Insomma, diciamolo, come può uno come il presidente Trump rimanere impassibile quando una delle più importanti (se non la più importante) istituzioni culturali americane programma una mostra di Amy Sherald, famosa non solo per aver ritratto Michelle Obama, ma per il suo dipinto in cui la Statua della Libertà diventa una donna nera e transgender? E infatti in un post del 19 agosto sulla sua piattaforma Truth ha tuonato (le maiuscole sono sue): «I Musei di Washington, ma anche di tutto il Paese, sono essenzialmente l’ultimo baluardo del “WOKE” e gli Smithsonian sono FUORI CONTROLLO». Un attacco non inatteso, c’era già stato un minaccioso ordine esecutivo forse confuso tra i tanti firmati all’avvio della nuova amministrazione, ma ora lo scontro è esplicito e pericoloso.

Per cominciare, la stessa Sherald ha deciso di ritirare la mostra intitolata American Sublime alla National Portrait Gallery quando è sembrato chiaro che la direzione del museo stava considerando la possibilità di smussarne gli aspetti più controversi. E già questo è abbastanza triste: la censura e, peggio, l’autocensura dell’arte ne mina le fondamenta. L’arte deve essere discussione e confronto, può essere provocatoria e puntare a colpire le sensibilità per suscitare dibattito, ma il tentativo autoritario di farla diventare arte di Stato vuol dire ucciderla. Così come ogni pretesa di controllo delle opinioni e del pensiero critico ci toglie libertà

Eppure, è proprio quello che Trump sta facendo in ogni ambito. Come testimonia anche Scienza in rete, che segue da sempre (con uno sgomento condiviso della comunità dei suoi lettori) i ripetuti, deliberati e sistematici attacchi dell’amministrazione Usa a guida trumpiana contro l’indipendenza della ricerca scientifica e la tutela della salute, l’ultimo dei quali, non più tardi di mercoledì 27 agosto, è stato il brutale siluramento di Susan Monarez, appena nominata direttrice dei Centres for Disease Control and Prevention (Cdc) giudicata troppo ostile al mondo dei no-vax. Al suo posto la Casa Bianca ha pensato bene di nominare Jim O’Neill, vicesegretario alla Salute degli Stati Uniti, un uomo senza alcuna competenza medica o sanitaria (2).
Purtroppo, il mondo della cultura e dell’arte sono solo gli ultimi bersagli, perché quello che diventa sempre più chiaro ed evidente è che esiste un disegno complessivo di mortificare autonomia e pensiero indipendente, così come avviene in ogni Paese autoritario dedito al culto della personalità (molti americani vorrebbero un dittatore, ma io non lo sono, dice Trump parlando di Trump). A quando, il caro leader che guida il suo popolo?

Riscrivere il passato per controllare il futuro

Il prossimo anno gli Stati Uniti celebreranno i 250 di indipendenza, motivo in più, perciò, per eliminare da ogni museo o realtà culturale le interpretazioni che si discostano dalla visione ideologica MAGA o che si manifestano critiche verso l’egemonia culturale propugnata dalla Heritage Foundation, il think thank iper-conservatore che ha prodotto il Progetto 2025, l’humus teorico dei fedelissimi trumpiani.

E quale preda più ambita da cui cominciare della Smithsonian Institution, il più grande complesso museale, didattico e di ricerca al mondo (come dice di sé stessa)? 
21 musei, 14 centri educativi e di ricerca e lo Zoo nazionale, tutti gratuiti, la Smithsonian Institution fondata nell’agosto 1846 grazie a un lascito del mineralogista e chimico britannico James Smithson, che chiese di creare «una realtà per l’incremento e la diffusione della conoscenza», raccoglie qualche decina di milioni di visitatori all’anno. E, dichiara, si impegna a «plasmare il futuro preservando il patrimonio, scoprendo nuove conoscenze e condividendo le nostre risorse con il mondo». Obiettivi importanti e degni di rispetto ma, certo, poco trumpiani.

La Smithsonian non fa parte del governo federale e riceve poco più della metà del suo finanziamento complessivo (circa un miliardo di dollari nel 2024) tramite stanziamenti deliberati dal Congresso. La governa un consiglio di amministrazione in cui siedono, tra gli altri, il presidente della Corte Suprema, John Roberts, e il vicepresidente Usa, J.D. Vance, ma anche un gruppo bipartisan di legislatori, nonché rappresentanti di spicco del mondo imprenditoriale e culturale.

Come si possono incontrare due visioni tanto lontane come quella positivista dell’inglese Smithson, fatta propria dalla autorevole istituzione, con quella del Project 2025, il cui obiettivo è creare una nazione egemone, teocratica, suprematista, sovrana e sovranista? E, infatti, non si incontrano, anzi gli interventi ordinati da Trump implicano «una trasformazione profonda, in grado di azzerare un secolo di politiche sociali e progressismo razziale, il new deal rooseveltiano e le riforme strappate da Martin Luther King, oltre che le premesse culturali su cui sono state predicate. Quindi scuola, scienza, etica e storia sono il terreno su cui il paese deve essere trascinato indietro verso una immaginata grandezza», come ha scritto Luca Celada su il Manifesto.

