Pesci antichi, grandi dinosauri e coccodrilli dall’anatomia insolita. Questo è il Villaggio del Pescatore in Friuli-Venezia Giulia, uno dei più importanti siti paleontologici d’Italia e d’Europa. Si tratta di un lagerstätte, termine usato per identificare i giacimenti che ospitano grandi quantità di esemplari conservati in modo eccezionale. 

È possibile visitare il sito durante le giornate di apertura organizzate dalla Regione o dal Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, perché l’area non è ancora un parco paleontologico stabilmente aperto al pubblico. Questo però non significa che i reperti non siano accessibili: i principali fossili estratti e identificati sono esposti al Museo, compresi i due dinosauri erbivori della nuova specie Tethyshadros insularis, soprannominati Antonio e Bruno. Antonio è completo quasi al 100%, mentre Bruno è l’unico dinosauro al mondo conservato all’interno di una roccia deformata: è piegato su se stesso e per vederlo nella sua interezza è necessario girarci attorno. Al Museo si trova anche un esemplare di Acynodon adriaticus, un piccolo coccodrillo che scivolava agile fra le zampe dei dinosauri e di altri animali che vivevano affacciati sull’Oceano della Tetide 80 milioni di anni fa, la maggior parte dei quali ancora giace nella roccia del Villaggio del Pescatore. 

Per arrivare al sito è sufficiente allontanarsi di soli pochi chilometri da Trieste, percorrendo la strada in costiera fino a raggiungere il comune di Duino-Aurisina. Parcheggiata la macchina in un grande spiazzo, stretto fra il Carso e il mare Adriatico, si scende lungo un sentiero fino al sito paleontologico. Ci si trova così in una piccola cava circolare scavata nella collina. Subito si nota sul taglio di cava, la parete di roccia verticale creata dallo scavo, un calco di Antonio, il primo dinosauro estratto, a indicare il punto dal quale questo antico mondo ha iniziato a riemergere. 

Costeggiando la parete, basta alzare di poco lo sguardo per vedere il bosco affacciarsi, colorato dai fiori a batuffolo rosa della Cotinus coggygria, lo scotano, o albero della nebbia. Si arriva in un angolo, a ridosso della parete, dove le esperte e gli esperti che accompagnano la visita, come Marco Muscioni, paleontologo specializzato in anatomia dei vertebrati, spostano un po’ di foglie e terriccio accumulati in un angolo e con l’acqua della loro bottiglietta rischiarano la roccia. Se bagnata i dettagli si accentuano, rendendo più facile osservarne la composizione. Emerge chiaramente un’area, grande quanto una mano, che sembra accartocciata come carta crespa, e puntellata da sei cerchietti color crema avvolti da un involucro nero. 

I denti che rivelano una vita

«Ci troviamo di fronte a sei denti, alcuni dei quali molto piccoli. La sezione più chiara è la dentina, la parte interna del dente che è protetta dallo smalto, il cappuccio nero che la circonda», spiega Muscioni, che nel suo progetto di dottorato all’Università di Bologna si occupa di studiare i fossili del Villaggio del Pescatore. I denti hanno caratteristiche immediatamente riconoscibili da un occhio allenato. La parte circostante, racconta Muscioni, ha invece impiegato vari anni per essere identificata. Inizialmente l’ipotesi più accreditata era che si trattasse di un coprolite, cioè un escremento fossile. Ora sappiamo che ci troviamo di fronte al cranio e alla mandibola di un coccodrillo della specie Acynodon adriaticus.

I denti rivelano molto dell’anatomia, dello stile di vita dell’animale e dell’ambiente in cui viveva. L’ultima ricerca condotta dal team di cui fa parte Muscioni ha descritto l’interno del cranio di un esemplare di A. adriaticus estratto anni fa dal sito. Grazie a una tecnica di analisi a raggi X, la tomografia, il team ha ricostruito l’intero cranio e la dentizione dell’animale. I denti della parte più interna della bocca, che sono anche quelli che vediamo nel fossile sul campo, hanno una caratteristica molto singolare: assomigliano a dei molari. Si tratta cioè di denti particolarmente arrotondati e appiattiti, con caratteristiche che oggi non si trovano in nessun coccodrillo vivente. Sono, spiega Muscioni, denti altamente specializzati, che parlano di un animale che frantumava il suo cibo. Insieme alle informazioni ottenute attraverso la tomografia, i ricercatori hanno concluso che il nostro coccodrillo doveva essere un durofago: mangiava molluschi, perciò si trovava continuamente a sbriciolare gusci. 

Attraverso la dieta dell’animale, i denti ci raccontano quindi molto dell’ambiente che popolava e della sua evoluzione, mostrandoci una specie di coccodrillo specializzata nel nutrirsi di molluschi, e per questo molto diversa dalle specie di coccodrilli a noi oggi più familiari. 

