Il 2 maggio 2025, la BBC ha pubblicato un articolo che analizza l’impatto dei prodotti a tabacco riscaldato sulla salute umana. Per l’occasione, l’emittente ha intervistato esperti indipendenti privi di conflitti di interesse con l’industria del tabacco, inclusi rappresentanti dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ne è emerso un messaggio
chiaro: i prodotti a tabacco riscaldato rappresentano un rischio per la salute di chi li consuma e di chi li inala passivamente. Gli effetti a lungo termine non sono ancora noti, ma una cosa è certa: questi prodotti rappresentano un freno alla lotta contro il tabagismo. Infatti, la maggior parte dei fumatori non abbandona le sigarette ma diventa un consumatore duale, senza ottenere alcun beneficio significativo in termini di riduzione del rischio. Gli esperti esprimono, inoltre, forte preoccupazione per alcune strategie di marketing che sembrano rivolgersi deliberatamente ai giovani, contribuendo a creare una nuova generazione di dipendenti dalla nicotina.

Nonostante il peso delle evidenze richiamate dagli esperti, l’industria del tabacco continua a sostenere il contrario: i prodotti a tabacco riscaldato aiuterebbero i fumatori a smettere di fumare. Nell’articolo della BBC, le principali compagnie del settore – Philip Morris International (PMI), British American Tobacco (BAT) e Japan Tobacco International (JTI) – hanno avuto la possibilità di rispondere alle argomentazioni e ai dati presentati dagli esperti indipendenti. Questo ci offre un’occasione preziosa per analizzare nel dettaglio le affermazioni dell’industria e verificarne l’attendibilità.

1. “Il consumo tra i giovani è basso”: FALSO

PMI afferma che nei 70 mercati in cui la sigaretta elettroica IQOS è disponibile, il consumo di tabacco riscaldato tra le persone giovani si mantiene su valori “a una cifra”. Per dimostrare che il consumo tra adolescenti è basso, PMI cita un report in lingua giapponese relativo a un’indagine condotta in Giappone nel 2021, secondo cui meno del 2% di chi è tra i 13 e i 18 anni utilizzerebbe tabacco riscaldato. Non vogliamo entrare nel merito della qualità dell’indagine citata, ma ci chiediamo perché PMI non citi i dati ufficiali delle sorveglianze dell’Oms. Forse perché raccontano un quadro completamente diverso? Un esempio è l’indagine Global Youth Tobacco Survey (GYTS), condotta su un campione rappresentativo nazionale di adolescenti tra i 13 e i 15 anni in molti paesi del mondo, che negli ultimi aggiornamenti ha aggiunto una domanda sull’uso di tabacco riscaldato almeno una volta negli ultimi 30 giorni. Dei 70 paesi nel mondo in cui è in commercio il tabacco riscaldato, questo dato era disponibile per 6 paesi: in Arabia Saudita (indagine condotta nel 2022) il 2% dei 13-15enni dichiarava di fare uso di tabacco riscaldato, in Lituania (2022) il 6%, in Polonia (2022) il 10%, in Repubblica Ceca (2022) l’11%, in Italia (2022) il 14% e in Bulgaria (2023) ben il 21%. Si tratta di stime quasi sempre a due cifre, ben lontane da quelle riportate da PMI.

2. “L’82% degli utenti ha più di 29 anni”: FALSO

PMI sostiene che la stragrande maggioranza degli utilizzatori di IQOS sia in là con gli anni. Nonostante il prezzo iniziale del dispositivo elettronico possa rappresentare un deterrente per le persone più giovani, i dati aggiornati disponibili dicono ben altro. Una revisione sistematica, infatti, che ha raccolto i dati sull’intera letteratura scientifica, dimostra che chi consuma più frequentemente tabacco riscaldato ha meno di 40 anni. Questo risultato è stato riscontrato coerentemente sia in Asia (7 studi), che in Europa (7 studi) e in Nord America (1 studio).

Per confrontarci con il dato riportato dall’industria, abbiamo analizzato la nostra indagine del 2024, basata su un campione rappresentativo di 3.125 italiani di 15 anni o più [Prevalence and patterns of electronic cigarette and heated tobacco product use among Italian adults in 2024. Tumori J, submitted]. 

Nei dati italiani, il 68% (e non l’82%) di coloro che consumano tabacco riscaldato ha più di 29 anni. Ciò significa che quasi un terzo dei consumatori ha un’età compresa tra i 15 e i 30 anni. Inoltre, sempre secondo i nostri dati italiani, il 75% degli utilizzatori di tabacco riscaldato ha meno di 50 anni, mentre solo il 25% ha 50 anni o più. Anche su questo argomento, i dati di PMI, mai pubblicati nella letteratura scientifica, sembrano discordare dall’evidenza che mostra una diffusione ampia soprattutto tra giovani adulti.

