Il Salento è tra gli ultimi posti al mondo in cui uno si aspetterebbe di trovare dei lupi. Coste intasate da orde di turisti esagitati, distese di uliveti arsi dal sole, elevata antropizzazione del territorio, pressoché totale assenza di ungulati selvatici e solo rari fazzoletti di bosco. Eppure erano proprio due lupi quelli che una fototrappola ha ripreso affacciarsi sul mar Ionio una mattina d’inverno del 2021. Probabilmente gli stessi che, qualche mese dopo, un’altra fototrappola ha sorpreso a ispezionare una tana di tasso, forse alla ricerca di un luogo dove dare alla luce i loro piccoli—nel video in questione, la femmina della coppia era gravida. E chissà che non fossero proprio i loro piccoli i cinque lupacchiotti che si accalcavano davanti a una terza fototrappola nell’autunno successivo, annusandola e assaggiandola per cercare di capire cosa sia. Considerando il luogo nel quale avevo installato quella fototrappola—su un fico d’India, a meno di un chilometro da uno dei locali più affollati della bollente estate salentina—quei giovani lupi dovevano aver trascorso la loro infanzia scorrazzando nel fitto di una pineta, al ritmo dell’infrangersi delle onde e di Mambo Salentino. Nulla a che vedere con le selvagge e tranquille lande appenniniche.

Un video del fototrappolaggio del lupo in Salento, in cui si osservano anche dei giovani che “assaggiano” la fototrappola 

Per quanto assurdo possa sembrare, quindi, in Salento i lupi ci sono, tra l’altro da oltre un decennio. E grazie a una recente ricerca, iniziamo a saperne un po’ di più sulle loro strategie di adattamento.

Storia di una presenza, di una scomparsa e di un ritorno

A dire il vero, se si esclude il periodo che va dalla fine dell’800 ai primi anni ’10 del 2000, in Salento il lupo c’è sempre stato. Ce lo raccontano i ritrovamenti scheletrici provenienti dai tanti siti archeologici sparsi sul territorio e risalenti a migliaia di anni fa, così come le testimonianze scritte dei secoli scorsi. 

Come spiega Corradino Guacci, presidente della Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello”, nel 1811 il governo Murat promosse un’indagine sulle condizioni del Regno di Napoli. Nel documento che ne risultò, il redattore incaricato di occuparsi della Terra d’Otranto affermava che il lupo era presente «in abbondanza». E ancora nel 1871, lo zoologo Giuseppe Costa descriveva il lupo come un animale piuttosto comune sulle alture e nelle boscaglie della regione.

Già all’epoca del governo Murat e di Giuseppe Costa, il paesaggio salentino era prevalentemente occupato da terreni agricoli e privo di ungulati selvatici. Nonostante ciò, il lupo sembrava passarsela piuttosto bene, quanto meno fino all’inasprirsi della sua persecuzione, che ne causò la scomparsa. Ma come può un animale così schivo e con un fabbisogno giornaliero medio di carne che va dai due ai cinque chili, sopravvivere e prosperare in un ambiente tanto inospitale? Sempre Guacci spiega che un tempo i lupi della Murgia e della Basilicata raggiungevano il Salento al seguito delle greggi di pecore transumanti, provenienti dai rilievi abruzzesi e molisani. Per i lupi, queste greggi, composte da centinaia di migliaia di pecore, dovevano rappresentare una risorsa trofica importante. E oggi? 

