Pubblicato il 31/05/2025Tempo di lettura: 7 mins
Il nuovo libro di Mauro Gallegati (economista) e Roberto Danovaro (ecologo) torna a ricordarci come scienza ed economia non possano che allearsi per affrontare la crisi climatica. Titolo e sottotitolo sono chiari: Rigenerare il pianeta. L’alleanza necessaria tra scienza ed economia (ed. Laterza). Entrambi docenti all’Università Politecnica delle Marche, vantano una solida collaborazione che dovremmo considerare preziosa, perché non è scontato che l’economia dialoghi con la scienza, a maggior ragione con la scienza ambientale. E quest’approccio è quello che tiene uniti i capitoli del libro, breve, scorrevole e scritto con parole semplici. Adatto a chi ancora non ha (quasi) mai sentito parlare di crisi climatica e quello che si deve fare per risolverla tenendo conto dei temibili lati economici.
Si ricordano tutti i vari aspetti legati all’emissione dei gas serra, del fatto centrale che vadano ridotti fino allo zero netto entro il 2050 per evitare le conseguenze peggiori che avrebbero impatti ovunque sul pianeta e quindi sul nostro benessere. I dati, molti ma non troppi, intrecciano quelli ecologici e climatici con quelli economici e finanziari. Tra le varie riflessioni non poteva mancare l’eterno discorso sul PIL che non misura davvero il benessere, o comunque lo fa in modo parziale (ne abbiamo parlato in questo podcast con Enrico Giovannini); per altro Gallegati fa parte del comitato scientifico che ha definito gli indicatori del BES (il Benessere Equo e Sostenibile, che integra il PIL nelle leggi di bilancio, o almeno dovrebbe farlo). In più, si ricorda come la ricchezza prodotta dal capitalismo abbia avuto come enormi effetti collaterali la diffusa distruzione di ecosistemi, l’erosione di risorse naturali quasi oltre la loro capacità di rigenerarsi e, per l’appunto, gli squilibri climatici. Oltretutto, sottolineano gli autori, queste immense ricchezze sono distribuite in modo assolutamente iniquo, e questo non può che produrre ulteriori impatti sociali negativi; tra tutti, le ingiuste disuguaglianze nella capacità di adattamento ai cambiamenti climatici.
La sensibilità ecologica di Danovaro si avverte nelle pagine che rammentano che la transizione energetica non può prescindere da una visione ambientale a tutto tondo. E quindi, accanto alle energie rinnovabili e alle varie soluzioni tecnologiche, bisogna avere cura della natura. Non semplicemente per principio, ma perché le evidenze scientifiche sono chiare e numerose: serve tutelare un numero crescente di aree naturali e allo stesso tempo ripristinarne altre, tra le altre cose per assorbire meglio gli impatti climatici crescenti. Già qualcuno ha sollevato qualche perplessità – anche comunicativa – sul fatto che esistano due COP diverse alle Nazioni Unite, una per il clima e una per la biodiversità. Come se questi due negoziati potessero procedere su binari paralleli. È sbagliato. E gli autori lo spiegano bene, anche se riconoscono le oggettive difficoltà nel quantificare il valore dei cosiddetti “servizi ecosistemici” garantiti da abbondanza di biodiversità.
Negli ultimi decenni, il dibattito scientifico sulle metodologie di valutazione economica dei servizi ecosistemici è stato al centro di una discussione aperta e dinamica. Si tratta, come abbiamo visto, di benefici che gli ecosistemi forniscono all’umanità, tra i quali la fornitura di cibo, la regolazione del clima, la purificazione dell’acqua e molti altri. Sostanzialmente, i servizi ecosistemici trasformano risorse naturali in elementi che hanno un valore per l’essere umano. Come calcolare questo valore? […] la difficoltà sta proprio nel tradurre questa complessità in valori economici tangibili, anche quando il servizio ecosistemico è “intangibile”.
Tra i temi affrontati c’è anche un’analisi poco scontata sulla stessa parola “sostenibilità” – al netto del significato che gli si attribuisce nei vari consessi. Per gli autori infatti ha più senso parlare di meta-sostenibilità, viste le limitazioni intrinseche del concetto stesso di sostenibilità.
Perché non diventi un ossimoro, lo sviluppo sostenibile deve rispettare quattro condizioni: “(i) l’utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere inferiore al loro rinnovo; (ii) lo stock di risorse non rinnovabili non deve esaurirsi nel tempo; (iii) il processo di produzione deve ridurre ogni “perdita” da ogni fase; e (iv) l’inquinamento dell’ambiente non deve superare la capacità di tolleranza dell’ambiente stesso”. Vista l’impossibilità di rispettare le condizioni ii) e iii), quello a cui possiamo ambire è uno sviluppo meta-sostenibile, ovvero un’economia non erosiva ma rigenerativa in cui siano rispettate le condizioni i) e iv). È come la macchina del moto perpetuo: non può esistere, ma possiamo avvicinarci il più possibile riducendo gli sprechi e restaurando il capitale naturale che consumiamo attraverso il passaggio a un’economia rigenerativa, o meta-sostenibile, cioè che oltre a diminuire gli impatti ambientali provveda anche alle opere di restauro ecologico.
