Pubblicato il 21/11/2025Tempo di lettura: 3 mins
La ministra dell’Università e della Ricerca, On. Anna Maria Bernini, è di recente intervenuta in merito ai fondi annui stanziati per la ricerca italiana, sollecitata anche da un nostro articolo su Tuttoscienze nel quale avvertivamo l’esiguità del finanziamento (150 milioni di euro per anno) riservato ai Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN). Nel suo intervento, la ministra ha dissentito da questa visione, affermando che si tratta di “un risultato straordinario per la ricerca italiana” e allargando il dibattito a un ambito molto più ampio.
Poiché il nostro breve intervento – definito “una lettura di parte” – non voleva affrontare un tema ampio (che meriterebbe spazi molto diversi), ci preme ritornare sul punto che avevamo sollevato, e che è comunque paradigmatico: la dotazione del PRIN. Su questo punto, sulle pagine di Scienza in Rete, si era anche espresso il Patto Trasversale per la Scienza che sollecitava il governo a garantire risorse adeguate ai PRIN.
In questi interventi, è stata enfatizzata in modo esplicito l’importanza della programmazione dei bandi e di un finanziamento continuativo, riconoscendo al governo e al ministro il mantenimento dell’impegno assunto nella primavera scorsa davanti al Parlamento. Su questo punto l’apprezzamento è stato chiaro, sottolineando che “la programmazione rappresenta un eccezionale elemento di novità”.
L’aspetto su cui il ministro può legittimamente fare leva riguarda il presunto confronto tra risorse straordinarie (quelle allocate all’ultimo PRIN, bandito nel 2022) e finanziamenti strutturali (i 150 milioni di euro annui previsti nella Legge di Bilancio). Tuttavia, l’obiettivo era sì segnalare la necessità di risorse più cospicue, ma soprattutto evidenziare il tempo trascorso: nessuno stanziamento per 3 anni.
È vero, facendo la media matematica di tutti gli stanziamenti PRIN degli ultimi 10 anni (attenzione: includendo gli zeri nei numerosi anni “buchi”) si ha un valore leggermente inferiore a 150 milioni annui. È questo aumento “un risultato straordinario”? Noi pensiamo di no.
In primo luogo, crediamo che quanto fosse legittimamente atteso dalla comunità della ricerca, a valle della citata discussione in Parlamento della primavera scorsa, fosse non solo una dotazione continuativa, ma anche una dotazione congrua. La senatrice a vita Elena Cattaneo l’aveva inizialmente quantificata in 350 milioni all’anno, e aveva successivamente stimato un “minimo di sopravvivenza” in 216 milioni all’anno.
In secondo luogo, il modesto incremento rispetto alla media “storica” non è sufficiente ad assorbire i grossi aumenti dei costi per reagenti e strumentazioni che si sono verificati negli ultimi anni. Soprattutto, non basta a compensare l’aumento dei costi per il personale della ricerca, i giovani neo-dottorati e neo-specializzati che in passato venivano pagati con assegni di ricerca e ora con incarichi e contratti che (giustamente!) includono maggiori tutele rispetto agli assegni. Se anche i fondi erogati a favore di progetti valutati meritevoli fossero sufficienti a pagare un incarico o un contratto di ricerca, risulterebbero poi insufficienti per dotare il gruppo di ricerca dei mezzi per condurre lo studio.
Come tutti gli indicatori continuano a dimostrare, e come soprattutto sanno bene i ricercatori, il risultato è che i nostri giovani più promettenti continuano ad abbandonare il Paese. La nostra “lettura di parte” racconta l’aspettativa e la disillusione che leggiamo sui volti dei nostri giovani.
Appello per l’autonomia, il finanziamento e la dignità dell’università e della ricerca
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