I dati sull’evasione fiscale nuda e cruda sono piuttosto difficili da trovare, non tutti i paesi condividono i loro ed è complicato coprire un periodo temporale uniforme per ogni paese del mondo. In Italia, per esempio, il Ministero dell’economia e delle finanze ci dice che evadiamo circa 82 miliardi di euro all’anno (l’Agenzia delle entrate registra un calo costante dell’evasione negli ultimi anni).
I dati reperibili su scala internazionale non si riferiscono all’evasione fiscale, ma prevalentemente all’elusione fiscale, cioè alle pratiche legali e non legali di aggiro del fisco del proprio paese.

492 miliardi di dollari vengono persi dalle entrate fiscali globali ogni anno a causa di multinazionali e individui che spostano i loro redditi offshore. È quanto riporta lo State of Tax Justice 2024 della Tax Justice Network. Nella mappa la suddivisione per aree geografiche (a fine articolo è riportato invece il grafico nazione per nazione).

Il rapporto Global Tax Evasion Report 2024 dell’EU Tax Observatory stima che il 25% della ricchezza finanziaria offshore resti completamente non tassata. Segnaliamo questo atlante interattivo sulle varie tipologie di elusione fiscale nel mondo.

Di chi è la colpa

Il 43% di queste perdite proviene da soli otto paesi: Australia, Canada, Israele, Giappone, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Regno Unito e Stati Uniti. Al momento della pubblicazione del report del Tax Justice Network questi paesi si erano opposti alla recente Convezione fiscale delle Nazioni Unite, ma ci torniamo dopo.

In particolare, circa i due terzi di quei 492 miliardi derivano da multinazionali che trasferiscono i profitti all’estero. Questa elusione è particolarmente grave perché compromette tutta l’economia globale, essendo responsabili queste di un terzo della produzione economica, della metà delle esportazioni e di un quarto dell’occupazione mondiali. Ogni anno le multinazionali spostano 1,42 trilioni di dollari in paradisi fiscali. Il restante terzo è generato da privati cittadini, anche se la ricchezza di questi ultimi, dice il Tax Justice Network, resta ancora per la maggior parte nascosta alle autorità fiscali.

La ricchezza è mal distribuita

Il rapporto Oxfam uscito a inizio anno mette in luce un annoso problema del capitalismo moderno: la ricchezza è distribuita veramente in malo modo. Ci sono ancora 3,6 miliardi di persone, cioè il 44% dell’umanità, che vivono sotto la soglia di povertà definita dalla Banca Mondiale di 6,85 dollari al giorno. Addirittura una donna su dieci vive in povertà “estrema”, cioè con meno di 2,15 dollari al giorno (e sono 24 milioni in più rispetto agli uomini).

Oxfam riporta una serie di dati i cui ordini di grandezza si fanno quasi fatica a comprendere. Nel 2024 la ricchezza totale dei miliardari è aumentata di 2000 miliardi di dollari, ognuno dei quali ha visto la propria fortuna crescere di 2 milioni di dollari al giorno in media (100 milioni per i 10 più ricchi). Poi, quasi provocatoriamente, il rapporto scrive che «anche se avessi risparmiato 1000 dollari al giorno sin dalla comparsa dei primi esseri umani, 315.000 anni fa, non avresti comunque accumulato quanto uno dei dieci miliardari più ricchi». Basta fare la moltiplicazione.

Le due ingiustizie forse più eclatanti sono che, nel 2023, l’1% più ricco nel Nord del mondo ha ricevuto 363 miliardi di dollari dal Sud del mondo attraverso il sistema finanziario. Inoltre, il 60% della ricchezza accumulata dai “super-ricchi” non proviene da attività imprenditoriali, ma da eredità, clientelismo, corruzione e posizioni di monopolio.

Il suggerimento è obbligatorio: «se uno qualsiasi dei 10 miliardari più ricchi perdesse il 99% della propria ricchezza, resterebbe comunque miliardario». Visto che la matematica non è un’opinione, significa che queste persone non posseggono i miliardi, ma le centinaia di miliardi.

Una tassa sui ricchi

È sempre il Tax Justice Network (TJN) a suggerire un’imposta patrimoniale “leggera” sullo 0,5% delle famiglie più ricche del mondo (in media in ogni paese questa percentuale possiede un quarto della ricchezza nazionale). L’aliquota potrebbe anche essere modesta, tra l’1,7% e il 3,5%, ma questo permetterebbe di raccogliere più di 2000 miliardi di dollari all’anno, sull’esempio di quanto già fatto in Spagna. E sarebbe da applicare sulla parte più alta del patrimonio (come gli scaglioni IRPEF). Quindi, se chi ci legge è nello 0,5% più ricco può stare tranquillo che le ville con la piscina non vanno perdute (poi può anche donare a Scienza in rete, se vuole).

