Cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione. Questa frase, presa da Amici Miei e usata in ogni possibile occasione sui social, descrive le qualità di molti scienziati e scienziate che hanno fatto la storia dell’umanità, ma ne lascia fuori molti altri.

Nella chimica, fantasia e intuizione hanno portato a grandi scoperte. Giulio Natta intuì il potenziale degli studi condotti da Ziegler e con la sua fantasia avviò l’era della plastica; Humphry Davy ha eseguito meglio e prima di tutti la separazione di nuovi elementi con l’aiuto dell’elettricità; il colpo d’occhio di Robert Woodward ha fatto progredire la chimica organica a una velocità impensabile per gli anni ‘60.

C’è un luogo, però, dove la chimica è avanzata in un modo diverso, poco adatto alla cronaca e ai riflettori: nel buio umido delle miniere svedesi si è sviluppata una cultura del lavoro fatta di perseveranza, concentrazione e attenzione ai dettagli. È un modo di agire lento e costante che si è diffuso anche nelle università e ha plasmato le sperimentazioni chimiche: il legame tra duro lavoro minerario e laboratori ha contribuito a dare alla chimica un’aura di nobiltà, più di altre discipline. Nella Svezia dell’800 la massima aspirazione scientifica era proprio la costruzione di una carriera nella chimica. 

Se a questo contesto si aggiungono rocce contenenti elementi sfuggenti e difficili da isolare, abbiamo tutti gli ingredienti per il racconto perfetto. Una storia che, vista l’importanza moderna delle terre rare, merita di essere raccontata.

È intelligente ma…

Carl Gustaf Mosander incontra il mondo scientifico già a 15 anni, quando diventa apprendista in una farmacia di Stoccolma e inizia una carriera che lo porta otto anni dopo a studiare medicina al Karolinska Institutet. È il 1820 e il giovane studente impara a convivere con oneri e privilegi di formarsi sotto la guida di una figura tra le più ingombranti nella storia della scienza: Jöns Jakob Berzelius, che ha plasmato la chimica moderna e il suo lessico introducendo termini come allotropo, isomero, catalisi. Un mentore di tale calibro può essere fonte di ispirazione infinita, ma anche un punto di riferimento con cui è molto difficile misurarsi: “allievo che supera il maestro” non è una massima applicabile nel caso di Berzelius. 

Nell’intraprendere la carriera di chimico autonomo, Mosander ha quindi di fronte un’eredità pesante e difficile da eguagliare, figuriamoci superare. Le probabilità che il suo nome venga eclissato dalla dicitura “allievo di…” sono molto alte. La svolta alla sua carriera avviene quando conduce un esperimento dissolvendo in acido una pietra nera piuttosto pesante proveniente dalla miniera di Ytterby: questa semplice procedura è il prologo di una lunga e certosina attività di ricerca che avrebbe smentito una comunità scientifica convinta di aver completato la tavola periodica. Per fortuna sua e di Ytterby, che oggi è luogo quasi mitologico, esistevano ancora nuovi elementi da scoprire. Così tanti che quel piccolo borgo a nord-est di Stoccolma sarebbe diventato il luogo con la più alta densità di elementi naturali scoperti e che Mosander sarebbe passato alla storia per aver avvicinato la tavola periodica alla sua forma attuale.

Allievo taciturno e meticoloso, per il suo maestro è “lento” e ha la propensione a “sbadigliare tutto il giorno”; commenti dovuti a quella insofferenza che forse Berzelius prova trovandosi a lavorare con una persona brillante non in grado di sfruttare appieno il suo potenziale. Eppure questa lentezza, miscelata con l’ostinazione e la dedizione al dettaglio, gli consentirà di affermarsi come erede scientifico di Berzelius, una prospettiva che forse nemmeno lui riteneva possibile. 

Il lavoro giusto per la persona giusta

Nel 1838, quando è già professore e ha 41 anni, Mosander entra in possesso di un campione contenente cerio, l’elemento isolato trentasei anni prima dal suo mentore. Da tempo sospettava che quel campione potesse celare altri metalli non ancora identificati; tuttavia, le indagini condotte anni prima erano state inconcludenti e si erano arenate perché aveva esaurito le scorte di ossido di cerio appartenute a Berzelius. Mosander, costretto a sospendere la ricerca, aveva lasciato i suoi dubbi in un cassetto per oltre 12 anni e il nuovo campione gli aveva permesso di riprendere da dove aveva lasciato. Grazie anche all’aiuto di uno studente incaricato di produrre diversi chilogrammi di solfato doppio di potassio e cerio – KCe(SO₄)2 – a partire da quei frammenti di cerite, e alla riorganizzazione dei materiali del Museo svedese di storia naturale, Mosander riesce a riprendere le sue analisi. In questo nuovo contesto e forte di tutto questo nuovo materiale, si arma di tutta la pazienza di cui dispone e riesce a separare un ossido sconosciuto: ipotizzando di avere a che fare con una specie più basica rispetto al cerio, usa acido cloridrico e acido nitrico isolando quindi il nuovo elemento sotto forma di cloruro e nitrato.

Così spiegato può sembrare semplice, ma la chimica di quel periodo non disponeva di molte tecnologie che oggi diamo per scontate: la cromatografia a scambio ionico, oggi utile anche negli addolcitori dell’acqua, arriverà solo nel XX secolo, quindi Mosander si può affidare a tecniche inefficienti come la precipitazione frazionata e la cristallizzazione. Un processo di separazione così impostato richiede di sciogliere i campioni in acido e portare la soluzione alla esatta temperatura che avrebbe fatto cristallizzare un solido contenente alte concentrazioni di un solo elemento, lasciando il resto in soluzione. Più gli elementi da separare sono simili, più il processo sarà inefficiente e più volte deve essere ripetuto: le terre rare si somigliano così tanto che solo la perseveranza di Mosander può dare risultati. 

