Pubblicato il 03/10/2025Tempo di lettura: 7 mins

«In Italia il dibattito pubblico sull’energia ha la brutta tendenza a divagare su temi in realtà poco rilevanti (come il nucleare) mentre perde di vista le grandi dinamiche in corso (la crescita impetuosa dell’energia rinnovabile e degli accumuli elettrici), ignora le conseguenze pratiche della dipendenza dalle fonti fossili e sopravvaluta gli impatti e i costi delle alternative».

Gianluca Ruggieri, nel suo Le energie del mondo. Fossile, nucleare, rinnovabile: cosa dobbiamo sapere (Editori Laterza, 2025), fa esattamente ciò che promette nel titolo, rispondendo a possibili dubbi o domande in materia, e scrive un’analisi lucida e documentata su uno dei temi più caldi del momento. «In un contesto in cui ognuno tira acqua al suo mulino e manipola i dati a proprio piacimento, l’accusa preferita da scagliare contro i propri interlocutori è quella di essere ideologici. Ma è possibile fare un dibattito sull’energia (e sul clima) senza essere ideologici? Chi pensa che il contrasto alla crisi climatica sia un atto necessario al benessere di tutti è più o meno ideologico di chi ritiene che la crescita economica sia un obiettivo da perseguire anche a costo di sacrificare la sopravvivenza della civiltà umana per come la conosciamo? La nostra visione del mondo e di ciò che contiene, ovvero la nostra ideologia, influenzerà sempre e comunque l’interpretazione che diamo della realtà e le scelte che decidiamo di compiere — e per fortuna è così. Il punto è poterci ancorare a qualche certezza di fondo, così da diventare indipendenti, quantomeno nelle nostre opinioni», scrive Ruggieri.

Si fa presto, infatti, a parlare di energia: all’inizio impariamo subito a comprendere e distinguere concetti molto diversi, come energia e potenza, energia elettrica ed “energia e basta”, o termica, se si vuole essere precisi, energia primaria, energia finale ed energia utile. Bisogna aver ben chiaro di quale stiamo parlando, per confrontare eventuali dati in maniera corretta e sensata.

Prima della rivoluzione industriale, circa il 70% dell’energia meccanica veniva fornito dalla forza muscolare umana, il 30% da quella animale: l’avvento del fossile ha permesso lo sviluppo e la diffusione di macchinari moderni. «Alla fine del XX secolo ogni persona sul pianeta aveva a disposizione (in media) l’equivalente dell’energia prodotta da 20 schiavi che lavorassero a suo servizio al massimo dell’intensità, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno», scrive ancora Ruggieri. È il caso di dire, perciò, che il fossile “ha fatto anche cose buone”. Non possiamo ignorarlo. Dobbiamo, però, tenere conto di quello che è il suo costo, non solo in termini di riscaldamento globale. Negli ultimi settant’anni, infatti, la storia degli approvvigionamenti energetici è legata a doppio filo con quella di guerre e invasioni: abbiamo pagato petrolio e gas naturale con il sangue e/o venendo a patti con regimi autoritari e antidemocratici. Ma, nonostante questo, non siamo mai “al sicuro”, come l’invasione dell’Ucraina ci ha mostrato recentemente. Poi, appunto, non si può non parlare della crisi climatica, e del costo sociale ed economico che porta con sé: milioni di morti, centinaia di milioni — se non miliardi — di persone costrette a migrare. «Per quanto possa costare la transizione ecologica, l’inazione sarebbe infinitamente più costosa. Non per il pianeta, ma per le società umane. Ogni grado di aumento della temperatura riduce il PIL mondiale del 12%».

Oltre ai gradi sul termometro, non bisogna scordare l’inquinamento: secondo alcuni studi, infatti, un quinto delle morti a livello globale sarebbe da imputare alla pessima qualità dell’aria. Anche l’estrazione non è priva di problemi, tutt’altro. In più, c’è il problema dello spreco: per produrre energia dalle fonti fossili bisogna passare tramite una combustione, e tutte le tecnologie termiche sono inefficienti. Ogni volta sprechiamo più di quanto riusciamo a utilizzare. Ma perdiamo energia in tutte le fasi della filiera, dall’estrazione, alla lavorazione, al trasporto, alla produzione di energia elettrica o termica. Come scrive Ruggieri, «Il 62,5% dell’energia che usiamo non serve a niente, non svolge nessun lavoro. Semplicemente la buttiamo via perché le tecnologie termiche funzionano così». Verrebbe quasi da chiedersi perché non ci si sia sganciati prima dalla schiavitù del fossile: la verità non è solo che non ci siamo impegnati abbastanza, ma anche e soprattutto che c’era chi remava contro, per tutelare i propri interessi. Ottimi i consigli di lettura per saperne di più sono di Mercanti di dubbi, di Naomi Oreskes ed Erik M. Conway, e I bugiardi del clima, di Stella Levantesi.

