I gatti, quegli eleganti e soffici animali domestici che tante persone hanno come compagni di vita, hanno una storia evolutiva per alcuni aspetti ancora poco chiara. In effetti, per oltre un secolo gli archeologi hanno provato a ricostruire la storia del gatto domestico partendo da pochi resti e molte ipotesi. Quando, come e dove questo felino abbia smesso di essere un cacciatore solitario per accompagnare la nostra specie è rimasto a lungo un puzzle irrisolto, complicato dal fatto che un gatto selvatico e uno domestico sono quasi indistinguibili nello scheletro e che le testimonianze genetiche sono scarse. Negli ultimi anni il quadro sembrava essersi stabilizzato: il gatto sarebbe nato nel Vicino Oriente insieme all’agricoltura e si sarebbe diffuso lentamente verso l’Europa lungo le rotte commerciali antiche. Sembrava, appunto.
Un nuovo studio internazionale guidato da ricercatori italiani, pubblicato su Science, rimette la questione in discussione. Analizzando il genoma di 87 gatti antichi e moderni in un arco di 11.000 anni, il gruppo di ricerca ha mostrato che la storia del gatto in Europa è molto più recente, complessa e frammentata di quanto si pensasse. Non un’unica origine vicino-orientale, ma più ondate migratorie di popolazioni diverse; non un arrivo neolitico, ma una diffusione stabile solo in età romana; e perfino una sorpresa sarda che riscrive la genealogia dei felini del Mediterraneo. È da qui che la storia ricomincia, rivelando una domesticazione diversa da tutte le altre.
Di cosa parliamo quando parliamo di domesticazione
Come abbiamo raccontato qui, per domesticazione si intende un processo artificiale attraverso il quale l’essere umano ha modificato e, nel tempo, creato nuove specie animali e vegetali a partire da forme selvatiche, selezionando caratteristiche morfologiche, comportamentali e produttive di interesse. Questi processi, iniziati tra 15.000 e 10.000 anni fa con la domesticazione del cane e poi estesi ad altre piante e animali, hanno determinato una trasformazione profonda delle strategie di sussistenza umane, dando origine a nuove nicchie ecologiche e modificando in modo irreversibile quelle preesistenti.
Dal punto di vista della paleoantropologia, studiare la domesticazione significa quindi comprendere il passaggio da economie paleolitiche basate su caccia e raccolta a economie neolitiche fondate su agricoltura e allevamento. Si tratta di un cambiamento epocale dal punto di vista sia culturale sia genetico, che ha influenzato la storia evolutiva di Homo sapiens in un continuo processo di coevoluzione tra geni, cultura ed ecologia.
Sebbene la letteratura sulla domesticazione si sia tradizionalmente basata su dati storici e archeozoologici, la natura discontinua e geograficamente frammentata degli interventi umani rende spesso complessa la ricostruzione dei processi selettivi. Per questo, negli ultimi anni, grazie al progresso delle tecnologie di sequenziamento del DNA, l’approccio paleogenetico e molecolare è diventato centrale, permettendo una ricostruzione sempre più precisa dell’origine e della diffusione delle specie domestiche.
La domesticazione del gatto
All’interno della famiglia Felidae, che comprende sia i grandi che i piccoli felini (Felinae), il gatto domestico (Felis catus) appartiene al gruppo delle specie di piccole dimensioni, diffuse in Africa, Asia, Europa e Americhe. Diversi piccoli felidi, come il gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris), presentano notevoli somiglianze con i gatti domestici; tuttavia, uno studio del 2007, che ha analizzato oltre 1.000 genomi felini selvatici e domestici, mostra come il più probabile antenato diretto delle popolazioni domestiche moderne sia il gatto selvatico africano, Felis silvestris lybica, domesticato nel Vicino Oriente intorno a 12.000 anni fa.
F. s. lybica è leggermente più grande e robusto di un gatto domestico, con un manto che varia dal marrone al grigio e strisce soprattutto sulla coda, che lo rendono ben mimetizzabile negli ambienti dove vive. Al contrario del cugino europeo, è abbastanza docile, il che lo ha reso un candidato ideale per essere domesticato. Il gatto selvatico europeo è invece un animale molto schivo, sfuggente e di abitudini essenzialmente notturne. Di maggiori dimensioni rispetto al gatto domestico, esteticamente somiglia molto a un soriano.
Un puzzle difficile: perché è complesso capire quando e come è nato il gatto domestico
Nonostante le nuove tecnologie, ricostruire la storia dei gatti domestici è meno facile di ciò che sembra. Se da un lato i resti di felini negli scavi sono pochi e frammentari, dall’altro c’è il problema della morfologia: un gatto selvatico e uno domestico sono quasi indistinguibili a livello dello scheletro. Inoltre la documentazione genomica fino a poco tempo fa era limitata.
Le evidenze disponibili fino a oggi indicavano che la domesticazione del gatto non è stato un processo attivo e centralizzato, ma un esempio di domesticazione commensale o self-domestication.
L’ipotesi principale era quella secondo cui, circa 10.000–12.000 anni fa, con l’inizio dell’agricoltura nel Vicino Oriente, gli insediamenti umani iniziarono a immagazzinare cereali, attirando grandi quantità di roditori. I gatti selvatici africani si avvicinarono spontaneamente agli insediamenti, trovando abbondanza di prede. Gli umani tolleravano e, anzi, incoraggiavano la loro presenza, poiché contribuivano al controllo dei topi. In questo contesto, i felini meno timorosi e più tolleranti verso gli esseri umani erano avvantaggiati, favorendo la diffusione di tratti comportamentali “domestici”.