Da coprolite a coccodrillo

Era chiaro a tutti i paleontologi che le strutture circolari fossero denti, ma la parte di roccia attorno è rimasta per anni una massa grigiastra difficile da definire. L’ipotesi che sembrava più plausibile, ma non del tutto convincente, era che si trattasse di un escremento fossile: un animale si era nutrito di un altro animale intero del quale non aveva digerito i denti. «Questo perché il fossile che stiamo osservando non conserva delle morfologie chiaramente riconoscibili, non è possibile individuare una forma che sia immediatamente riconducibile a un osso in particolare», spiega Muscioni.

La tomografia condotta sul cranio di A. adriaticus ha finalmente permesso di identificare definitivamente il fossile presente nel sito: «Nell’istante in cui l’ho visto ho subito capito che ci trovavamo di fronte a un altro esemplare di A. adriaticus. Una sezione del cranio che stavamo studiando era identica a quella che stiamo guardando ora», ricorda Muscioni, e aggiunge: «Cranio e mandibola qui sono ancora uniti nell’articolazione, possiamo riconoscere denti mascellari e mandibolari. Solitamente questo è uno dei primi punti che si disarticola durante la decomposizione, di conseguenza c’è buona probabilità che scavando in profondità si possa recuperare l’intero animale».

Purtroppo, al momento non è pianificata una nuova campagna di scavo per recuperare questo esemplare e altri animali individuati nel sito, principalmente per via delle difficoltà logistiche e soprattutto economiche che la roccia carsica comporta. Non è possibile infatti lavorare, come in altre località del mondo, usando attrezzi a mano. Qui lo scavo richiede l’apertura di un cantiere, attrezzature come filo diamantato e ruspe per tagliare e sollevare i blocchi e, successivamente, una lunga preparazione dei fossili con l’acido formico per lavare via la roccia dalle ossa. Nonostante non ci siano nuove campagne di scavo in vista, il materiale da studiare è ancora molto. I ricercatori stanno analizzando i numerosi fossili che sono stati raccolti nei 41 anni dalla scoperta del sito. Si tratta sia di reperti già in parte studiati, come i dinosauri Antonio e Bruno, e rivisti alla luce delle scoperte degli ultimi anni, sia di materiali ancora inediti.

Che ambiente possiamo immaginare? 

Il Villaggio del Pescatore è stato datato a 80,5 milioni di anni fa circa. «La finestra temporale coinvolta è molto importante, perché non ne abbiamo tante altre in Europa capaci di restituirci tale ricchezza. Studiare questo ecosistema ci permette di colmare quello che è un vuoto nelle nostre conoscenze sulla storia evolutiva della vita», spiega Muscioni. Stiamo parlando del Campaniano, il penultimo piano geologico del Cretaceo superiore. Per aiutarci a visualizzare questo momento del tempo profondo è utile immaginare il Mesozoico, la cosiddetta era dei dinosauri, come un libro composto da tre capitoli: Triassico, Giurassico e Cretaceo. Ogni capitolo è a sua volta diviso in paragrafi e sottoparagrafi. Il Cretaceo è diviso in due paragrafi, inferiore e superiore. Il Campaniano è il penultimo sottoparagrafo del Cretaceo superiore. 

Camminando in questa cava e guardando il fossile di A. adriaticus ci si proietta sulle coste di un’isola dal clima tropicale affacciata sull’Oceano della Tetide, assimilabile alle attuali Bahamas ma distante da noi 80 milioni di anni. 

Lo stato di conservazione di questo fossile non è soltanto utile per lo studio dell’anatomia dell’animale, ma fornisce anche informazioni legate al tipo di ambiente che il Villaggio del Pescatore doveva essere. Il fatto che cranio e mandibola siano ancora articolati presuppone che il nostro coccodrillo sia stato seppellito rapidamente e fermato nella roccia. Probabilmente è stato sepolto da sottili stratificazioni di fango che sono ancora visibili aguzzando lo sguardo: si tratta delle linee nella roccia che circondano il fossile. Una sorte molto simile è toccata ai dinosauri Bruno e Antonio e all’altro esemplare di A. adriaticus, il protagonista della tomografia. Questo fa presupporre a geologi e paleontologi che quella che oggi è la cava di Villaggio del Pescatore fosse al tempo una sorta di laghetto. Tutte le teorie convergono sul fatto che si trattasse di un luogo con acqua e fango, che ha ricoperto rapidamente gli animali fissandone la postura per 80 milioni di anni, ma il dibattito su che tipologia di bacino potesse essere è ancora aperto.

Per ora è possibile immaginare solo in parte questa antica versione del nostro pianeta. Abbiamo illustrazioni paleoartistiche molto evocative che raccontano alcuni momenti della vita di T. insularis e A. adriaticus, ma c’è ancora molto lavoro da fare per svelare tutta la ricchezza di questo ecosistema. Abbiamo solo sbirciato nella vita che lo abitava.