Nel nostro piccolo, abbiamo sperimentato anche direttamente quanto le tecnologie termiche siano inefficienti: ricordate le lampadine a incandescenza? Le abbiamo utilizzate per un secolo, eppure solo il 5-10% dell’elettricità consumata veniva restituito come luce. Il resto scaldava solo l’aria. Ora impieghiamo lampadine che sono tra le 5 e le 7 volte più efficienti, e in genere durano fino a 20 volte di più. Nel caso delle tecnologie volte alla decarbonizzazione, però, il parametro dell’efficienza potrebbe essere fuorviante: se è vero che le centrali a gas e carbone raggiungono il 33-50%, i pannelli solari si attestano “solo” al 30%. La differenza, però, sta nel destino della risorsa impiegata: carbone, petrolio e gas, dopo la combustione, non ci sono più. Vento o radiazione solare, invece, non vengono consumati dall’uso, quindi ci sarebbe un miglioramento energetico anche a fronte di un’efficienza non eccelsa. Per chi sostiene che si tratti di contributi ancora marginali, suggerirei di riflettere sul fatto che siano, però, quelli in più rapida crescita. Non solo oggi, ma in generale, «a un ritmo senza precedenti nella storia del sistema elettrico globale». Ruggieri fa il confronto dei tempi impiegati dalle diverse fonti per passare da una produzione elettrica di 100TWh/annui a 1000TWh/annui (e questi ultimi sono oltre il triplo di quanta elettricità consumiamo in Italia in un anno): all’idroelettrico sono serviti 39 anni, al carbone 32, al gas 28, al nucleare e all’eolico 12. Il fotovoltaico ha impiegato 8 anni. E, cosa forse inaspettata, «la Cina da sola installa il doppio di eolico e fotovoltaico rispetto a tutti gli altri paesi sommati e ha raggiunto i suoi obiettivi per il 2030 con 6 anni di anticipo». Questa crescita così fulminea non era prevista nemmeno dall’International Energy Agency, che nel suo rapporto annuale World Energy Outlook — in cui analizza i possibili scenari futuri in ambito energetico — del 2015 ipotizzava che nel 2023 sarebbero stati installati 50TW di nuovi impianti fotovoltaici nel mondo. Il dato reale superava i 600TW…

Impariamo a conoscere le tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio, e del perché non siano tanto una soluzione, quanto più uno stratagemma, di cosa sia e come funzioni il mercato delle emissioni, tra limiti e successi, e della possibilità di introdurre una vera e propria tassa sulle emissioni. Importante anche limitare, sì, la nostra impronta individuale, ma senza perdere il focus su dove sia davvero la responsabilità — non è un caso che il primo calcolatore dell’impronta di carbonio sia stato sviluppato dalla ex British Petroleum, in una mirabile azione di greenshifting. Scopriamo tutti i colori dell’idrogeno, che dipendono da come viene prodotto, cosa sono i biocombustibili e quali sono le loro criticità, che spostarsi in un’auto a motore termico è, in fin dei conti, come farlo su una stufa (a ruote), utilizzando molta più energia del necessario, per poi analizzare nel dettaglio tutte le fonti rinnovabili.

Ne Le energie del mondo non può mancare la parte sul nucleare, sul quale giustamente Ruggieri scrive come sia complicato farsi un’idea oggettiva, pur non essendo una tecnologia nuova. Però, «I dati affidabili scarseggiano e la loro lettura appare influenzata da pregiudizi e premesse più o meno inconsapevoli». Con pochi esempi, spesso datati, con costi difficilmente confrontabili, informazioni non sempre di dominio pubblico — cosa che accade quando i programmi di sviluppo afferiscono all’ambito militare e non a quello energetico — e numerosi problemi di conflitti di interesse da parte di chi effettua le stime, non è banale tirare le somme, ma l’autore lo fa nel modo più razionale possibile.

Il libro è corredato da grafici, dati, interviste, approfondimenti, una nutrita bibliografia: la veste grafica è impressionante, in quello che credo sia l’unico saggio interamente a colori che ricordo di aver letto in tempi recenti, con i concetti più importanti già messi in evidenza, in arancione. Non è una lettura d’evasione, ma è un libro dietro al quale non è possibile non riconoscere il lavoro impressionante, e che permette a chiunque abbia interesse sul tema di comprendere tutte le sfaccettature di un argomento tanto attuale e impattante sulle nostre vite e sul nostro futuro.
 

Paracetamolo, autismo e caccia alle streghe

Pubblicato il 03/10/2025

Nell’aprile di quest’anno, il Segretario del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani statunitense Robert F. Kennedy ha dichiarato che entro settembre sarebbe stata resa nota la causa di quella che lui definisce “epidemia” di autismo. Come scrive l’editorialista del New York Times Jessica Grose, tutti coloro che si occupano di medicina hanno subito pensato che l’amministrazione Trump stesse per offrire un comodo capro espiatorio per una condizione studiata da decenni senza che sia stata scoperta una singola causa principale.