Pubblicato il 12/11/2025Tempo di lettura: 8 mins

Il dato del quasi 10% degli italiani che rinuncerebbero alle cure è uno di quelli che circola di più quando si vuole descrivere la profondità della crisi che attraversa il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Il dato è di fonte ISTAT e lo si trova aggiornato nel documento di commento che l’istituto ha fatto a proposito della manovra di bilancio 2026. Il documento riporta il dato per il 2024 di un 9,6% di italiani che ha rinunciato a curarsi, soprattutto per problemi di liste di attesa. Dopo avere premesso che i dati derivano dall’Indagine Istat Aspetti della vita quotidiana, che raccoglie informazioni sulle persone che, pur avendone bisogno, hanno dovuto rinunciare a un accertamento diagnostico o a una visita specialistica (escluse le visite odontoiatriche), il documento riporta questi dati:

  • nel 2024 il 9,9% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi per problemi legati alle liste di attesa, alle difficoltà economiche o alla scomodità delle strutture sanitarie: si tratta di 5,8 milioni di persone, a fronte di 4,5 milioni nell’anno precedente (7,6%)
  • la rinuncia a causa delle lunghe liste di attesa costituisce la motivazione principale, indicata dal 6,8% della popolazione, e risulta anche la componente che ha fatto registrare l’aumento maggiore negli ultimi anni
  • la rinuncia in conseguenza delle lunghe liste di attesa è più elevata per le persone adulte di 45-64 anni (8,3%) e tra quelle anziane di 65 anni e più (9,1%) ed è più diffusa tra le donne (7,7%)
  • il problema ha interessato il 6,9% dei residenti nel Nord, il 7,3% nel Centro e il 6,3% nel Mezzogiorno
  • la frequenza delle rinunce non ha una connotazione precisa in termini di diseguaglianze socioeconomiche e considerando il titolo di studio come proxy dello status socioeconomico dell’individuo si rileva un gradiente decrescente passando dalle persone con un basso livello di istruzione a chi possiede un titolo di studio elevato solo tra le donne di 65 anni e più. 

Per ragionare su questo scenario è opportuna qualche informazione aggiuntiva sulla fonte dei dati. Dal sito dell’ISTAT si ricava che l’indagine sugli aspetti della vita quotidiana delle famiglie è eseguita su un campione di circa 25.000 famiglie distribuite in circa 800 comuni italiani di diversa ampiezza demografica e che:

  • tutte le persone appartenenti alle famiglie rientranti nel campione partecipano all’intervista. Se qualcuno è assente o impegnato, nel caso di intervista somministrata da un intervistatore, si chiede un appuntamento entro l’arco di tempo previsto per la rilevazione e se questo non fosse proprio possibile le risposte possono essere fornite da un altro familiare
  • la raccolta dei dati era prevista tra il 13 gennaio e il 24 febbraio 2025, periodo durante il quale le famiglie potevano accedere al questionario web e compilarlo in autonomia, mentre dal 27 febbraio all’8 aprile 2025 tutte le famiglie che non avevano compilato il questionario on line sarebbero state contattate da un rilevatore comunale per l’intervista faccia a faccia
  • le informazioni vengono raccolte attraverso un questionario che si articola in più parti: una scheda generale che raccoglie le informazioni socio-demografiche dei componenti della famiglia (età, sesso, stato civile, titolo di studio, ecc.), un questionario familiare con informazioni generali sulla famiglia e un questionario individuale
  • le domande sulla rinuncia alle cure è contenuta nelle sezioni 9 e 10 del questionario  nella parte relativa alle informazioni da raccogliere per ciascun componente della famiglia. Nella sezione 9 si richiedono risposte sulle visite mediche e in quella 10 sugli accertamenti diagnostici. In entrambe le sezioni si chiede se queste prestazioni sono state effettuate negli ultimi 12 mesi, le modalità di pagamento dell’ultima e l’indicazione di chi l’aveva prescritta, se si era rinunciato a qualche prestazione negli ultimi 12 mesi “pur avendone bisogno” e quale era stato eventualmente il motivo. 

Quel che tutti si aspettano

Questa ricostruzione consente di capire immediatamente i pregi (uno) e i limiti e difetti (molti) di questo dato ISTAT relativo alla rinuncia alle cure da parte di italiani e italiane. Il pregio è che si tratta un dato da clickbait, di semplice comprensione e grande impatto. I titoli dedicati di recente in occasione della manovra di bilancio a questo dato non si contano. Uno per tutti: «Istat, un italiano su dieci rinuncia a curarsi per liste d’attesa troppo lunghe» (fonte: Tgcom24). 

Si tratta di un dato “che acchiappa” specie quando tradotto in milioni di italiani e italiane che rinunciano alle cure (Ddl bilancio: Istat, 5,8 milioni persone rinunciano a cure, lunghe liste attesa, fonte: Il Sole 24 ore Radiocor). Questo dato è folgorante nella sua sintesi e incrocia il vissuto di tante persone. Diventa anche uno strumento di propaganda politica: «Ormai si cura solo chi ha la carta di credito» come ha affermato per esempio in campagna elettorale Matteo Ricci, candidato della coalizione di centrosinistra alle ultime regionali nell’Ohio d’Italia, le Marche, partendo proprio dai dati della rinuncia alle cure. Un altro motivo del grande successo di questo dato è che dice quello che tutti si aspettano che venga detto: la nostra sanità pubblica va sempre peggio di anno in anno. 

