«Una persona ha cominciato a correre in strada. Era la prima volta che l’esercito israeliano la chiamava direttamente. Correva gridando: “Evacuate! Evacuate! Stanno per bombardare!”». Così Amira, psicologa di Medici Senza Frontiere (MSF) a Gaza, racconta uno degli otto ordini di evacuazione forzata che lei e la sua famiglia hanno subito. Una testimonianza di terrore in piena notte.

Gli spostamenti forzati sono solo una delle armi usate dalle autorità israeliane per rendere la vita impossibile a Gaza. In oltre un anno e mezzo di guerra, ospedali, mercati, scuole, strade, reti idriche e linee elettriche sono stati sistematicamente distrutti, in una campagna militare che richiama una strategia di pulizia etnica e punizione collettiva, condotta nel più totale disprezzo del Diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

Ogni giorno, le nostre équipe assistono a schemi di violenza pianificata: bombardamenti su ospedali e rifugi, uccisione di personale medico e umanitario, totale blocco di viveri, acqua, farmaci e materiali sanitari, ignorando le sentenze della Corte internazionale di giustizia che impongono a Israele di garantire gli aiuti e prevenire il genocidio. Dal 7 ottobre 2023 al 25 giugno 2025, il ministero della Salute di Gaza ha riportato l’uccisione di 56.156 palestinesi e il ferimento di 132.239 persone

Secondo un’indagine di mortalità condotta da MSF, quasi il 2% dei nostri colleghi e dei loro familiari a Gaza è morto in questo periodo. Tra le vittime civili, oltre il 40% sono bambini sotto i dieci anni. Solo 21 dei 36 ospedali rimangono “parzialmente funzionanti” e quasi tutti hanno subito danni nel conflitto, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità. Gli attacchi contro strutture e personale sanitario sono continui: MSF ha dovuto evacuare il personale da 18 strutture e ha subito 50 episodi violenti, tra cui raid armati, bombardamenti su ospedali e cliniche e colpi sparati contro convogli umanitari. E non siamo i soli a subire queste violenze: si tratta di attacchi sistematici contro tutto il settore umanitario, in aperta violazione del Diritto internazionale umanitario, incluse le risoluzioni ONU, come la 2286, sulla protezione delle missioni mediche.

In questo contesto, l’unica ancora di salvezza rimasta per la popolazione civile, l’assistenza umanitaria, è stata trasformata essa stessa in arma di guerra. Da oltre un mese, Israele e Stati Uniti hanno avviato un cosiddetto piano di distribuzione di aiuti alimentari, gestito da un’entità denominata Gaza Humanitarian Foundation (GHF). Ma quello che viene presentato come intervento umanitario si è rivelato in realtà una trappola mortale.

Le modalità di distribuzione obbligano migliaia di persone, ridotte alla fame da oltre 100 giorni di assedio, a percorrere lunghe distanze per raggiungere quattro punti di distribuzione, situati in aree sotto controllo militare israeliano, circondati da postazioni di tiro, terrapieni e filo spinato. Se si arriva troppo presto, si viene colpiti. Se si tenta di avvicinarsi ai checkpoint o di scavalcare per fame, si viene colpiti. Se si arriva tardi, si rischia comunque la vita perché la zona è considerata “evacuata”. Ogni giorno, le nostre équipe ricevono feriti da arma da fuoco che cercavano solo di prendere un sacco di farina.

In un solo mese, oltre 500 persone sono state uccise e 4.066 ferite mentre cercavano di accedere a queste distribuzioni. Solo nella clinica di Al Mawasi, supportata da MSF, dal 7 giugno sono arrivati 423 feriti dalle aree di distribuzione. E ogni giorno almeno dieci persone con ferite gravi bussano alle nostre porte: colpi d’arma da fuoco, ferite da esplosione, traumi che richiederebbero trasfusioni di sangue e interventi chirurgici urgenti che non possiamo garantire in un ambulatorio da campo. Nei pochi presidi rimasti aperti, il personale affronta quotidianamente emergenze complesse senza risorse adeguate. 

Un uomo del luogo racconta: «Ci stavano uccidendo uno a uno. Eravamo solo affamati, cercavamo di nutrire i nostri figli». Il prezzo di un sacco di lenticchie è arrivato a costare 30-40 shekel (circa 6-10 euro), un prezzo fuori portata per la maggior parte dei palestinesi. 

A rendere ancora più drammatica la situazione, le autorità israeliane hanno trasformato deliberatamente la privazione alimentare in una tattica militare: prima negando i rifornimenti, poi limitandoli a un flusso minimo e gestendoli secondo logiche di controllo e coercizione. Questo comportamento equivale a una violazione flagrante del Diritto internazionale umanitario perché gli aiuti, che dovrebbero essere garantiti con dignità e nel rispetto dei principi universali di imparzialità, neutralità e indipendenza, vengono invece strumentalizzati, subordinati a spostamenti forzati della popolazione e a una gestione diretta da parte israeliana, diventando un ulteriore strumento di sofferenza. L’ostruzione deliberata degli aiuti viola inoltre la Risoluzione 2720 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che impone la consegna rapida e senza ostacoli dell’assistenza umanitaria alla popolazione civile.

L’Unione europea e gli Stati membri non sono spettatori innocenti. Con rare eccezioni, hanno mantenuto un silenzio complice o una retorica ipocrita. Mentre condannano a parole, continuano a vendere armi che mutilano e uccidono i bambini e le bambine che curiamo ogni giorno. E, a dispetto di nuove escalation regionali, non possono permettere che l’attenzione venga distolta dall’orrore che continua a Gaza.  L’Unione europea e i governi europei hanno gli strumenti politici, economici e diplomatici necessari per esercitare una reale pressione sulle autorità israeliane affinché fermino quest’assedio e aprano i valichi di Gaza per consentire l’ingresso senza ostacoli degli aiuti umanitari. Non si tratta solo di strumenti teorici ma di risorse che possono essere concretamente utilizzate per difendere il Diritto internazionale e proteggere i civili.

Siamo di fronte a una catastrofe annunciata e deliberatamente provocata, resa possibile dalla sistematica disumanizzazione di una popolazione e dall’immobilismo di una comunità internazionale incapace di agire. È un fallimento collettivo.

MSF chiede con forza che questo sistema di distribuzione degli aiuti sia smantellato, che l’assedio su viveri, carburante, farmaci e forniture umanitarie venga revocato e che si ripristini un sistema umanitario indipendente e basato sui principi del Diritto internazionale, sotto il coordinamento delle Nazioni Unite. È indispensabile una tregua immediata e duratura. Serve ora. 
Non c’è più tempo per le esitazioni né per pericolosi doppi standard. Questo è un momento cruciale che reclama coraggio politico, responsabilità giuridica e dovere morale per mettere fine alla sofferenza inflitta alla popolazione di Gaza.