Lo spunto per questo contributo mi è venuto da un articolo de la Stampa sulle Marche, definite “nuovo Ohio d’Italia”. In questo articolo per l’ennesima volta si identifica in una Regione italiana quella che in occasione di una tornata elettorale (in questo caso le prossime elezioni regionali che interessano sei Regioni) potrebbe segnare la svolta a favore del centrodestra o del centrosinistra. Ormai la validità del riferimento all’Ohio è stata definitivamente smontata, anche se ancora viene buono in qualche titolo e certamente, Ohio a parte, le elezioni regionali delle Marche sono effettivamente un test elettorale importante, visto che, nel 2020, è stata la prima Regione italiana a essere strappata al centrosinistra che storicamente la governava, da una coalizione di centrodestra trainata dal partito dell’attuale Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che non a caso qui nel 2022 iniziò la sua trionfale campagna elettorale. 

Il tema che vorrei analizzare, e cioè il rapporto tra politica e sanità nelle Marche, a mio parere fornisce comunque utili spunti di riflessione generale sul rapporto tra politica e crisi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Le Marche sono infatti una realtà con tante caratteristiche che la rendono un buon caso di studio. 

L’ospedale è indice di qualità sanitaria?

Innanzitutto le Marche sono una Regione media, o meglio mediana, da tanti punti di vista: si trova al centro del Paese e (da questa fonte) al tredicesimo posto come numero di abitanti, all’undicesimo come densità abitativa e al quindicesimo come numero di Comuni. Da altra fonte ricaviamo che è al dodicesimo posto come “ricchezza”. Quando il centrosinistra perse le elezioni nel 2020 (primo anno della pandemia in cui, invece, la gran parte delle Regioni confermò in autunno  il governo che aveva gestito la prima fase) la situazione della sanità delle Marche poteva essere così sintetizzata: al monitoraggio ministeriale dei Livelli Essenziali di Assistenza col vecchio sistema della griglia LEA le Marche erano risultate nel 2019 al quinto posto, mentre la sua tenuta economica in base ai dati 2018 l’aveva fatta includere nel 2022 tra le tre cosiddette Regioni benchmark per il buon equilibrio tra costi e punteggio LEA. Buoni risultati, quindi.

Il tracciante che verrà qui utilizzato per descrivere l’evoluzione delle politiche sanitarie nelle Marche è quello del riequilibrio ospedale-territorio, una delle variabili che più influenza la qualità complessiva dei servizi erogati dal SSN. Il forte peso degli ospedali nella percezione della qualità del sistema da parte dei cittadini e della politica ha radici antiche. Viene sempre buona a questo proposito la triade “case, scuole e ospedali” con cui Giuseppe Saragat aveva sintetizzato il suo messaggio programmatico negli anni ’50. Questa centralità dell’ospedale come principale indicatore della vicinanza della sanità pubblica ai bisogni di salute dei cittadini trova a tutt’oggi continue conferme nella difesa degli ospedali da parte dei tanti “Comitati in difesa dell’Ospedale di…” Sia che si tratti di piccoli ospedali da riconvertire, sia di ospedali vicini da accorpare. 

Le strategie di equilibrio tra ospedale e territorio

Negli ultimi decenni sono emersi due fenomeni particolarmente rilevanti: l’affermarsi della cronicità come problema di salute prevalente e la crescita degli standard tecnologici e organizzativi e quindi della complessità degli ospedali. Il fenomeno della prevalenza della cronicità (e dell’invecchiamento progressivo della popolazione in paesi come il nostro) ha spinto alla individuazione di risposte come il Chronic Care Model, che prevedono il potenziamento dei servizi territoriali e una loro modalità di funzionamento caratterizzata dalla proattività, dall’interdisciplinarietà e  interprofessionalità, dall’innovazione tecnologica (vedi la telemedicina) e professionale (vedi l’infermiere di famiglia e di comunità). 

Il fenomeno della crescita della complessità degli ospedali ha spinto invece verso la distinzione tra quelli orientati alla cronicità e alla bassa complessità clinica, da rendere ragionevolmente diffusi, e quelli orientati alla acuzie e all’alta complessità clinica da concentrare quanto più possibile. È interessante notare che entrambi questi fenomeni hanno trovato già tanti anni fa una loro potenziale risposta in atti di indirizzo nazionale. Il fenomeno della crescita della complessità degli ospedali ha portato nel 2015 al Decreto Ministeriale 70 sugli standard della assistenza ospedaliera che prevedeva una razionalizzazione della offerta e un suo funzionamento a rete, provvedimento che era stato anticipato dalla cosiddetta spending review del 2012. Invece la centralità delle condizioni croniche all’interno dei bisogni di salute della popolazione aveva portato all’approvazione del Piano Nazionale della Cronicità (PNC) nel 2016, che aveva in nuce tutti gli elementi tipici del Chronic Care Model che poi sono confluiti nella Mission 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e poi nel Decreto Ministeriale 77 del 2022. Quindi sono almeno dieci anni che le Regioni hanno ricevuto dal livello centrale indicazioni di riequilibrare il rapporto tra assistenza ospedaliera e assistenza territoriale, in modo che la razionalizzazione della prima possa portare allo sviluppo della seconda. Tanto è vero che era stato previsto che il ministero della Salute monitorasse l’applicazione del DM 70 e che il rispetto di questo fosse un prerequisito per approvare i programmi di edilizia sanitaria.

