Il giorno dopo il terribile incendio che ha colpito l’Università della Tuscia, le scene sembrano quelle del post-terremoto. Capannelli di ricercatori, docenti, tecnologi nel piazzale antistante l’edificio andato a fuoco: tutti in attesa di essere scortati dai vigili del fuoco tra gli uffici e i laboratori distrutti per estrarre quel poco che si è salvato dal rogo.
Qualcuno torna con semplici effetti personali lasciati sulla scrivania negli attimi precipitosi della fuga: un telefono; una borsetta. Altri con faldoni di documenti. C’è chi è riuscito a recuperare i resti di decenni di ricordi che addobbavano il proprio ufficio: il certificato di laurea, qualche foto di famiglia, un quadretto. Una ricercatrice minuta porta un computer fisso ancora caldo per effetto dell’incendio: “Speriamo che il disco rigido sia salvo”, dice.
È un pellegrinaggio che si protrae per ore. Chi ancora non è entrato nell’edificio chiede informazioni a chi sta uscendo, con la speranza di ricevere un anticipo della consolazione che non tutto è andato perduto. Per molti non è così.
Pacche sulle spalle, timidi abbracci, occhi lucidi.
Anche Eddo Rugini fatica a trattenere le lacrime e per un attimo non trova le parole. Rugini è uno dei decani della ricerca agraria in Italia. Ha diretto la facoltà di Agraria dell’ateneo viterbese dal 1997 al 2018. «Conosco ogni mattone di questo edificio, l’ho visto crescere», racconta. Nel 2012 era finito al centro delle cronache perché una sua coltivazione sperimentale era stata distrutta come conseguenza del divieto alle colture Ogm.
«È una giornata difficile. Ci sono voluti decenni per costruire tutto questo», dice osservando il lavorio di ricercatori e addetti alla sicurezza da dietro le sbarre che separano la facoltà dalla strada. «Il pensiero è per i tanti ricercatori, soprattutto per quelli più giovani».
Qualcuno, intanto, sui social posta le immagini del rogo di ieri, scrivendo: «È la nostra Notre Dame». Non è un paragone eccessivo. La facoltà di Agraria per Viterbo è un pezzo di storia e tra le eccellenze italiane in questo settore.
In realtà la facoltà di Agraria non esiste da tempo. Nella riorganizzazione dell’ateneo, la struttura si è liquefatta in tre dipartimenti: quello di scienze agrarie e forestali, quello per l’innovazione nei sistemi biologici, agroalimentari e forestali e quello di scienze ecologiche e biologiche.
Un giovane docente esce felice: i droni sono salvi. Tra le discipline dell’ateneo c’è infatti l’uso dei dati digitali, della sensoristica, dei droni in agricoltura. Per ogni ricercatore che gioisce, ce ne sono però molti la cui sorte è stata diversa. «Non abbiamo più niente. Assolutamente niente. Nel laboratorio di protezione delle piante abbiamo perso diverse collezioni di funghi collezionati nel tempo». Campioni provenienti da tutte le parti del mondo dai primi anni 2000, dice Chiara, che ha finito il dottorato a novembre e ora continua a fare ricerca con una assegno annuale.
Come lei molti altri ricercatori appesi al filo: non sanno cosa sarà del loro lavoro nei prossimi mesi, fino alla fine del finanziamento. Sopratutto non sanno cosa aspettarsi per il dopo.
Filippo è nella stessa condizione. Studia le api: il modo in cui proteggerle da patogeni e come ottimizzare gli allevamenti. Nello stesso laboratorio, c’è chi lavora su altre specie animali: conigli, bovini, ovini.
Poco più in là Paolo lavora sul luppolo. «Per farci la birra?». «Sì, anche per quello. Abbiamo sviluppato delle varietà particolari; stiamo cercando di capire come si adattano al clima. Il nostro scopo fondamentale è rendere la coltivazione, oltre che produttiva, soprattutto sostenibile», racconta.
La ricerca va anche a scale microscopiche: c’è chi studia le vescicole extracellulari del latte e come possano essere sfruttate per la loro azione antinfiammatoria e immunomodulante. E chi si dedica ai danni al DNA: «Come quello che rischia di causare il fumo che è ancora nell’aria», scherza – ma non troppo – una docente.
A 24 ore dall’incendio, infatti, nei pressi dell’ateneo della Tuscia si respira un’aria satura di fumi e plastiche. I vigili del fuoco continuano incessanti il lavoro per mettere la struttura in sicurezza e salvare il salvabile. «Abbiamo sentito un boato. Poi qualcuno che urlava di uscire dall’edificio», racconta una dottoranda. «Le fiamme non sembravano particolarmente preoccupanti, ma in pochi minuti sono diventate alte tre metri», ricorda.
Il tetto di un’ala della struttura è crollato; il primo piano è inservibile. L’incendio si è propagato, a macchia di leopardo, al piano terra.
Qualcuno vocifera che occorreranno almeno 15 milioni per rimettere a posto tutto. Circa il triplo se ci il fuoco ha causato danni strutturali che costringeranno a demolire e ricostruire il tutto.
Due immagini della facoltà di Agraria dell’Università della Tuscia all’indomani dell’incendio
«Questa mattina avrei dovuto fare un’esame a quattro ragazzi di Progettazione del Paesaggio e del Territorio. Ironia della sorte: avevano elaborato un progetto di riqualificazione di quest’area», racconta Raffaele.
L’attenzione al paesaggio e il suo legame con la scienza è una delle peculiarità dell’ateneo. Elena si occupa di biotecnologie forestali. Tra i suoi interessi, “la conservazione degli esemplari storici dei platani rinascimentali”, quegli esemplari che ancora oggi abbelliscano le molte ville e parchi rinascimentali del Lazio. «Il mio laboratorio non esiste più. C’erano l’attrezzatura, i dati degli studenti, i computer su cui stavano lavorando per la tesi. E poi i campioni, che sono anni che stiamo raccogliendo, collezionando, portando avanti e che non esistono più».
La ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini nel pomeriggio ha visitato la struttura. «Questo non è il giorno dopo un incendio, ma è il primo giorno di una rigenerazione», ha affermato. «Siamo qui per ricostruire e per farlo nel più breve tempo possibile».
Nella comunità della ricerca, però, si fa fatica a pensare al futuro. «A sei anni dalla pensione è un po’ dura pensare di rimettere in piedi un laboratorio», dice Elena. «Almeno oggi mi sento così. Poi, domani, spero tornerà la voglia di costruire».