Dopo una distribuzione limitatamente statunitense è nelle sale italiane Lee Miller, film del 2023 diretto da Ellen Kuras, un biopic sulla celebre modella americana, fotografa di moda e musa dell’artista surrealista Man Ray. Famosa fotografa e reporter di guerra, per la rivista Vogue documentò il bombardamento strategico della battaglia d’Inghilterra, la battaglia di Normandia, la liberazione di Parigi, i campi di concentramento di Buchenwald e di Dachau. Ha contribuito alla fama del lavoro di Lee Miller lo scatto iconico che la ritrae farsi il bagno nella vasca personale di Hitler a Berlino.

All’età di sette anni, Lee subì una violenza sessuale, mentre si trovava a Brooklyn presso amici di famiglia in occasione del ricovero in ospedale della madre per disturbi mentali. Trascorse l’adolescenza tra solitudini e sofferenze, fino al trasferimento a Parigi per studiare teatro, e poi a New York. Un’adolescenza d’altri tempi? Beh, non proprio se pensiamo agli aborti tra le minorenni o, al contrario, alle mamme bambine, ai reati a sfondo sessuale con vittime minorenni, agli abusi e maltrattamenti che bambini e adolescenti subiscono anche nel nostro Paese, alle solitudini e ai diritti di genere negati agli adolescenti, che invece dovrebbero essere priorità da affrontare anche in Italia.

Un’altra Miller, Monique Miller, membra del Senato della Florida, si è posta recentemente all’attenzione pubblica americana e internazionale presentando due provvedimenti di legge che riguardano il lavoro minorile. Tra i punti controversi delle due proposte: a partire dai quattordici anni d’età, turni più lunghi di otto ore e senza pausa pranzo e mansioni usuranti in turni notturni in qualsiasi giorno dell’anno. Inoltre, assunzione anche per i tredicenni se hanno ultimato il corso scolastico e il 14° compleanno ricade entro il 31 dicembre. Considerando l’alto tasso di abbandono scolastico e quello di occupazione minorile dello Stato della Florida, e forse anche la riduzione della manodopera migrante, questi provvedimenti potrebbero anche essere pensati come applicabili, se non fosse che la loro approvazione e attuazione violerebbe i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. D’altra parte gli Stati Uniti non sono vincolati giuridicamente al rispetto dei diritti riconosciuti dalla Convenzione ONU approvata il 20 novembre 1989, non avendola ratificata. Problemi americani?

Beh, non proprio, visto che l’Italia è il quinto Paese europeo con la maggiore incidenza di abbandono scolastico e conseguente rischio di esclusione sociale, e con un minore su quindici, di età compresa tra i 7 e i 15 anni, che ha avuto esperienze lavorative (in un terzo dei casi svolgendo lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico). Insomma, anche da noi il tema del lavoro degli adolescenti non dovrebbe rimanere un fenomeno invisibile o ignorato.

I guai della famiglia Miller sono i nostri guai?

Se Monique Miller è al centro dell’indignazione di una parte di cittadini americani, in Europa contemporaneamente un altro Miller è al centro dell’attenzione. È Jamie Miller, tredicenne inglese di Wakefield, West Yorkshire, che da marzo occupa lo schermo televisivo di tante famiglie, o gli schermi digitali personali. Altri aspetti delle difficoltà dell’adolescenza quelli affrontati dalla famiglia Miller, composta dai genitori Eddie e Manda e dai figli, l’adolescente Lisa e, appunto, il tredicenne Jamie.

Sono i protagonisti dell’ormai celebre e discussa miniserie Netflix Adolescence scritta da Stephen Graham e Jack Thorne e diretta da Philip Barantini. Quattro episodi che, con salti temporali sequenziali di giorni e settimane, raccontano dall’omicidio della adolescente Katie Leonard sino al processo dell’accusato Jamie Miller. Girata in un unico piano sequenza (senza stacchi, senza montaggio) come per non interrompere la lezione e presentare un’interpretazione, forse la dominante, di un periodo di vita di una parte della generazione Z e delle rispettive famiglie. Quattro racconti/sequenza per contestualizzare il problema (primo episodio), trovarne i moventi sociali (secondo episodio) e psicologici (terzo episodio), definire alcuni perché dell’accaduto (quarto episodio). Quattro osservatori: scuola, società, salute, famiglia. Una forma poco filmica, poco attraente, che non sprigiona emozioni, ma passività come le lezioni ex-cattedra.