Le prime rappresentazioni culturali di gatti domestici provengono dall’Egitto (II–I millennio a.C.), ma prove archeologiche indicano convivenze umano-gatto già circa 9.500 anni fa, come dimostra la famosa sepoltura congiunta di Cipro.
Il pezzo mancante del puzzle
Se in qualche modo appariva abbastanza chiaro dove e come il gatto domestico fosse nato, la sua diffusione fuori dal Vicino Oriente non lo era per niente. Una ricerca polacca del 2018 suggerisce che i gatti viaggiassero con gli umani attraverso le rotte commerciali e che Greci, Fenici e successivamente i Romani ebbero un ruolo centrale nella sua espansione nel Mediterraneo e in Europa occidentale.
Le analisi del DNA antico rivelano la presenza di gatti con caratteristiche del DNA mitocontriale (mtDNA) di F. lybica in Europa centrale già in pieno Neolitico, mentre i gatti introdotti in epoca romana appartenevano a linee materne differenti, suggerendo due ondate di dispersione distinte che contribuirono alla formazione del pool genetico dei gatti domestici europei attuali.
In questo quadro così complesso si inserisce lo studio a guida italiana appena pubblicato su Science, che ha analizzato il genoma di 87 gatti antichi e moderni (70 antichi da Europa e Anatolia e 17 selvatici moderni provenienti da Italia, Sardegna, Bulgaria, Marocco e Tunisia), ricostruendo un arco temporale di circa 11.000 anni. I risultati dimostrano che molti gatti antichi europei e anatolici del Neolitico e Calcolitico (9500–6300 anni fa), precedentemente attribuiti alla linea africana sulla base del mtDNA, erano in realtà gatti selvatici europei (Felis silvestris) che avevano ricevuto un’introgressione (cioè l’incorporazione di geni) da F. lybica.
Un risultato particolarmente rilevante è stata l’identificazione, in Sardegna, del più antico gatto europeo geneticamente riconducibile al cluster F. lybica/F. catus: proviene dal sito di Genoni ed è datato a circa 2.200 anni fa. Questo individuo è strettamente imparentato con gli attuali gatti selvatici sardi, i quali a loro volta mostrano affinità con F. lybica del Marocco. Lo studio conferma così che nel I millennio a.C. gli esseri umani introdussero in Sardegna una popolazione di gatti selvatici nordafricani, fondando l’attuale popolazione selvatica dell’isola — spesso considerata una sottospecie distinta, Felis lybica sarda.
Tutti gli altri gatti archeologici europei attribuibili al gruppo F. lybica/F. catus sono datati a circa 2.000 anni fa o dopo, cioè in epoca romana: possiedono il tipico profilo genetico dei gatti domestici moderni e mostrano una chiara affinità con le popolazioni nordafricane, ma non con quelle levantine. Lo studio conclude quindi che il gatto domestico arrivò stabilmente in Europa solo in età romana, grazie alle reti commerciali e all’espansione dell’Impero, e non nel Neolitico come precedentemente ipotizzato.
Di conseguenza, come si iniziava già a pensare nel 2018, la diffusione del gatto in Europa non deriva da un’unica domesticazione nel Vicino Oriente né da un singolo centro egiziano, ma è il risultato di più ondate migratorie di differenti popolazioni di Felis lybica, una più antica dall’Anatolia circa 6.400 anni fa, e una più recente, dall’Egitto circa 2.000 anni fa.
Nel frattempo uno studio cinese, pubblicato su Cell Genomics, quasi in contemporanea a quello italiano, espande il quadro a Oriente, mostrando come i felini domestici arrivarono in Cina relativamente tardi, solo circa 1.400 anni fa, portati lungo la Via della Seta dai mercanti europei. Prima di allora, per oltre tre millenni, gli abitanti della regione avevano convissuto con felini selvatici locali come i gatti leopardo (Prionailurus bengalensis), ma senza mai avviare un vero processo di domesticazione.
In conclusione: una domesticazione diversa da tutte le altre
Il caso del gatto rappresenta un modello atipico di domesticazione animale. A differenza di altre specie, infatti, non è stato selezionato attivamente per svolgere funzioni specifiche, ma è stato esso stesso a inserirsi nelle nuove nicchie ecologiche create dalla rivoluzione neolitica umana, trovandovi un habitat stabile e ricco di opportunità. Da questo incontro tra umani e gatti si è sviluppato un processo di coadattamento e coevoluzione, con vantaggi da entrambi i lati: i gatti ottenendo protezione e risorse, l’essere umano beneficiando di un efficace controllo dei roditori.
Le moderne analisi genetiche mostrano quanto questo fenomeno sia stato lungo e complesso su molti livelli, nonché frutto di diversi eventi separati e indipendenti nel tempo e nello spazio, strettamente legati alla rete di interazioni costruita dagli esseri umani con gli scambi economici e le migrazioni.
Il risultato è una domesticazione, relativamente recente e poco invasiva, che ha lasciato quasi invariata la morfologia dei felini, andando solo a modificare certi tratti etologici (come la docilità) e alterando però il genoma in tracce sottili ma preziose, che riflettono dinamiche storiche, culturali e ambientali dell’umanità stessa.
In questo senso, studiare i fenomeni di domesticazione significa anche esplorare la nostra evoluzione: i movimenti di popolazioni, l’espansione delle pratiche agricole, le rotte commerciali, le trasformazioni degli ecosistemi antropici. Il percorso che ha portato i gatti a diventare tra i nostri compagni di vita più amati è il risultato di una lunga convivenza, in cui l’essere umano non ha semplicemente plasmato un animale, ma ha costruito — spesso inconsapevolmente — un’alleanza ecologica destinata a durare millenni. Una storia che racconta tanto di questo animale quanto delle società umane che lo hanno accompagnato.