Riscrivere il passato, sanno gli adepti del 2025 Project, sarà d’aiuto per modellare un nuovo futuro.

120 giorni per cambiare

E bisogna farla in fretta questa riscrittura, perché sono solo 120 i giorni concessi nella lettera che a metà agosto Trump ha inviato al responsabile della Smithsonian Lonnie G. Bunch ordinando che «la Smithsonian modifichi i contenuti che l’amministrazione ritiene problematici, sostituendo terminologie divisive o ideologiche con descrizioni unificanti, storicamente accurate e costruttive». A sorvegliare e guidare la trasformazione verso l’unica lettura omologata della storia americana, l’avvocata Lindsey Halligan, dello staff di consulenti di Trump. Halligan, immediatamente entusiasta, ha dichiarato: «Non c’è bisogno di calcare sul negativo per insegnare al pubblico che nella nostra storia vi sono anche aspetti spiacevoli. Personalmente ho rilevato una enfasi eccessiva sui mali della schiavitù. Dovremmo invece enfatizzare i progressi fatti da allora». Insomma, basta lamentarsi.

Molti commenti hanno sottolineato che Lindsay Halligan è stata semifinalista al concorso Miss Colorado, ma lungi dall’essere solo una bella figliola di quelle di cui ama circondarsi il presidente, l’avvocata si trovava a Mar-a-Lago quando la residenza fu perquisita dall’FBI, alla ricerca di documenti governativi presumibilmente conservati in modo improprio, e si è quindi guadagnata la fiducia presidenziale. Halligan, inoltre, ha assistito Trump quando ha fatto causa alla Cnn perché l’emittente aveva definito una “grande bugia” la sua affermazione che le elezioni del 2020 erano state truccate (la causa è stata archiviata). Insomma, Halligan è una combattente, meglio non prenderla sotto gamba.

Ripristinare la verità e la sanità mentale nella storia americana

L’offensiva contro la Smithsonian si è svolta in due tappe: alla fine di marzo Trump aveva firmato uno dei suoi famigerati ordini esecutivi (“Ripristinare la verità e la sanità mentale nella storia americana”) che ordinava che la Smithsonian Institution venisse ripulita da «ideologie divisive e incentrate sulla razza» e aveva affidato il compito di esaminare attentamente i 21 musei a JD Vance. Poi, come abbiamo visto, ad agosto l’affondo, e le esternazioni direttamente su Truth: «Si discute solo di quanto sia orribile il nostro Paese, di quanto fosse terribile la Schiavitù e di quanto siano stati fallimentari gli oppressi – Niente sul Successo, niente sulla Brillantezza, niente sul Futuro. Non permetteremo che questo accada e ho incaricato i miei avvocati di esaminare i musei e avviare lo stesso identico processo che è stato seguito nei college e nelle università, dove sono stati compiuti enormi progressi». Un monito terribile, vista la crisi che sta stravolgendo il mondo accademico.

Come sempre una miscela di false accuse e di letture deliranti della realtà: per esempio il National Museum of African American History and Culture (Nmaahc) propone in effetti mostre sulla tratta transatlantica degli schiavi e sull’istituzione della schiavitù negli Stati Uniti, altri però celebrano anche le innovazioni e le conquiste degli americani. Anzi, lo stesso Nmaahc dedica un intero piano ai successi degli afroamericani in campo artistico, scientifico, sportivo e imprenditoriale. E, comunque, al di là degli specifici esempi, è la pretesa di normalizzare tutto e tutti a far male.

Le proteste diventeranno resistenza?

Qualche reazione non si è fatta attendere, per esempio l’Association of Art Museum Directors ha rilasciato una dichiarazione, che sottolinea tra l’altro: «Il valore della Smithsonian per la società americana deriva dal suo impegno di lunga data per la ricerca oggettiva, l’eccezionale erudizione e la ricerca, e dalle sue collezioni straordinarie e uniche. Con questo approccio, la Smithsonian continua a promuovere un coinvolgimento consapevole con il passato, il presente e il futuro del nostro Paese, creando ambienti in cui i visitatori di tutto il mondo possono esplorare diversi concetti della storia e della scienza, sperimentare l’eccellenza artistica e imbattersi in manufatti straordinari». 

«L’attuale amministrazione cerca di imporre una versione amnesica ed edulcorata della storia americana, che oscura le verità più difficili della nazione e cancella gli straordinari contributi artistici e culturali delle comunità emarginate», ha aggiunto ancora più dura Julie Trébault, direttrice esecutiva di Artists at Risk Connection, che ha rincarato: «Questa censura non è solo un attacco alla Smithsonian, ma ai principi stessi della libertà intellettuale, dell’integrità artistica e del dialogo democratico».

Proprio così e se ci ricorda la Germania nazista o la Russia sovietica, purtroppo, non è un abbaglio.