Da tempo il noto giornalista Federico Rampini cura una rubrica sul Corriere della Sera online intitolata Oriente Occidente, dove pubblica brevi video in cui, inquadrato in primo piano, discute di vari argomenti di attualità. Il 10 dicembre scorso ha pubblicato nella rubrica un video intitolato “Cosa insegna lo scandalo della rivista Nature”. Le parole contenute nel video possono essere commentate in vari modi.
Ascoltiamo il suo incipit, trascritto letteralmente, saltando soltanto la spiegazione fatta per non addetti ai lavori di che cosa è la rivista Nature e della reputazione di cui gode:
Lo scandalo di Nature è passato nel dimenticatoio un po’ presto (…). Più di un anno fa ha pubblicato uno studio, un apporto che calcolava danni catastrofici del cambiamento climatico sulla economia mondiale e molto di recente ha dovuto ritrattare quello studio…
In effetti nel 2024 Nature ha pubblicato uno studio intitolato “The economic commitment of climate change” (pubblicato il 17 aprile 2024), nel quale si stimava che entro il 2050 il cambiamento climatico avrebbe ridotto il PIL globale di circa il 19 %, con costi cumulati annuali fino a circa 38mila miliardi di dollari.
Tuttavia, dopo la pubblicazione, emersero critiche importanti: un dataset errato dall’Uzbekistan aveva influenzato i risultati e non si era tenuto conto della correlazione spaziale, compromettendo l’attendibilità delle stime. Detto questo, Rampini rivela di non essersi documentato a sufficienza prima di parlare; in realtà non c’è stato scandalo alcuno: bastava leggere qualche riga più sotto nelle notizie per capire che non è stata la rivista Nature a ritirare l’articolo in questione, ma sono stati gli autori che si sono accorti di alcuni errori introdotti nel loro studio.
Maximilian Kotz, Anders Levermann e Leonie Wenz, i tre autori, ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) in Germania, hanno spiegato bene la loro decisione nella nota del 3 Dicembre 2024:
«Gli autori hanno ritirato questo articolo per i seguenti motivi: dopo la pubblicazione, i risultati si sono rivelati sensibili alla rimozione di un paese, l’Uzbekistan, dove sono state riscontrate imprecisioni nei dati economici sottostanti per il periodo 1995-1999. Inoltre, è stato sostenuto che l’autocorrelazione spaziale fosse rilevante per gli intervalli di incertezza. Gli autori hanno corretto i dati dell’Uzbekistan per il periodo 1995-1999 e hanno controllato le transizioni delle fonti di dati e le tendenze di ordine superiore presenti nei dati dell’Uzbekistan. Hanno anche tenuto conto dell’autocorrelazione spaziale. Queste modifiche hanno portato a discrepanze nelle stime dei danni climatici entro la metà del secolo, con un aumento dell’intervallo di incertezza (dall’11-29% al 6-31%) e una minore probabilità di divergenze dei danni tra gli scenari di emissione entro il 2050 (dal 99% al 90%). Gli autori riconoscono che queste modifiche sono troppo sostanziali per una correzione, il che ha portato alla ritrattazione dell’articolo. Una versione aggiornata dell’articolo con queste modifiche, che deve ancora essere sottoposta a revisione paritaria, è disponibile al pubblico con accesso libero ai dati e alla metodologia (https://doi.org/10.5281/zenodo.15984134)».
Il 6 agosto 2025 il PIK ha quindi diffuso un comunicato che spiegava quali correzioni erano state fatte: la revisione del dataset economico dell’Uzbekistan (1995–1999), la correzione di alcuni decimali e l’introduzione della correlazione spaziale tra regioni, che hanno migliorato la robustezza delle stime e ridotto l’impatto complessivo del cambiamento climatico sul PIL globale dal 19 al 17%.
Non quindi ciò che ha sostenuto Rampini:
(quell’articolo) …era pieno zeppo di dati falsi manipolati truccati in modo da ingigantire per l’appunto i danni economici del cambiamento climatico… Ehm, autocritica benvenuta, però sui media questa notizia ha avuto poco spazio, è stata liquidata frettolosamente. E soprattutto non ha dato luogo a una riflessione adeguata sul perché è stato possibile.
Tutti concetti senza alcun fondamento: non si è mai trattato di dati falsi, manipolati o truccati, non c’era niente da liquidare frettolosamente sui media e non c’era da fare alcuna riflessione sul perché. Ma il ragionamento di Rampini va avanti sulla stessa falsariga:
Alcune categorie di scienziati si sono trasformati col tempo in sacerdoti di una religione in omaggio alla quale si possono anche dire delle bugie, bugie a fin di bene per rieducare una umanità peccaminosa. Questo è lo spirito che anima alcuni scienziati che in quanto tali diventano pseudo-scienziati e tradiscono il rigore scientifico perché pensano di avere una missione rieducatrice da inseguire il nome della quale sacrificano la verità.
A conti fatti Rampini sposa la tesi di Donald Trump che il 23 settembre 2025, intervenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha definito il cambiamento climatico «the greatest con job ever perpetrated on the world», definendolo «a green scam». Ma va oltre, e addossa la responsabilità di quello “scam” ad alcune centinaia di stimati scienziati dei cinque continenti, che hanno studiato e lavorato seriamente, che non hanno mai tradito il rigore scientifico e che in realtà pensano, questo sì, di avere una missione: quella di dire con dati e formalizzazioni solide come stanno davvero le cose.
La chiusura di Rampini allarga le responsabilità alla società nel suo insieme:
È stato possibile lo scandalo di Nature anche perché c’è una parte del pubblico che desidera sentirsi dire che la fine del mondo è dietro l’angolo, che adora le profezie apocalittiche e quindi non le sottopone ad alcun vaglio critico. Queste sono le condizioni che hanno reso possibile quello scandalo e probabilmente tanti altri di cui non si è mai parlato. Quando vogliamo sentirci dire che il mondo sta per crollare, allora quelle profezie sono musica soave per le nostre orecchie.
Non solo molti scienziati vengono accusati di essere dei sacerdoti di una religione, ma anche una parte dell’opinione pubblica di essere in cerca di profezie apocalittiche invece di voler conoscere lo stato reale delle cose. La chiusa del video, forse, è l’unico pezzo condivisibile, se letto nella direzione opposta a quella del giornalista:
La scienza non ha davvero niente a che vedere con tutto ciò.
Si, è vero, Rampini, la scienza non ha proprio niente a che vedere con superficialità e malafede.