Non è il popolo dei maranza quello rappresentato da Adolescence, quello che ascolta Simba La Rue, RondodaSosa, Baby Gang, Sacky, Artie 5ive, Neima Ezza, o Keta, tutti nati oltre il 2000, delle baby gang, degli atti di vandalismo, delle rapine, con la lama nel borsello griffato ma taroccato. No, è la popolazione mediana della distribuzione della povertà economica e culturale multidimensionale e asimmetrica inglese o italiana. Realtà sociali le cui reti relazionali si sono allentate, sfilacciate o addirittura mai intrecciate e annodate per dar tenuta e continuità ai legami. È la storia di una popolazione giovanile ad alta frequenza di vittime e aggressori di episodi di bullismo e anche, perché altamente e malamente “connessi”, di cyberbullismo.

Sebbene i problemi di salute e del comportamento riportati come prevalenti durante l’adolescenza siano l’uso di tabacco e alcol, dieta scorretta, scarso esercizio fisico, sovrappeso e obesità, il disturbo prevalente è la depressione, che insieme agli incidenti stradali è identificato come principale causa di morte in età adolescenziale. Frequenti sono anche i disturbi dell’alimentazione che possono interessare anche un adolescente su dieci.

Vedere, ma anche riflettere e agire

Adolescence sceglie di raccontare un episodio di cronaca nera, raro nell’esito: un’azione aggressiva in risposta alla volontà di vittimizzazione in un contesto scolastico e famigliare favorente. Una storia drammatica personale e famigliare raccontata in modo un po’ piatto dagli autori e dal regista. Sono alcune delle semplificazioni della miniserie che dovrebbero animare lo spettatore fino a protestare, spingerlo a riflettere, ma anche ad agire; non a sospendere la visione, ma farne materiale e occasione di confronto con altri, magari adulti, genitori di adolescenti. I temi trattati interessano tutti, come qualcuno ha scritto. Sì certamente, ma con coinvolgimento, preparazione e responsabilità diversi.

L’impreparazione degli adulti, tutti, ad affrontare non l’episodio, ma il fatto che accada, che crescano emozioni difficili da gestire così da determinare comportamenti dannosi per il singolo e la comunità. È l’incapacità (immaturità emotiva) genitoriale a costruire una rete educativa, culturale, emotiva che non deve essere contenitiva, ma relazionale, che consenta di osservare e sostenere, condividere e guidare. Il problema principale dei personaggi adulti di Adolescence non è quello di non essersi aggiornati alla cultura dominante espressa con la tecnologia digitale, con la retorica perpetuata dalla “manosfera” (spazi digitali di condivisione con contenuti fortemente misogini e antifemministi) o quella della comunità “incel” (celibi loro malgrado, non per scelta) che afferma che l’80% delle donne è attratto solo dal 20% degli uomini, anche tra gli adolescenti (da qui l’emoji con la scritta “100”, cioè la totalità). Il problema principale è aver dimenticato o non compreso quanto accaduto anche a loro: che il passaggio all’adolescenza e poi all’età adulta avviene per tutti, non è un processo lineare, comporta cambiamenti profondi non solo comportamentali, diversi per modalità, intensità e durata, finalizzati all’acquisizione dell’autonomia. È sicuramente importante introdurre l’educazione all’affettività e alla sessualità nei curricula scolastici fin dalla scuola dell’infanzia, ma non può prescindere dall’ essere parte, ancor prima, dei curricula famigliari. L’apprendimento cognitivo e affettivo inizia prima di entrare a scuola, già dai primi giorni di vita. Inizia presto a scuola, come il documentario di Federico Bondi e Clemente Bicocchi del 2015 presentava a partire dalla scuola primaria e come Un senso di Vasco Rossi, che nel 2004 cantava il bisogno di affettività e di aiuto allo star bene e meglio con gli altri.

