Pubblicato il 13/08/2025Tempo di lettura: 3 mins
Qualcuno certamente ricorda Piccolo è bello (il sottotitolo era Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa). Pubblicato nel 1973, un anno dopo I limiti della crescita del Club di Roma e nel mezzo della crisi petrolifera, era una raccolta di saggi che anticipava molti temi ambientalisti dei decenni successivi. Il titolo è rimasto il simbolo di un’economia attenta all’ambiente e ai limiti posti dal rispetto della natura.
L’autore, Ernst Friedrich Schumacher, non poteva sapere che mezzo secolo dopo il piccolo, impersonato dalle nanoplastiche, avrebbe rappresentato uno dei più gravi pericoli per l’ambiente e la salute.
Mi riferisco alle nanoplastiche, che risultano dal decomporsi con il tempo della microplastica, i frammenti di dimensioni inferiori a 5 mm in lunghezza (più piccoli di un chicco di riso). Le nanoplastiche hanno la dimensione di un micrometro (un milionesimo di metro) e sono visibili solo con appositi strumenti di precisione.
Già l’anno scorso era stato lanciato un allarme da ricercatori della Columbia University per la presenza di grandi quantità di nanoplastiche nelle bottiglie in plastica di acqua minerale: mediamente una bottiglia conteneva 240.000 piccoli frammenti di sette diversi tipi di plastica, il 9% costituito da nanoplastiche (l’argomento è stato ripreso da Ilaria Broglio in un articolo pubblicato oltre un anno dopo, Perché non dovresti più bere acqua in bottiglia: scatta l’allarme, 23 marzo 2025).
Ma l’inquinamento da nanoplastica è ben più ampio e invasivo di quello delle bottiglie di acqua minerale. Qualche anno fa ci si è infatti accorti che dell’enorme porzione della plastica prodotta a livello globale a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso e finita negli oceani (sotto forma di rifiuti trasportati dai fiumi, da fenomeni atmosferici, da sversamenti dalle navi o direttamente abbandonati sulle coste) meno della metà era presente nell’ambiente. Si è così messa in moto una gara per risolvere il mistero della plastica scomparsa.
Una prima indicazione è giunta nel 2020, allorché due scienziati hanno accertato che le indagini condotte in precedenza avevano omesso di considerare le microplastiche e hanno ipotizzato che l’insieme di questi frammenti compensasse la quantità di plastica scomparsa.
Ma non era la microplastica la soluzione del mistero: la loro quantità era infatti largamente insufficiente per compensare l’ammontare di plastica mancante. Solo quest’anno due ricerche hanno svelato l’arcano.
Una prima ricerca, pubblicata ad aprile 2025, ha osservato che le indagini precedenti avevano esaminato solo lo strato superficiale degli oceani: non avevano preso in considerazione i frammenti di microplastica di alcuni millimetri di spessore che si trovavano al di sotto della superficie. Ma anche così, tenendo conto della microplastica non superficiale, i conti non tornavano.
La seconda, risolutiva ricerca è stata condotta da un gruppo di scienziati di centri di ricerca olandesi e tedeschi. A bordo di una motonave hanno percorso un ampio tratto dell’Oceano Atlantico dalle isole Azzorre fino al nord dell’Europa raccogliendo campioni d’acqua a varie profondità e filtrando tutte le particelle più grandi di un micrometro, quindi tutta la microplastica. Il sorprendente risultato, reso noto in un articolo dello scorso 9 luglio, è che nell’Oceano Atlantico ci sono almeno 27 milioni di tonnellate di nanoplastiche. Questo significa che, finora ignorate, le nanoplastiche sono la componente più consistente dell’inquinamento da plastica degli oceani (sulla vicenda si veda anche l’articolo di Elisabetta Intini su Focus).
È stato così risolto il mistero della plastica scomparsa: il piccolo non è così bello.
Inadempienti subito: le nomine NITAG e il rischio della pseudoscienza
Pubblicato il 11/08/2025
Sembra che il mordace sole d’agosto abbia una certa fantasia nel fare i suoi danni. Così, il giorno 5, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha rinnovato il Gruppo Tecnico Consultivo Nazionale sulle Vaccinazioni, siglato NITAG, ma tra le 22 persone scelte (auspicabilmente turandosi il naso) ha “catturato” anche Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite, noti nel nostro passato come fieri sostenitori dell’approccio omeopatico e per critiche alle politiche vaccinali, anche quando la decisione riguardava vaccini obbligatori per i bambini.