Pubblicato il 25/11/2025Tempo di lettura: 5 mins

È successo anche a David Cameron, di cui ci si ricorda più che altro per avere autorizzato il referendum sulla Brexit: dopo il test del PSA e ulteriori accertamenti, il politico britannico ha ricevuto diagnosi di tumore maligno ed è stato quindi sottoposto a una terapia focale che l’ha eliminato pare senza spiacevoli conseguenze. Cameron ha quindi deciso di sensibilizzare i coetanei, poco inclini a preoccuparsi della loro salute, a farsi controllare di più e a tenere d’occhio possibili sintomi. Si è anche speso per l’introduzione di uno screening nazionale mirato alla popolazione a rischio, subito rilanciato dalla direttrice dell’associazione Prostate Cancer UK Chiara De Biase che ha ricordato i circa 12.000 morti all’anno in Gran Bretagna, che come l’Italia al momento non raccomanda lo screening. Fa eccezione la Lombardia, che l’anno scorso ha lanciato lo screening della prostata dagli 50 anni fino ai 69, promosso con un gioioso augurio di  “Happy screening to you”.

Un tema così attuale e controverso non poteva mancare nel libro Cattiva prevenzione. I pericoli del consumismo sanitario della giornalista scientifica (e laureata in medicina) Roberta Villa (Chiarelettere, 2025). Fra le varie storie raccontate nel libro, c’è infatti quella del cinquantunenne John, che a seguito di un dosaggio del PSA un po’ sopra la norma prosegue nella spirale degli accertamenti fino a individuare con una biopsia un tumore maligno ancorché piccolo e indolente. Dopo mesi di penosi tentennamenti, John e la moglie scelgono di procedere con l’operazione («”Vogliamo stare tranquilli. Lo tagli via!”, esclama la moglie al medico»). Tranquilli sì, ma anche un po’ scontenti, visto che l’operazione ha reso il marito incontinente e impotente. Molto probabilmente il tumore non sarebbe stata la causa della sua morte, chiosa l’autrice, che ricorda il rischio di sovradiagnosi del test, aggiungendo che anche persone che hanno valori superiori a 10 nanogrammi/ml, quindi davvero alti, «Nella metà dei casi non hanno un tumore, mentre in circa il 15% dei casi di quelli con un PSA sotto i 4 ng/ml la biopsia può comunque svelare la malattia». Che non necessariamente è da curare se si tratta di tumori considerati a progressione lenta e gestibile. Si può capire l’ansia di dover scegliere fra un improbabile male maggiore e un più probabile male minore conseguente alle cure. Il libro, con una serie di esempi e digressioni, serve anche a decidere in modo più consapevole.

Breve inciso personale sulla prostata. Anche a me è successo di avere un PSA fuori soglia, ma per fortuna il tutto si è risolto con una visita dall’urologo che non ha trovato nulla di preoccupante. Quando gli ho chiesto cosa potevo fare per prevenire sorprese future, mi ha risposto con un secco «Niente!». D’accordo, la domanda era un po’ stupida, anche perché mi trovavo davanti a un chirurgo, per giunta fatalista e incattivito col mondo, che certo non aveva tempo nella vorticosa giostra di visite (private) che doveva smaltire nel grande centro oncologico pubblico, di darmi corda e condurmi – come invece fa il libro – a riordinare le idee su cosa si può considerare buona e cosa cattiva prevenzione. 

La buona prevenzione reclama scelte non facili ma immensamente importanti come smettere di fumare e possibilmente anche di bere alcolici, moderarsi con carne e insaccati privilegiando frutta e verdure; fare attività fisica e dormire un congruo numero di ore.  I vaccini, altro presidio essenziale di salute, vengono menzionati nel libro, che però approfondisce soprattutto il lato oscuro della prevenzione. Un esempio è il business dei check-up, che molti contratti nazionali del lavoro riconoscono come bonus ai dipendenti, e che offrono spesso pacchetti di esami che inevitabilmente possono portare ad approfondimenti e talvolta operazioni inutili e pericolose, e a un aumento altrettanto improprio della spesa farmaceutica, e dell’ansia, secondo la bussola della evidence based medicine che guida le riflessioni di Villa. L’industria dei test viene sostenuta da messaggi che spingono verso la medicalizzazione di condizioni non necessariamente patologiche, come il sovrappeso e l’obesità, e per l’abuso di esami, farmaci e gli onnipresenti integratori. Anche i medici hanno una parte, come noto, nell’eccesso di prescrizione, non fosse che per mettersi al riparo da future cause di pazienti scontenti.  Per ovviare a questo forse servirebbe, secondo l’autrice, depenalizzare la colpa in medicina, che nella grande maggioranza dei casi si risolve in assoluzioni. Interessante anche la parte in cui l’autrice affronta le “trappole della medicina predittiva”, in particolare la versione moderna della “medicina delle 4 P”: predittiva, preventiva, personalizzata, partecipativa, di cui vi lascio il piacere di scoprire tutte le promesse (prima di tutto longevità) dalla lettura del libro.

In questo variopinto mercato la sanità pubblica gioca in difesa, a registrare mestamente gli esami inutili (che vengono stimati intorno al 20-30% delle prestazioni) che contribuiscono alle liste d’attesa, generano nuovi interventi potenzialmente dannosi, e premiano il privato ai danni del pubblico. Sì perché la cattiva prevenzione contribuisce a scacciare quella buona. I pochi screening attualmente raccomandati non sono eseguiti in modo uniforme nel paese. Per esempio, mentre al Nord e al Centro l’83% delle donne si sottopone a controlli regolari alla cervice uterina, al Sud si scende al 69%. Anche la mammografia si presta a considerazioni interessanti, per esempio riguardo al rischio di sovradiagnosi, o alla abitudine di molti medici di associarle l’ecografia, per nulla raccomandata nelle donne più mature. 

Aprire a nuovi screening significa passare il vaglio di linee guida e criteri aurei come i dieci punti di Wilson e Jungner (quanto è rilevante  la malattia in termini di salute pubblica? Esiste una cura? e via elencando). Alcuni potrebbero, con il maturare delle ricerche, entrare nella lista dei nuovi test da raccomandare ad alcune sotto-popolazioni. Come la TAC spirale (o la più semplice biopsia liquida) per i forti fumatori. Altri – promossi per legge nel 2023 in Italia come lo screening del diabete di tipo 1 e per la celiachia – rivelano secondo la Villa vantaggi più sfumati, come peraltro l’offerta dell’elettrocardiogramma agli sportivi e altri casi in cui la valutazione dei costi e benefici di popolazione diventa piuttosto complessa.

Alla fine, tutto questo setacciare i sani a caccia di malattie non deve far perdere di vista i più impellenti bisogni dei malati e di chi, per le circostanze o la cattiva sorte, è destinato ad ammalarsi davvero. Forse aveva ragione la dottoressa britannica Iona Heath a sostenere – come ricorda l’autrice nella parte finale del libro – che il National Health Service dovrebbe chiamarsi più correttamente National Sickness Service, il Servizio nazionale per la malattia. 

Regime shift: quando i sistemi naturali perdono equilibrio

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