Ricorda TJN che questa cifra coprirebbe più del doppio del necessario per finanziare i paesi in via di sviluppo nella lotta al cambiamento climatico. Per altro, l’introduzione di queste imposte non causerebbe i temuti esodi dei milionari: solo lo 0,01% delle famiglie più ricche di Norvegia, Svezia e Danimarca ha cambiato residenza dopo una simile tassazione, per esempio.

Inoltre, come spiega Oxfam, la ricchezza estrema è anche inefficiente, perché produce investimenti speculativi invece che investimenti nell’economia reale. Tuttavia non dovrebbe essere così difficile contenere questa ricchezza, perché, ricorda Oxfam, «quasi tre quarti dei milionari intervistati nei Paesi G20 vogliono più tasse sui patrimoni, e oltre la metà ritiene che la ricchezza estrema sia una “minaccia per la democrazia”».

Equità ecologica

«Tali risorse potrebbero essere impiegate per ridurre la pressione fiscale per il 93 per cento dei contribuenti o, a parità di pressione fiscale, per aumentare la spesa per sanità, istruzione, università e gli investimenti pubblici», dicono su La Voce Info Roventini e altri economisti a sostegno di un’imposta sui ricchissimi. E tra l’altro, lo stesso PNRR prevede riforme fiscali di recupero da evasione ed elusione proprio per agevolare politiche di investimento su ricerca, ambiente, innovazione, ecc.

In generale, sarebbe utile una riforma complessiva del fisco che tenga conto anche della revisione di sussidi inopportuni, cioè quelli ambientalmente dannosi. Il think tank ECCO nel 2021 scriveva come la fiscalità possa essere modificata per supportare la transizione ecologica, e cioè in modo da incentivare comportamenti ambientalmente virtuosi e disincentivare quelli dannosi: con le misure proposte si stima il recupero di qualche decina di miliardo di euro all’anno.
Per altro, se la transizione ecologica va fatta «senza lasciare indietro nessuno», ridurre disuguaglianze di reddito tramite il controllo di elusione/evasione e tasse su grandi capitali garantirebbe anche una maggiore equità sociale e una capacità economica di assorbimento degli shock climatici più diffusa.

Altre raccomandazioni

Tra le altre raccomandazioni del rapporto Global Tax Evasion Report 2024 dell’EU Tax Observatory, c’è il rafforzamento dell’imposta minima globale del 15% sui profitti delle multinazionali (che è stata indebolita dopo averla introdotta nel 2021). In particolare, si chiede di portarla al 25% eliminando le possibili scappatoie che favoriscono concorrenza fiscale. Serve rafforzare lo scambio automatico delle informazioni bancarie, che in meno di dieci anni ha già ridotto di tre volte l’evasione fiscale offshore – e questo è già un grande risultato. Infine, si segnala anche la creazione di un registro globale dei patrimoni.

L’obiettivo globale deve essere lo stesso che è presente nel dibattito economico europeo: serve un’unione fiscale.

La Convenzione fiscale delle Nazioni Unite

Alle Nazioni Unite è emersa la necessità di istituire una Convezione sulla cooperazione fiscale e a febbraio di quest’anno si è tenuta la prima sessione di negoziati.

Tra i temi discussi c’è ovviamente la già citata tassazione delle élite globali, così come la proposta di ottenere nuove entrate fiscali dalla tassazione sui combustibili fossili, sull’aviazione e sulla navigazione, in modo da allineare la fiscalità globale agli altrettanto globali obiettivi ambientali. Stesso discorso per una tassazione sui servizi digitali, a cui però si oppongono gli Stati Uniti.

Si è parlato poi di definire uniformemente cosa si intende con “flussi finanziari illeciti” e di introdurre standard più severi contro gli intermediari che facilitano questi flussi; di conseguenza anche la proposta di un registro globale dei beni è stata oggetto di discussione.

Ci sono due argomenti procedurali importanti su cui i delegati hanno discusso che mettono in luce l’asimmetria Nord-Sud del mondo. Il primo è la risoluzione delle controversie fiscali: le dispute fiscali transfrontaliere sono sempre più frequenti e gli attuali strumenti per risolverle sono poco utilizzati anche a causa di un costo elevato per i paesi poveri. E poi c’è il problema dei problemi che riguarda probabilmente ogni consesso sovranazionale: decisioni all’unanimità o a maggioranza? Il Gruppo Africano chiede la maggioranza per garantire azioni più rapide ed evitare ostruzionismi, i paesi ricchi come l’Unione Europea preferiscono il consenso perché tutelerebbe le sovranità nazionali e faciliterebbe l’implementazione delle decisioni. Per ora si è adottata una soluzione ibrida che vede maggioranza dei due terzi per questioni sostanziali e maggioranza semplice per questioni procedurali.

Dati per singoli paesi