I due autori illustrano un interessante confronto dei concetti di crisi e di debito, sia sul piano economico che su quello ambientale. La crisi economica, per quanto grave possa essere, quando è prodotta dall’interno del sistema economico, ha tempi di recupero molto più brevi di crisi ecologiche e ambientali. Queste ultime, visto che fanno i conti con entità fisiche materiali, se abbastanza gravi, potrebbero richiedere decine di anni se non secoli a far tornare l’ambiente naturale come era in origine. È lo stesso discorso per il debito. Prendere in prestito denaro e, per di più, per fare debito pubblico è possibile perché in ultima istanza il denaro non è che una convenzione sociale – oggi completamente dematerializzata per altro – e non certo una quantità fisica che si tocca con le mani.
Il debito finanziario non è altro che un accordo contrattuale tra individui che sancisce un obbligo, per una delle due parti in causa, di restituire all’altra una data somma di denaro allo scadere di un certo periodo. Se questa somma non viene restituita, la parte lesa subisce una perdita e la parte insolvente andrà incontro a qualche tipo di sanzione. Tuttavia, il tessuto che tiene insieme l’economia e il mondo stesso rimane invariato; e così pure il capitale umano, fisico e naturale. D’altronde, la finanza non è altro che una convenzione creata dall’uomo per regolare i propri scambi. Si occupa solo di pezzi di carta ai quali attribuiamo un valore fittizio – anche se, ormai, più che di pezzi di carta bisognerebbe parlare di cifre su di un terminale. Per quanto possa essere utile, questo artifizio è intrinsecamente distante dalla realtà che ci circonda. Il debito ambientale, al contrario, è un impegno che assumiamo verso l’ambiente e la Terra stessa. […] A differenza del debito finanziario, che può essere usato per far crescere le attività e il livello di benessere di un sistema, prendere a prestito in termini ambientali significa sottrarre capitale naturale dal sistema a danno delle generazioni presenti e future, poiché i danni all’ambiente riducono la sua capacità di produrre quei servizi essenziali alla nostra vita e al nostro benessere. Questi danni impiegheranno decenni, nel migliore dei casi, per ripararsi – se e quando agli ambienti sarà consentito di rigenerarsi – o si trascineranno dietro un lungo elenco di costi di ripristino, come quelli destinati alle bonifiche, alla distruzione causata da alluvioni o incendi, maggiori spese sanitarie per patologie legate all’inquinamento, eccetera.
Anzi, gli autori sostengono provocatoriamente che gli umani dovrebbero «accendere un mutuo finanziario per saldare il debito ambientale che abbiamo contratto».
I parallelismi e i confronti tra scienza ed economia continuano per molte pagine e con altri dati ancora, come quelli sui preoccupanti tassi di estinzione o quelli sui casi già avuti di indebitamento che hanno invero salvato dal collasso intere economie. O quelli sulla dieta e sulla demografia, e via dicendo.
Il capitolo finale è dedicato per intero all’elenco di soluzioni, buone pratiche ed esempi, che davvero non mancano di creare speranza, raccolti per sottoinsiemi operativi. Sono:
- Energia da fonti rinnovabili
- Riduzione dei consumi energetici e gestione dell’energia
- Mobilità sostenibile
- Agricoltura e zootecnia sostenibili
- Investire in capitale naturale
- Combattere i cambiamenti climatici con la natura
- Gestione delle risorse idriche
- Tutela della biodiversità
- Restauro degli habitat
- Economia circolare
- Tecnologie green & blue
- Dalla terra al mare (cioè verso dove dovrebbe dirigersi la pressione antropica)
- Le nature-based solutions.
Insomma, in poco più di un centinaio di pagine, Roberto Danovaro e Mauro Gallegati riassumono lo stato dell’arte ambientale e climatico, con la lente innovativa dell’economia che ha capito la scienza ecologica. Se non avete ancora deciso cosa leggere sotto l’ombrellone (visto che l’estate ormai è alle porte), sapete cosa comprare.
Risorse e diritti per il rilancio di università e ricerca
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Interveniamo nel dibattito sul pre-ruolo universitario con un contributo che vuole cercare di riportare su binari di maggiore correttezza l’informazione sull’impatto che la legge 79/2022 ha avuto sul sistema nazionale dell’università e della ricerca pubblica, contrastando la proliferazione di informazioni false o ambigue, e sui correttivi che sarebbe realmente necessario introdurre per migliorarne l’applicabilità.