Il lupo nelle coste salentine

«Quando i lupi sono tornati in Salento una decina d’anni fa vi hanno trovato risorse in abbondanza», spiega Giacomo Marzano, biologo coordinatore del Piano di monitoraggio del lupo nel Salento della Provincia di Lecce. «Gli allevatori salentini avevano perso l’abitudine di proteggere il bestiame dal rischio di predazione e per questo lo lasciavano spesso incustodito. Agli occhi dei lupi, gli allevamenti erano dei buffet a cielo aperto. Inoltre, la densità di volpi in Salento era molto alta, e i cani e i gatti randagi numerosi. E il lupo, si sa, è un animale estremamente adattabile e per niente schizzinoso». Marzano racconta che il numero di cani randagi in Salento si è ridotto a vista d’occhio dal ritorno del lupo. E quella che poteva essere una sua mera impressione sembra essere confermata da recenti analisi condotte sugli escrementi dei lupi. «I resti di pecore, cani e volpi erano quelli più abbondanti negli escrementi che abbiamo analizzato, con percentuali sul totale del 21,3%, 17,3% e 12%, rispettivamente». Oltre ai resti di queste tre specie, inoltre, gli escrementi di lupo ne contenevano molti altri, come quelli di uccelli, micromammiferi, gatti, nonché frutti e altri residui vegetali. «Riducendo la densità di volpi, il lupo ha svolto un importante servizio all’ecosistema salentino. La popolazione di volpi, infatti, rischiava di gravare troppo sulle specie predate, incluse quelle protette dalla Direttiva Habitat, come la testuggine palustre e il colubro leopardino. Inoltre, i lupi hanno quasi azzerato la popolazione di suidi rinselvatichiti che stava mettendo a repentaglio la vegetazione autoctona di un tratto di costa adriatica».

I risultati delle analisi sugli escrementi di lupo, insieme a quelli dell’analisi dei dati raccolti in dieci anni di monitoraggio, sono confluiti in una recente pubblicazione scientifica. Lo studio, coordinato da Giacomo Marzano, ha coinvolto il gruppo di ricerca guidato da Stefano Filacorda, dell’Università degli Studi di Udine. «Abbiamo analizzato i dati raccolti tra il 2014 e il 2024 su investimenti stradali, avvistamenti e predazioni, insieme alle migliaia di immagini ottenute con le fototrappole nello stesso periodo», spiega Lorenzo Frangini, ricercatore dell’Università di Udine. «Così facendo, abbiamo notato che i lupi sembrano avere colonizzato le aree costiere, meno disturbate dall’essere umano e ricche di vegetazione in grado di fornire riparo, per poi occupare le aree più interne e antropizzate in un secondo momento, probabilmente perché le coste non offrivano ulteriore spazio per le nuove generazioni». E, come emerge dai dati, l’espansione dell’areale del lupo nell’entroterra ha portato con sé un aumento degli investimenti, causati dalla fitta rete stradale. «Il numero di investimenti è passato da tre, nel periodo compreso tra il 2015 e il 2019, a 19 nel periodo compreso tra 2020 e 2024», specifica Frangini.

Infine, il fototrappolaggio ha fornito i primi indizi sugli adattamenti comportamentali del lupo nel territorio salentino. Per esempio, dallo studio è emerso come i lupi siano più attivi nelle ore notturne, verosimilmente per evitare l’incontro con gli esseri umani, più attivi di giorno.

Ma cosa ci si aspetta per il futuro? «Che la popolazione di lupi diminuisca e si stabilizzi al diminuire delle risorse a disposizione sul territorio», risponde Marzano. Il quale, quindi, ritiene che il lupo farà sempre più affidamento sulle prede selvatiche, finché le risorse non saranno più sufficienti al sostentamento dell’attuale numero di esemplari che, di conseguenza, calerà. E qualcosa, secondo Marzano, sta già cambiando. «Il numero di predazioni a danno degli animali domestici sta calando, perché gli allevatori hanno smesso di lasciare le pecore incustodite. Le persone si stanno adattando alla presenza del lupo, e il lupo si adatterà a sua volta». Quindi, sebbene il recente declassamento del regime di protezione del lupo possa far pensare il contrario, le prospettive per una convivenza pacifica con il lupo sembrano esserci anche in Salento, come nel resto d’Italia. E, ancora una volta, il concretizzarsi di queste prospettive è anche nostra responsabilità.

Una nota personale. Quando le voci sulla presenza di lupi in Salento giunsero a mio nonno, ex-cacciatore, profondo conoscitore del paesaggio salentino, all’epoca novantenne, lui le accolse con forte scetticismo. Liquidò la faccenda con un lapidario «Nu su animali nosci» (non sono animali nostri), escludendo la possibilità che i lupi potessero davvero far parte della fauna locale. Ironia della sorte, quando mio nonno morì, il suo necrologio apparve su un giornale del luogo, accanto a un articolo che annunciava il primo avvistamento di lupi nelle campagne del paese dove lui era nato e vissuto. Il lupo, d’altronde, è così: una specie adattabile al di là delle aspettative.