L’endometriosi potrebbe avere radici ancora più complesse di quanto si pensasse. Questa malattia, caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale al di fuori dell’utero (ectopico), è tanto diffusa quanto ancora poco compresa per molti aspetti – a partire dalle sue cause.

Secondo dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, la patologia colpisce circa il 10% della popolazione mondiale femminile in età fertile. Si tratta di una condizione progressiva, nella quale il tessuto endometriale ectopico può farsi via via più esteso e profondo. Eppure la diagnosi è spesso complessa e tardiva, a causa di diversi fattori: la varietà e variabilità dei sintomi (influenzati anche dalla localizzazione del tessuto ectopico), ma anche, a volte, la tendenza a minimizzare il dolore riportato dalle pazienti e la mancanza di una corretta informazione sulla patologia anche nel mondo ginecologico.

Conoscere le cause dell’endometriosi potrebbe favorire anche la diagnosi precoce, consentendo di identificare in modo tempestivo le persone più a rischio di sviluppare la patologia. Tuttavia, le cause esatte dell’endometriosi non sono ancora note, anche se la ricerca ha iniziato a mettere in luce il ruolo di diversi fattori scatenanti di natura ormonale, genetica e ambientale. E, forse, anche legati al vissuto personale, come evidenzia anche una ricerca pubblicata quest’anno su JAMA Psychiatry.

Traumi infantili ed endometriosi

Una degli aspetti dell’endometriosi che sta emergendo negli ultimi anni è la sua natura sistemica. Gli studi hanno infatti evidenziato come questa condizione comporti un’infiammazione cronica con effetti cardiovascolari, immunologici, metabolici e neurologici. È anche noto che chi ne soffre ha una maggiore probabilità di soffrire di depressione e disturbi d’ansia.

Studi recenti hanno suggerito che alcune delle manifestazioni psicologiche associate all’endometriosi, tra cui appunto la depressione, possano essere non solo dovute al dolore e agli altri disturbi causati dalla patologia, ma anche legate a esperienze traumatiche vissute durante l’infanzia, suggerendo una possibile connessione tra maltrattamenti precoci e sviluppo della malattia. L’ipotesi è che i vissuti infantili traumatici possano portare a un’iperattivazione cronica del sistema immunitario con risposte psicologiche e fisiologiche amplificate allo stress e, di conseguenza, una maggiore probabilità di sviluppare la malattia. I maltrattamenti infantili possono portare anche a uno stato infiammatorio persistente che causa alterazioni del sistema immunitario, direttamente collegato all’insorgenza della patologia.

Il ruolo della genetica

Un contributo importante in quest’ambito di ricerca viene dallo studio pubblicato quest’anno su JAMA Psychiatry, che analizza la connessione tra endometriosi ed esperienze traumatiche da un punto di vista osservazionale e genetico, mostrando che l’insorgenza della patologia è strettamente influenzata dal vissuto della paziente. Lo studio rappresenta un prosieguo di un precedente articolo pubblicato dallo stesso gruppo di ricerca, che indagava l’associazione genetica tra endometriosi e disturbi d’ansia, depressione e disturbi alimentari.

La prima parte dello studio è basata sui dati della UK Biobank, riguardanti circa 8.000 donne con endometriosi e 24.000 donne sane. Si tratta di una banca dati biomedica che raccoglie campioni biologici e dati sanitari anonimizzati di mezzo milione di persone nel Regno Unito. Il gruppo di ricerca ha inizialmente valutato la relazione tra endometriosi ed esperienze traumatiche psicologiche e fisiche, vissute in età infantile e adulta. Una parte del campione è stata sottoposta a un questionario per approfondire lo stato di salute mentale. Dalla prima fase dello studio è emerso che le donne con endometriosi riportano con maggior frequenza rispetto alle donne sane di aver subito alcune esperienze traumatiche, tra cui l’essere testimoni di una morte improvvisa, la comunicazione di una diagnosi di malattia potenzialmente mortale e l’esperienza di abusi sessuali.

La seconda fase dello studio ha poi esplorato la correlazione genetica tra il vissuto traumatico e l’insorgenza dell’endometriosi. I dati provengono da diversi studi di associazione genome-wide, che analizzano il genoma di migliaia di persone per individuare variazioni genetiche associate a specifiche malattie o caratteristiche, e dalla UK Biobank. Da queste analisi è emerso un fenomeno chiamato pleiotropia, cioè la situazione in cui un singolo gene può influenzare più caratteristiche o disturbi, che lega endometriosi, disturbo da stress post-traumatico e maltrattamento infantile (l’associazione è particolarmente significativa per i traumi da contatto).

In questo caso, si ipotizza che gli stessi tratti genetici possano rendere una persona più vulnerabile agli effetti di un trauma e aumentarne la predisposizione a sviluppare l’endometriosi. In effetti, evidenzia il gruppo di ricerca, l’endometriosi è anche caratterizzata da elevati livelli di estrogeni, che sono anche legati a una maggiore reattività allo stress. 

Questi dati supportano l’ipotesi di meccanismi biologici condivisi, in cui fattori ormonali e infiammatori potrebbero contribuire all’insorgenza di disturbi mentali, come quello da stress post-traumatico, e dell’endometriosi. Il gruppo di ricerca ipotizza anche che l’endometriosi e il maltrattamento in età infantile siano legati da una correlazione gene-ambiente: le madri affette potrebbero creare un ambiente familiare stressante, trasmettendo così sia la vulnerabilità genetica sia i fattori di rischio ambientali. È stato, infine, ipotizzato che specifici tratti genetici possano influenzare la risposta parentale all’atteggiamento del figlio: in pratica, certe caratteristiche comportamentali o emotive della bambina potrebbero indurre reazioni negative da parte dei genitori, favorendo un ambiente che promuove l’insorgenza dell’endometriosi in età adulta.

Certo, questo è uno studio che richiede ulteriori ricerche e approfondimenti. Ma che, intanto, aggiunge nuovi tasselli a questa linea di ricerca relativamente recente, aiutandoci nella comprensione di una malattia complessa – forse anche più di quanto apparisse qualche anno fa, perché i fattori genetici e ambientali possono avere una relazione più stretta del previsto. E aiutandoci così anche ad aprire la strada a nuovi approcci di studio e, forse, di prevenzione.