Contate fino a 15.000: al ritmo di un numero al secondo, avete impiegato circa 4 ore del vostro tempo. Ecco, questo è il numero di esperimenti che Mosander conduce, ottenendo una quantità di campione misera, ma sufficiente ad annunciare la sua scoperta al mondo. Con il nuovo elemento tra le mani, però, decide di rimanere in silenzio per non svergognare il suo mentore, che si era fatto sfuggire la scoperta di un nuovo elemento che aveva sempre avuto sotto il naso. Il rapporto tra Mosander e Berzelius infatti andava oltre la semplice relazione accademica. Per Berzelius, Mosander era diventato l’allievo prediletto, uno stretto collaboratore, il successore come segretario permanente dell’Accademia delle Scienze di Stoccolma e, per molti anni, persino coinquilino in una casa condivisa con il professore e sua moglie. Una fonte riporta anche che nel 1832 Berzelius aveva lasciato la cattedra di chimica e farmacologia al Karolinska Institute per donarla a Mosander in occasione del suo matrimonio. Un gesto che vale più di mille complimenti.

Il meritato posto nella storia (e nella tavola periodica)

Il silenzio sulla nuova scoperta dura circa un anno: durante le festività natalizie del 1839, Axel Erdmann, uno degli studenti di Mosander, annuncia di aver identificato una “nuova terra”, a cui propone di dare il nome di Mosandrite, in onore del suo professore e ne invia anche un campione a Berzelius. Ormai il dado è tratto e Mosander non può più tacere: ammette di aver isolato lo stesso elemento a inizio anno e ne discute con il suo mentore. Inizialmente scettico, Berzelius deve riconoscere l’evidenza e la solidità di quel lavoro certosino e, seppur con qualche esitazione, si congratula con il suo allievo, ma trova comunque il modo di mettere la sua firma anche su questa scoperta: è lui infatti a proporre un nome che racchiuda l’essenza del nuovo elemento. Lantanio, dal greco lanthànein, “nascondersi”, in omaggio alla sua lunga permanenza celata, invisibile ma presente, sotto gli occhi della chimica. Forte di questo supporto, Mosander decide di aspettare ancora per dare l’annuncio ufficiale, nonostante le voci circolino fin da subito, e continua il suo lavoro dimostrando che il lantanio non era l’unico elemento nascosto: nel cerio di Berzelius c’è almeno un altro elemento, che Mosander chiama didimio.

Tra il 1842 e il 1843 arrivano quindi gli annunci ufficiali, prima in svedese poi in inglese: forse l’allievo non aveva superato il maestro, ma si era assicurato il suo posto nella storia come colui che ha esteso la tavola periodica e avviato una nuova stagione di scoperte. Sempre con lo stesso metodo di indagine, infatti, Mosander troverà anche erbio, ittrio e itterbio, ma la comunità scientifica impiegherà vent’anni per confermare l’esistenza di questi elementi. Nessuno sapeva quante fossero in totale le terre rare: bisognerà attendere il tardo Ottocento per trovarle e anche per dimostrare che il didimio non è un elemento, ma una miscela di neodimio e praseodimio. Senza la “lentezza” e la “tendenza a sbadigliare” del chimico più perseverante di sempre tutto questo non sarebbe stato possibile.

Un modo diverso di fare scienza

Chissà a cosa stava pensando Mosander mentre compiva il suo lavoro di isolamento alienante, ripetitivo e quasi ascetico. In un’epoca in cui mancavano strumenti sofisticati, il lavoro di Mosander somigliava più a un’arte rituale che a un procedimento scientifico nel senso moderno del termine. Era necessario conoscere la materia, osservarne i comportamenti, intuire le lievi differenze nei colori, nelle densità. E così, nell’arco di pochi anni, Mosander dischiuse un angolo remoto della tavola periodica che fino ad allora era rimasto indistinto, opaco, addirittura inimmaginato. Nonostante la scarsità di mezzi, rivelò la complessità del mondo dei lantanidi, anticipando una delle sfide più tecniche e cruciali della chimica del Novecento. Quegli elementi sono finiti nei satelliti e negli smartphone, su di essi si regge buona parte dell’industria moderna, stiamo affidando a loro la transizione energetica e per questo stanno diventando l’ago della bilancia geopolitica mondiale.

In un’epoca che esalta la velocità, la vicenda di Mosander ci porta ad apprezzare anche il valore della lentezza: quella che non è sinonimo di debolezza, ma di profondità. Quella che scava, osserva, decanta. Il contributo di Mosander è la prova che la scienza non è fatta solo di slanci geniali e intuizioni lampanti. È anche – e forse soprattutto – un esercizio di costanza, di rigore, di sopportazione dell’attesa. Dove altri avrebbero visto una serie interminabile di esperimenti monotoni, lui ha visto una comfort zone e ha deciso di continuare. E dove qualcuno aveva visto un allievo “lento”, la storia ha riconosciuto un pioniere ostinato, capace di distinguere dal caos il disegno nascosto della tavola periodica. Considerando, poi, che abbiamo dedicato a Ytterby quattro elementi e che il suo nome, tradotto, significa semplicemente “villaggio esterno”, così come le terre rare sono posizionate fuori dal corpo principale della tavola periodica, il cerchio di questa storia si chiude alla perfezione. 

P.S.: Vi lasciamo con una pillola di storia, che a volte fa giri strani e crea collegamenti inaspettati. Nell’analizzare la complessa biografia di Mosander, abbiamo scoperto che era il bisnonno di Carin Axelina Hulda Fock, prima moglie del gerarca Hermann Göring.