Ecco, il peluche nel letto del figlio tredicenne con cui si conclude Adolescence indica proprio il bisogno e la mancanza di guide e supporti emotivi maturi, consapevoli e stabili per sostenere lo sviluppo di competenze emotive e relazionali adeguate, per età, personalità e responsabilità durante il percorso educativo.

Il diritto a essere ascoltati

Una mancanza di attenzioni verso i minori, e in particolare gli adolescenti, frequente nell’intera società. Lo scorso 9 aprile, per la prima volta in Italia si è celebrata la Giornata Nazionale dell’Ascolto dei Minori, istituita in attuazione della legge 4 luglio 2024, n. 104, con l’obiettivo di sensibilizzare e implementare quanto sancito dall’Articolo 12 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che riconosce a bambine, bambini e adolescenti il diritto a essere ascoltati e ad avere un ruolo attivo e partecipe nelle scelte che li riguardano direttamente. Un giorno all’anno è ormai difficile che sia esclusivo di una “giornata nazionale/internazionale per… contro…”, ma se ben pubblicizzata, con documentazione dei progressi fatti nel ridurre i bisogni e le prospettive per migliorare ulteriormente, la ricorrenza può rappresentare un momento di riflessione e di stimolo anche delle responsabilità del singolo e della collettività. Così succede che il 9 aprile, 99° giorno del calendario gregoriano, sia la giornata della psiconcologia, della lana (per disincentivare lo spreco che comporta costi economici e ambientali), dell’unicorno (con tutti i significati attribuiti alla leggendaria creatura) e anche dell’ascolto dei minori.

Già da oltre 50 anni sono attivi in molti Paesi europei (in Italia ancora in poche realtà) i Consigli comunali dei ragazzi come forme strategiche di educazione alla partecipazione democratica e civica per tutti i cittadini, e in particolare i minori, con facilitatori adulti che siano maturi, responsabili, disposti all’ascolto e all’analisi. Finalità meritevoli e da incitare e sostenere nell’ambito della comunità, ma queste caratteristiche non dovrebbero essere anche quelle di un genitore? Quelle che caratterizzano il percorso genitoriale di accompagnamento, crescita, affrancamento, autonomia dei figli? Osservare, ascoltare, conoscere, riflettere, condividere, proporre, accettare… i verbi della genitorialità.

Oggi gli over 65 sono 14,3 milioni, mentre i ragazzi e le ragazze minori di 14 anni sono meno di 7,2 milioni. Un rapporto (tasso di anzianità) che arriva a sfiorare i 200 anziani ogni 100 giovani. Una crescita dell’invecchiamento della popolazione accompagnato dalla diminuzione delle nascite. Una criticità che ha distratto dall’investire sul benessere delle nuove generazioni e la loro maggiore valorizzazione, fin dai primi anni di vita. Al crescere dell’età diminuisce la facilità di parlare con i genitori. Indicando anche la difficoltà degli adulti di saperli osservare, ascoltare… Un’incapacità ad ascoltare maggiore nei padri rispetto alle madri. In generale per le ragazze risulta comunque più difficile aprirsi con i genitori. Ma anche a scuola, luogo di confronto con i coetanei, la capacità degli insegnanti di interessarsi è percepita come carente nel 62% degli 11enni, scendendo al 50% a 13 anni e al 35% a 15 anni.

Eppure “l’età nova” è tema ricorrente nel corso degli studi, sin dalla scuola obbligatoria (per esempio con A Silvia di Leopardi). Forse la parafrasi non produce i risultati attesi. Al termine di Adolescence ci si potrebbe chiedere perché Katie e Jamie “non si sono baciati in piedi suscitando la rabbia dei passanti” e perché altre coppie non l’hanno fatto. Forse non bisogna appiattirsi a vedere e ascoltare quello che passa.

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è soltanto la loro ombra
Che trema nel buio
Suscitando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Loro sono altrove ben più lontano della notte
Ben più in alto del sole
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.

I ragazzi che si amano. Jacques Prévert, 1951