3. “I consumatori duali sono pochi”: FALSO

PMI afferma che il 72% degli utilizzatori di IQOS ha smesso completamente di fumare sigarette, facendo intendere che i consumatori duali (che consumano sia tabacco riscaldato che tabacco tradizionale) sono il 28%. Anche su questo, però, l’evidenza scientifica dice tutt’altro. Una metanalisi recente, che ha analizzato 26 studi in tutto il mondo, ha rilevato che coerentemente in Asia (16 studi), in Europa (9 studi) e in Nord America (2 studi), ben il 68% di chi usa tabacco riscaldato è anche fumatore di sigarette tradizionali, configurando un profilo di consumo duale per più dei due terzi degli utilizzatori di tabacco riscaldato.

4. “Il tabacco riscaldato aiuta a smettere di fumare”: FALSO

Nel loro tentativo di smentire la letteratura indipendente, PMI ha definito “inaffidabile” lo studio italiano pubblicato nel 2024 su una delle riviste più autorevoli nel campo del controllo del tabagismo. Lo studio in questione mostra che, tra i fumatori, la probabilità di smettere di fumare è ridotta del 17% tra coloro che fanno uso di tabacco riscaldato rispetto a coloro che non ne fanno uso. Nello stesso studio, tra i non fumatori, chi consuma tabacco riscaldato ha una probabilità sei volte maggiore di iniziare a fumare. Tra gli ex-fumatori, il rischio di ricominciare a fumare la sigaretta tradizionale è tre volte maggiore tra chi consuma tabacco riscaldato. Gli stessi autori hanno segnalato alcune limitazioni dello studio, tra cui il fatto che era stato condotto durante la pandemia, cosa che poteva alterare i risultati. Risultati che però sono stati confermati da una recente revisione sistematica della letteratura che ha identificato altri sette studi (quattro coorti e tre studi trasversali) su questo tema: tutti giungono alle stesse conclusioni.

Per esempio, uno studio prospettico giapponese ha rilevato che, tra i fumatori, i tassi di cessazione erano inferiori del 27% tra coloro che utilizzavano anche il tabacco riscaldato. Inoltre, un altro studio giapponese ha riscontrato che il rischio per i non fumatori di passare alle sigarette tradizionali è 10 volte più alto tra chi usa il tabacco riscaldato. Un ulteriore importante studio giapponese, non incluso dalla revisione sistematica, non fa altro che confermare l’inefficacia di questi prodotti nel far smettere di fumare.

5. “Il passaggio al tabacco riscaldato può giovare a persone con problematiche specifiche”: FALSO E NON INDIPENDENTE

L’unico studio citato nell’articolo della BBC a sostegno di questa affermazione fa riferimento a una coorte di pazienti con patologie polmonari croniche. Il primo firmatario di questo lavoro è noto per i suoi legami finanziari con l’industria del tabacco (PMI e BAT) ed è il fondatore del Center of Excellence for the Acceleration of Harm Reduction (CoEHAR), un centro di ricerca dell’Università di Catania creato, secondo la piattaforma dell’Università di Bath TobaccoTactics, con il contributo di oltre 16 milioni di dollari americani di PMI tramite la Foundation for a Smoke-Free World. In realtà, non sappiamo ancora con certezza quali siano gli effetti, soprattutto quelli a lungo termine, di questi prodotti sulla salute. Per questo motivo, tra gli esperti che decidono di rimanere indipendenti dall’industria del tabacco, non ne conosciamo uno che sostenga che il passaggio a prodotti a tabacco riscaldato possa giovare alla salute di qualcuno.

Disinformare a piene mani 

Insomma, l’industria del tabacco, e in particolare PMI, continuano a diffondere disinformazione: riteniamo di aver dimostrato che tutte le argomentazioni portate avanti da PMI sono false, e che le evidenze della letteratura scientifica convergono nella direzione opposta. Sorprende notare come una multinazionale che ha investito circa un miliardo di euro in ricerca per promuovere i propri prodotti a tabacco riscaldato citi sistematicamente dati non ufficiali né mai pubblicati su riviste scientifiche per sostenere le proprie tesi. C’è da chiedersi se non si sia trattato di un investimento mal riposto.

In conclusione, ci ha positivamente colpito la dichiarazione della Japan Tobacco International, che afferma di essere «impegnata nel principio che i minori non dovrebbero mai usare o accedere a prodotti contenenti nicotina». La legge italiana attuale sembra soddisfacente: prevede sanzioni amministrative da 500 a 8.000 euro e la revoca della licenza per le attività commerciali che vengono colte ripetutamente a vendere prodotti con nicotina ai minori. Evidentemente i controlli sono insufficienti, se è vero che quasi 3 minorenni su 4 che acquistano i prodotti nei tabaccai dichiarano di non essere mai stati rifiutati dal venditore a causa della loro età. Lo chiede la scienza, lo chiede più del 90% degli italiani e, almeno a parole, lo chiedono anche le compagnie del tabacco: perché non introdurre controlli più severi che facciano saltare le licenze dei tabaccai e dei rivenditori di sigarette elettroniche recidivi?