“Quando hai deciso di interrompere la gravidanza, da quali fonti hai ottenuto informazioni sulla procedura per accedere al servizio?” “Ti hanno rilasciato il certificato per l’IVG al primo consulto?” “Se te l’hanno negato, quali ragioni hanno addotto?” “Ti è stata chiesta un’ecografia per ottenere il certificato?” “Hai dovuto pagarla di tasca tua?” “Quanto tempo è trascorso dalla decisione di interrompere la gravidanza al rilascio del certificato?” “Ti è stata offerta la possibilità di scegliere tra aborto chirurgico e farmacologico?”
Sono alcune delle domande del Questionario sull’accesso all’IVG elaborato da Period Think Tank, un’associazione che si occupa di promuovere l’equità di genere, in collaborazione con Pro-choice-Rete italiana contraccezione aborto, rete informale di persone impegnate nella difesa del diritto all’aborto sicuro e gratuito e alla contraccezione gratuita, e Laiga 194, associazione di ginecologi per l’applicazione della Legge 194.
Il sondaggio, lanciato il 28 ottobre, fa parte di un progetto finanziato dall’ente filantropico femminista Semia – Fondo delle Donne. È rivolto a tutte le persone che hanno abortito tra il 2020 e il 2025 in Italia entro i primi 90 giorni di gestazione. La raccolta dei dati, in forma anonima, proseguirà per un mese.
«Se un fenomeno non viene rilevato, è invisibile», spiega Giulia Sudano, presidente di Period Think Tank, «e la nostra missione è rendere visibili fenomeni che producono discriminazioni di genere. In questo caso, vogliamo documentare il percorso che va dalla decisione di abortire fino all’accesso al servizio, per evidenziare potenziali ostacoli che non emergono dai dati oggi rilevati e pubblicati».
Un osservatorio privilegiato su ostacoli e difficoltà
«Nel lavoro di accompagnamento delle persone che chiedono di interrompere una gravidanza, le volontarie della nostra rete sono testimoni dirette delle difficoltà che oggi rallentano l’accesso a un servizio garantito dalla legge», osserva l’antropologa Eleonora Cirant, attivista di Pro-choice Rete italiana contraccezione aborto. «Raccogliamo quotidianamente le richieste di aiuto di chi non riesce a ottenere il certificato per l’IVG dal proprio medico di fiducia che dichiara di essere obiettore, oppure di chi deve percorrere centinaia di chilometri per usufruire dell’aborto farmacologico, perché nella sua provincia viene erogato solo quello chirurgico. Spesso questi ostacoli rimangono sommersi e di conseguenza i decisori non sono motivati a impegnarsi per tentare di rimuoverli».
Come evidenzia Cirant, quello del patient journey, cioè del percorso che va dalla prima manifestazione di un problema di salute fino alla sua presa in carico da parte del servizio sanitario, è un ambito di indagine ben documentato nella letteratura scientifica. Ha lo scopo di evidenziare eventuali colli di bottiglia e garantire l’equità di accesso ai servizi.
La relazione sull’attuazione della Legge 194, trasmessa ogni anno dal Ministero della Salute al Parlamento, descrive il percorso dal momento in cui l’utente riceve il certificato necessario per accedere all’IVG fino all’espletamento dell’interruzione. Evidenzia quindi eventuali ostacoli e ritardi solo nella seconda fase dell’iter, trascurando la prima.
Come cambierà la raccolta dei dati
Alcune settimane fa, il gruppo che lavora all’iniziativa ha illustrato la questione in un documento consegnato a Serena Donati, responsabile scientifica del Sistema di sorveglianza epidemiologica dell’IVG presso l’Istituto Superiore di Sanità.
I dati raccolti dal Sistema di sorveglianza derivano dal questionario compilato dagli operatori e dalle operatrici sul territorio ogni volta che effettuano un’interruzione volontaria di gravidanza. Le strutture inviano le informazioni alle rispettive Regioni e Provincie Autonome, che le inseriscono nella piattaforma web GINO++, gestita dall’Istat. L’Istituto Superiore di Sanità accede ai dati aggregati attraverso la piattaforma, controlla la loro qualità, contatta le Regioni per colmare eventuali lacune, li elabora in collaborazione con l’Istat e redige la relazione che invia poi al ministero della Salute, il quale a sua volta la trasmette al Parlamento.
«Di recente l’Istat ha avviato un processo di aggiornamento dei questionari sottoposti agli operatori e alle operatrici e, nell’ambito di un progetto per migliorare la qualità dei dati, la prevenzione e l’appropriatezza delle procedure per l’IVG, abbiamo coinvolto i referenti regionali del Sistema di sorveglianza e i professionisti che effettuano le IVG nel Paese per discutere e verificare gli aspetti meritevoli di aggiornamento», spiega Donati. «Per esempio, sono stati aggiunti quesiti che permettono di rilevare in maniera appropriata il percorso dell’aborto farmacologico, comprese le interruzioni effettuate nelle strutture extra-ospedaliere, come previsto da una circolare del Ministero della Salute dell’agosto 2020. In seguito ai contatti con il gruppo di lavoro delle tre associazioni, abbiamo integrato l’aggiornamento con due domande relative alla prima parte del percorso, quella che precede il rilascio del certificato. La prima domanda è: l’utente ha avuto difficoltà a ottenere il certificato? Le possibili risposte sono: no, sì per carenza di informazioni, oppure sì per difficoltà di accesso al servizio, oppure altro (specificare). La seconda domanda è: quanti giorni sono trascorsi dall’esito positivo del test di gravidanza al rilascio del certificato? Attualmente i due quesiti sono all’esame delle Regioni. In futuro, quindi, la relazione sull’attuazione della legge 194 potrà prendere in considerazione l’intero percorso di accesso all’IVG, compresi eventuali ostacoli iniziali dovuti alla carenza di informazioni o alle difficoltà di accesso al certificato».
L’obiettivo del sondaggio
Il sondaggio appena lanciato raccoglie anche, in forma anonima, alcune informazioni socio-demografiche della persona che risponde, come la cittadinanza, il Paese di nascita, il genere in cui si identifica, la religione di appartenenza, disabilità, obesità o sovrappeso, altre caratteristiche. «Analizzando le risposte che raccoglieremo, vogliamo portare alla luce eventuali ostacoli che possono rendere l’accesso all’IVG più difficile per alcune categorie di persone, per esempio difficoltà dovute a barriere linguistiche e culturali che possono discriminare le persone con background migratorio», spiega Giulia Sudano.
Il gruppo di lavoro che ha elaborato il sondaggio è consapevole del fatto che i suoi risultati non potranno essere generalizzati all’intera popolazione di chi accede all’interruzione volontaria di gravidanza in Italia. «Un sondaggio ad adesione volontaria sul web è inevitabilmente soggetto a un processo di auto-selezione», dice Sudano. «Il nostro obiettivo è servirci di questo strumento qualitativo per far emergere situazioni problematiche e sollecitare le istituzioni che hanno gli strumenti a effettuare uno studio quantitativo su un campione rappresentativo. Soprattutto, vogliamo stimolare rappresentanti della politica nazionale e locale a rendere più efficiente il percorso per l’accesso all’IVG. Come parte del nostro progetto, stiamo già collaborando con la Regione Emilia-Romagna per realizzare una mappa interattiva dei centri che praticano interruzioni volontarie di gravidanza sul suo territorio, che sia facile da consultare e presenti le informazioni in possesso della Regione, che sono più aggiornate rispetto a quelle pubblicate annualmente nella relazione ministeriale».