Adesso vediamo invece i difetti e i limiti. Il principale difetto, una sorta di peccato originale, è che il dato dell’ISTAT non riguarda in realtà la “rinuncia a curarsi”, ma solo la rinuncia a una prestazione specialistica. La differenza è ovvia: una prestazione specialistica rappresenta un episodio all’interno di un possibile percorso di cura (peraltro a bassa probabilità di essere avviato per i problemi di inappropriatezza che affliggono questa tipologia di prestazioni). L’espressione “rinuncia a curarsi” non solo è imprecisa, ma rischia nella sua genericità di essere fuorviante. Da una parte rimanda a un sistema sanitario pubblico che esclude dai percorsi di cura (magari compresi quelli percepiti come più rilevanti dalle persone come quelli di area oncologica) un cittadino su dieci e dall’altra maschera il fatto che in molte realtà la rinuncia alle cure è molto più alta di quel generico 10%. 

L’elenco dei limiti di affidabilità del dato ISTAT sulla rinuncia alle cure sono poi tanti:

  • la fonte è un questionario autocompilato da parte di un campione di popolazione quale quella italiana a bassa alfabetizzazione e a bassa alfabetizzazione sanitaria (health literacy), come già discusso qui su Scienza in rete
  • non si tenta alcuna interpretazione del dato, incrociandolo per esempio con quello che viene fuori dalle sezioni 7 e 8 del questionario dedicate rispettivamente al consumo di servizi sanitari e socio-sanitari e al consumo di servizi ospedalieri o con quanto emerge dall’analisi delle rinunce in rapporto al medico richiedente la prestazione
  • i dati presentano notevoli incoerenze vista la mancata correlazione della percentuale di rinunce rispetto alla macroaerea di provenienza (sarebbe meno frequenti nel Mezzogiorno) e la scarsa correlazione con il livello socioeconomico (che si correlerebbe solo nelle donne con più di 65 anni). In realtà è talmente noto da poter essere considerato scontato che i problemi di accesso alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di qualunque genere sono in Italia molto maggiori nel Mezzogiorno, come testimoniato da una infinità di dati e indicatori (tra le fonti a solo titolo di esempio: il monitoraggio ministeriale dei Livelli Essenziali di Assistenza attraverso gli indicatori del Nuovo Sistema di Garanzia, il Rapporto ministeriale sulla Salute Mentale e l’Osservatorio Nazionale Screening). Quanto all’influenza sull’accesso delle condizioni socio-economiche basta riferirsi al recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità World report on social determinants of health equity;
  • i dati relativi alla popolazione anziana non trovano conferma nei risultati del Sistema di Sorveglianza Passi d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità che evidenziano una maggiore frequenza delle rinunce, ma allo stesso tempo una loro riduzione percentuale nel tempo.

Peraltro l’ISTAT non affronta minimamente il problema della affidabilità e della comparabilità del dato sulla rinuncia a curarsi.

Diseguaglianze anche negli accessi alle cure oltre che nelle rinunce

Una domanda sorge spontanea: ma non ci sono altre fonti più affidabili sul problema del mancato e differente accesso alle prestazioni e alle cure che in Italia cittadini e cittadine si aspettano legittimamente di ricevere dal Servizio Sanitario Nazionale? L’elenco è molto lungo (stavo per scrivere infinito), ma nessun dato assomiglia così tanto a una “pistola fumante” in mano a un SSN in crisi come quello ISTAT sulla rinuncia a curarsi. Mi limito a citare alcune fonti istituzionali:

  • il Rapporto 2024 (dati 2023) sulle reti oncologiche regionali dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas): qui troviamo ad esempio importanti differenze tra Regioni e Province in termini di copertura del fabbisogno interno di ricoveri di area oncologica, di tempi di attesa per la chirurgia oncologica e di capacità di risposta “locale” alla domanda di prestazioni chemioterapiche e radioterapiche
  • il Rapporto 2024 (dati 2023) sulle reti tempo-dipendenti sempre di fonte Agenas: qui troviamo dati con forti variabilità tra Regioni e Province, per esempio quanto a percentuale di infarti acuti del miocardio STEMI trattati con angioplastica primaria entro 90 minuti dal ricovero, percentuale di pazienti con ictus ischemico trattati con trombolisi e mortalità a 30 giorni dal ricovero per un episodio di trauma maggiore
  • sempre all’Agenas si deve il secondo Rapporto sulla mobilità sanitaria relativo all’anno 2024  che documenta i forti e in continuo aumento flussi di mobilità dei pazienti da Sud a Nord, una mobilità che sta (notizia di questi giorni) mettendo in difficoltà anche le Regioni di destinazione
  • il già citato Rapporto ministeriale sulla Salute Mentale evidenzia una grande variabilità tra Regioni quanto a personale e spesa pro capite in quest’area, mentre la stessa stampa di settore documenta gli enormi problemi nella transizione dai servizi di neuropsichiatria infantile ai servizi per l’adulto.

In sintesi e per concludere: perché si dà tanto spazio e tanta enfasi a un dato così grezzo e per certi versi fuorviante come il dato ISTAT sulla rinuncia alle cure? Perché purtroppo questo atteggiamento è frutto della rinuncia nel dibattito sulla crisi del SSN all’approfondimento e alla accettazione della complessità. Il che porta a rilanciare sulla necessità di una crescita della public health literacy tra addetti, cittadini, media e politici. 

Economia circolare: meno materie prime, più materie seconde

Pubblicato il 11/11/2025

Il Circular Economy Network chiede all’Europa maggiore sforzo per accelerare riciclo, riuso, riutilizzo, per rendere l’economia molto più circolare. Lo fa in particolare con un position paper dove propone di creare un mercato unico europeo per le materie prime seconde, cioè quelle materie recuperate dai rifiuti dopo il loro primo utilizzo (per cui erano state introdotte nel sistema produttivo come materie prime).