Pubblicato il 15/12/2025Tempo di lettura: 6 mins
Biodiversità significa non solo ricchezza e abbondanza delle forme di vita in un luogo, ma anche delle relazioni che esse intessono tra loro. La vita chiama vita, una specie crea i presupposti per l’esistenza di altre, la rete di connessioni e interazioni dà forma e funzione agli ecosistemi. Misurare le relazioni consente dunque di valutare lo “stato di salute” delle comunità biologiche e fornire una diagnosi precoce dei problemi ambientali, che possono insorgere ben prima che una specie si estingua. È però un compito tutt’altro che semplice. Una soluzione innovativa è quella di misurare i flussi energetici nelle reti alimentari: infatti in tutti gli ecosistemi terrestri l’energia arriva dal sole, viene catturata dalle piante e poi passa lungo la catena alimentare, dove ogni specie svolge il proprio ruolo.
Una nuova ricerca guidata dall’Università di Oxford in collaborazione con la Sapienza di Roma, e pubblicata su Nature, ha misurato il flusso di energia nelle reti alimentari per la prima volta su scala continentale, analizzando i dati relativi a oltre 3.000 specie di uccelli e mammiferi distribuite su foreste, savane e deserti nell’Africa subsahariana. Per misurare l’impatto umano sugli equilibri energetici nel tempo, lo studio ha messo a confronto la situazione attuale con le condizioni preindustriali stimate, utilizzando un indice, il Biodiversity Intactness Index, che misura il cambiamento nell’abbondanza delle specie animali in relazione alle modifiche nell’uso del suolo causate dalle attività umane. I risultati indicano che gli ecosistemi della fauna selvatica africana funzionano con meno di due terzi dell’energia che avevano un tempo.
Ma come si misura il flusso energetico? «Ogni animale necessita di un determinato quantitativo di energia per sopravvivere, che dipende dalla massa corporea ed il metabolismo medio, ma dell’energia assunta giornalmente, solo una parte viene assimilata», spiega Luca Santini, biologo de La Sapienza e coautore dello studio. «Conoscendo la massa corporea di un animale sappiamo quindi quanta energia richiede, e tramite la dieta e un relativo indice di assimilazione possiamo dedurre quanta energia dev’essere ingurgitata dall’animale ogni giorno per soddisfare le proprie richieste energetiche giornaliere. Moltiplicando questa stima per tutti i giorni dell’anno e per l’abbondanza della popolazione si riesce a ottenere una stima dei flussi di energia complessiva attraverso quella popolazione».
Il gruppo di ricerca ha suddiviso gli animali in gruppi sulla base di taglia, dieta, stile di vita e, nel caso dei mammiferi, dimensione dei gruppi sociali. Hanno individuato così 23 diverse funzioni, che includono sia quelle direttamente legate al tipo di dieta, sia quelle comportamentali (come la dispersione di semi e nutrienti, l’impollinazione e il rimescolamento del suolo). I risultati indicano che dall’epoca preindustriale a oggi questo flusso di energia è diminuito in media del 64%, quindi l’energia attuale è circa un terzo dell’originaria. Andando poi nel dettaglio, si riscontrano diverse asimmetrie. Le perdite più importanti sono quelle legate alla megafauna, particolarmente impattata da perdita di habitat e persecuzione diretta. Per elefanti, rinoceronti, giraffe, leoni e compagnia, il calo del flusso energetico supera infatti il 70% in tutti gli ambienti considerati. Uccelli e mammiferi di piccole dimensioni, al contrario, si stanno dimostrando resilienti ai cambiamenti, anzi ne sembrano avvantaggiati: in media il loro flusso di energia è aumentato del 10% rispetto al periodo preindustriale. Quindi, se non si inverte la rotta degli impatti antropici, gli ambienti africani saranno sempre più dominati da animali di piccole dimensioni e non più dagli iconici giganti che oggi ne sono simbolo. Ma, carisma a parte, la sostituzione non è affatto banale. I grandi mammiferi infatti svolgono un ruolo di ingegneri ecosistemici: la loro presenza plasma il paesaggio. La megafauna modella e struttura infatti la vegetazione: lo fanno i grandi erbivori brucando e pascolando, sradicando interi alberi (è il caso degli elefanti), calpestando il terreno e concimandolo con gli escrementi, ma anche i carnivori che li predano, controllandone la numerosità.
