa essere, perlomeno inizialmente, limitata ad alcuni ambiti e affiancata da forme di impiego che siano più flessibili e adatte alla situazione attuale. È facile immaginare che anche se il legislatore accogliesse in toto i cambiamenti proposti sopra, un sistema capace di sostenere i CDR richiederebbe almeno un quinquennio per andare a regime. Alla luce di ciò, sarebbe auspicabile che, per il momento, i CDR rimangano circoscritti ai contesti in cui risultano effettivamente sostenibili, evitando così di compromettere ulteriormente la stabilità di un sistema già fragile.

La direzione nella modifica dei CDR

Pur preservando le tutele esistenti, è evidente che altri aspetti dei CDR necessitano di miglioramenti, specialmente in vista di un futuro in cui, come tutti auspichiamo, le risorse saranno incrementate e il sistema opportunamente strutturato. Infatti, se non si vuole introdurre altri strumenti occupazionali, bisogna risolvere le inflessibilità dei CDR come la durata minima di due anni e la mancanza di progressività per accompagnare il passaggio da postdoc junior a postdoc senior. Le modifiche minime dunque devono introdurre una durata minima di 6 mesi e prevedere meccanismi per non svantaggiare i ricercatori più giovani nei processi concorsuali di selezione.

Inoltre, almeno durante una fase transitoria, sarebbe necessario reperire risorse per ridurre il divario di costo tra le forme di impiego precedenti e i CDR, evitando così di penalizzare ulteriormente un sistema già in difficoltà. La situazione attuale vede il legislatore alle prese con due possibilità: l’approvazione dell’emendamento Occhiuto o la prosecuzione dell’iter del disegno di legge 1240. Entrambi possono e devono essere rivisti nella direzione che auspichiamo, ed è ora fondamentale agire con urgenza, viste anche le ripercussioni dell’inadeguatezza dei CDR a livello Europeo.

Verso un sistema più equo e sostenibile

Non possiamo limitarci a osservare la punta dell’iceberg, rappresentata dalle condizioni contrattuali, senza considerarne la base, cioè l’intero sistema della ricerca. La mancanza di risorse adeguate e la loro strutturazione rimangono il problema di fondo, e solo con un impegno concreto e condiviso sarà possibile costruire un sistema che non solo tuteli i nostri giovani ricercatori, ma offra loro opportunità reali di crescita e stabilità.

Siamo tutti mossi dallo stesso obiettivo: il bene dei nostri giovani talenti e il progresso delle conoscenze. Tuttavia, per raggiungerli, è necessario navigare da qui in avanti con strumenti validi e mezzi adeguati, senza i quali il futuro della ricerca in Italia rimarrà inevitabilmente incerto.