E adesso torniamo nelle Marche e in particolare alla situazione della sanità nel 2020 al momento delle elezioni regionali. Se letta alla luce del criterio dell’equilibrio tra assistenza ospedaliera e assistenza territoriale questa situazione era caratterizzata da una storica frammentazione della rete ospedaliera pubblica, tanto che nel Rapporto OASI della Bocconi del 2008 dedicato a un’analisi comparativa delle reti ospedaliere regionali quella  delle Marche venne definita “dispersa pura” al pari di quelle di Sardegna, Sicilia e Calabria. Nel frattempo le giunte di centrosinistra erano intervenute a ridurre questa frammentazione, con la riconversione o la chiusura di circa 40 ospedali tra il 1983 e il 2013, anno dell’ultimo lotto di riconversioni di piccoli ospedali che aveva riguardato 13 strutture in applicazione della spending review. Non erano riuscite però a completare la razionalizzazione, pagandola con un sottodimensionamento dei servizi territoriali, naturale riflesso del peso che continuava a essere eccessivo della assistenza ospedaliera.

Il fascino delle risposte vecchie ai bisogni nuovi

Nella campagna elettorale del 2020 il cavallo di battaglia del centrodestra fu la lotta alla razionalizzazione della rete ospedaliera che il centrosinistra aveva pur tra tante incertezze condotto nelle ultime legislature. Gli slogan vincenti furono «no agli ospedali unici provinciali» (di cui peraltro nessuno aveva parlato) e «una sanità più vicino al cittadino» (dove di fatto la sanità veniva fatta coincidere con l’ospedale), mentre l’accusa costantemente rivolta al centrosinistra fu quella di «avere chiuso 13 ospedali». Di fatto, il centrosinistra perse le elezioni regionali marchigiane per avere applicato le indicazioni nazionali sulla razionalizzazione della rete ospedaliera. Ovviamente, molti altri elementi entrarono in gioco nella competizione elettorale, ma una rapida rassegna della stampa locale evidenzia quanto ancora pesi ancora sul centrosinistra marchigiano lo stigma della chiusura (in realtà riconversione) dei famosi 13 ospedali.

 Dal 2020, l’anno del suo insediamento, la giunta di centrodestra che governa le Marche ha tenuto fede al suo programma di mantenimento o addirittura sviluppo di una rete ospedaliera “vicina al cittadino” e “lontana” sia dalle norme che da qualunque forma di compatibilità. Basta un solo dato: per una popolazione di un milione e mezzo di abitanti è prevista nelle Marche una rete di 14 ospedali pubblici con un Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) contro i 10 massimi compatibili col DM 70. Questa rete non funzionerà mai, per carenza delle risorse necessarie, a partire dal personale dei Pronto soccorso e dei DEA, ma allo stesso tempo assorbirà più di un miliardo di euro (parte dei quali non si sa dove verranno presi) in investimenti edilizi per tre ospedali nuovi, che ne sostituiranno altrettanti vecchi e sei nuove palazzine DEA. 

Questa rete ipertrofica, frammentata e inefficiente sottrarrà ulteriori risorse ai servizi territoriali: già oggi delle 29 nuove Case della comunità previste nelle Marche solo una è, forse, pienamente operativa. Ai nuovi bisogni si preferisce dare a intendere che funzioneranno le risposte vecchie.

Ma perché ragionare su questa vicenda locale? L’interesse di sistema sta nel fatto che questa disapplicazione degli atti di indirizzo nazionali avrebbe dovuto scontrarsi con i controlli centrali, sia in sede di Piano Socio sanitario delle Marche 2023-2025, che in sede di programmazione edilizia, come previsto dalle regole. Questa omessa verifica da parte del livello centrale pesa come un macigno nella campagna elettorale per le regionali appena iniziata nelle Marche. 

Il centrodestra inaugura cantieri su cantieri esibendoli in ogni occasione come la dimostrazione “fisica” di una sanità vicina ai cittadini. Alla dispersione degli ospedali corrisponde la dispersione delle attrezzature e delle strutture finanziate con il PNRR e pazienza se le prime saranno sottoutilizzate e le seconde rimarranno per lo più vuote. Alla opposizione rimane il difficile compito di dimostrare che questi cantieri diventeranno una sorta di bolla immobiliare della sanità marchigiana Nei cittadini il fascino dell’ospedale “sotto casa” che viene rifatto o adeguato rimane alto, più alto comunque della promessa di migliori servizi territoriali. 

Sono molte le lezioni che vengono dalle Marche, l’Ohio d’Italia. La prima è che il livello centrale deve presidiare i processi di riequilibrio tra ospedale e territorio che gli atti di indirizzo nazionale forniscono da anni. Oppure deve riscriverli. Che senso ha che il ministro Schillaci invochi, come ha fatto di recente, maggiore spazio per la prevenzione quando il suo ministero di concerto con quello della Economia e delle Finanze lascia passare programmi di edilizia sanitaria che aumentano ulteriormente sia oggi che in prospettiva i costi della assistenza ospedaliera come avvenuto nel caso delle Marche

La seconda lezione è che cittadini e media vanno messi in condizione di avere più cultura di sanità pubblica (cioè una maggiore public health literacy) in modo da leggere e interpretare meglio le scelte di politica sanitaria che li riguardano. La terza è la necessità di correggere l’atteggiamento di quei corpi intermedi (università e ordini professionali, per esempio) che dovrebbero prendere posizione nei confronti delle scelte di politica sanitaria rilevanti per il sistema in cui operano. 

La quarta riguarda tutti coloro che sono preoccupati dalla crisi del SSN e scrivono o sottoscrivono appelli: esistono già oggi molte buone regole e molte buone indicazioni organizzative che vanno nella direzione giusta. A mancare sembra essere la volontà o la capacità della politica di tenerne conto, anche se ufficialmente le condivide, così come probabilmente a parole condivide gran parte del contenuto degli appelli.