Una specie, insomma, non vale l’altra, e studiare il flusso di energia permette di capire quali funzioni ecosistemiche sono ancora forti e quali invece si sono indebolite, indipendentemente da quali specie siano presenti. In questo modo non solo si misura la presenza e l’abbondanza delle singole specie, ma si possono indagare anche quali siano le loro funzioni. «La riduzione dell’energia nelle comunità di uccelli e mammiferi non è stata uniforme, ma ha colpito in modo differenziale i gruppi funzionali che sostengono processi ecosistemici essenziali come la dispersione dei semi, l’impollinazione e il modellamento della vegetazione», commenta Santini. Infatti, i flussi di energia legati alle specie arboricole, sia uccelli sia mammiferi frugivori, sono fortemente diminuiti, soprattutto fuori dalle aree protette. Questo comporta un drastico calo nella capacità di dispersione dei semi: solo poco più della metà di questa funzione è ancora intatta nelle aree naturali mentre si arriva ad appena il 14% nelle aree coltivate. E se manca la dispersione dei semi, ne risente la foresta, nella sua espansione e nella complessità specifica.
A livello di ambienti, l’impatto è trasversale: savane, foreste, montagne e pianure sono tutte impattate, anche se con differenze importanti tra le zone che hanno subito drastici cambiamenti come urbanizzazione e uso agricolo intensivo, e zone più intatte. In particolare, le aree strettamente protette supportano ancora il 90% dei flussi energetici preindustriali, confermando la grande importanza di parchi e riserve, che mantengono quindi flussi di energia più intatti in tutte le funzioni ecologiche esaminate. Interessante anche notare come l’aumento di zone coltivate favorisca in particolare gli uccelli granivori: in questo tipo di funzione ecologica i ricercatori hanno infatti misurato un aumento significativo dei flussi di energia nel tempo; questo comporta però un potenziale conflitto tra attività agricole e fauna. La perdita di habitat penalizza le specie più selettive, favorisce le più generaliste, e dal punto di vista energetico, ambienti alterati dalle azioni umane possono essere più appetibili. Un altro studio pubblicato sempre su Nature e basato sui flussi di energia nelle foreste del Borneo, dimostra che nelle foreste sottoposte a taglio selettivo il consumo totale di risorse da parte di uccelli e mammiferi risulta circa due volte e mezzo superiore rispetto alle foreste primarie. Quindi, malgrado il disturbo dell’habitat, si mantiene una vitalità energetica, probabilmente legata al fatto che il taglio rende più accessibili alcune risorse. Al contrario, la transizione successiva in palmeti da olio azzera i flussi di energia, confermando il forte impoverimento delle funzioni ecosistemiche legato alle piantagioni intensive.
I vuoti biologici vengono colmati, la scomparsa di una specie o di una popolazione crea spazi e opportunità per altre più adattabili ma, come dimostra questo studio, la ripresa può essere solamente apparente e in termini di biomassa, non associata alla reale vitalità degli ecosistemi. «Il flusso di energia è la rete che tiene insieme un ecosistema», afferma Yadvinder Malhi, coautore dello studio dell’Environmental Change Institute di Oxford. «La perdita del flusso energetico animale non è solo una storia ecologica: è una storia del pianeta Terra, collega il destino delle singole specie al funzionamento e alla stabilità stessa della biosfera». Mappare i flussi di energia su scala globale è un nuovo approccio che permette non solo di misurare la perdita di vitalità degli ecosistemi, ma anche e soprattutto, con una prospettiva futura, di guidare le azioni di conservazione, in particolare nel ripristino ambientale, in cui è fondamentale non solo mantenere popolazioni vitali delle specie, ma anche la ricchezza delle interazioni biotiche e quindi delle funzioni che rendono vivo un ecosistema.
Lo squinternato teorema di Rampini contro gli scienziati-sacerdoti
Pubblicato il 12/12/2025
Da tempo il noto giornalista Federico Rampini cura una rubrica sul Corriere della sera online intitolata Oriente Occidente, dove pubblica brevi video in cui, inquadrato in primo piano, discute di vari argomenti di attualità. Il 10 dicembre scorso ha pubblicato nella rubrica un video intitolato “Cosa insegna lo scandalo della rivista Nature”. Le parole contenute nel video possono essere commentate in vari modi.








