In un articolo del 17 luglio, il New York Times informa che l’Amministrazione Trump, con il bilancio 2026, intende tagliare i fondi a tutte le attività che riguardano il clima della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), l’Agenzia Federale che si occupa a scala nazionale delle previsioni meteorologiche, del monitoraggio del cambiamento climatico e dello studio del mare.
Fra i tagli previsti, la comunità scientifica internazionale è particolarmente preoccupata per la prevista chiusura della Stazione di Mauna Loa, nelle isole Hawaii nel cuore dell’Oceano Pacifico a quasi 3.400 metri di altitudine dove, da più di sessant’anni, viene misurata con continuità la concentrazione del diossido di carbonio (CO₂, comunemente riferito come anidride carbonica) nell’atmosfera, fornendo i dati alla base della moderna scienza del clima.
La storia della stazione di Mauna Loa inizia nel 1958, grazie al lavoro visionario di Charles David Keeling, scienziato della Scripps Institution of Oceanography, che installò in quel luogo remoto e incontaminato il primo strumento per la misura in modo continuo di CO₂ atmosferico. Keeling scelse Mauna Loa a causa appunto dell’isolamento geografico, dell’altitudine e della stabilità meteorologica che rendevano il luogo ideale per registrare le condizioni dell’atmosfera “di fondo”, non influenzate da fonti locali di inquinamento.
Qui Keeling notò per la prima volta un lento ma costante aumento della concentrazione di CO₂ e il grafico che negli anni ne derivò, la celebre “Curva di Keeling”, è oggi considerato uno dei documenti scientifici più influenti del XX secolo: una linea ascendente che racconta, senza bisogno di parole, la progressiva alterazione della composizione chimica dell’atmosfera terrestre che è alla base del riscaldamento climatico.
Andamento della concentrazione del diossido di carbonio in atmosfera, curva di Keeling, misurato dal 1958 ad oggi nella stazione di Mauna Loa. Dopo un periodo iniziale nel quale Keeling stesso condusse i rilevamenti, la conduzione delle operazioni venne poi, dai primi anni ’60, affidata alla NOAA.
Le oscillazioni della curva rossa rappresentano le fluttuazioni stagionali della concentrazione di CO2 atmosferico. Durante la primavera e l’estate, le piante dell’emisfero nord (dove si trova circa il 70–80% della vegetazione terrestre) attivano la fotosintesi, assorbendo grandi quantità di CO₂ dall’atmosfera utilizzandola per la loro crescita strutturale e questo ne fa diminuire la concentrazione; in autunno e inverno invece, l’attività fotosintetica si riduce al minimo, la vegetazione entra in riposo, perde le foglie e la materia organica in decomposizione rilascia nuovamente CO₂ con un conseguente nuovo aumento della sua concentrazione.
La tendenza generale di crescita della CO2, rappresentata dalla curva nera, è causata invece dalle emissioni antropiche: utilizzo di combustibili fossili, deforestazione, agricoltura intensiva, ecc.
Nel 1958, la concentrazione di CO₂ in atmosfera era di circa 315 parti per milione (ppm). Oggi quel valore sta rapidamente raggiungendo 430 ppm. In termini geologici, un aumento simile in un intervallo di tempo tanto breve costituisce un’anomalia senza precedenti. Studi paleoclimatici condotti mediante carotaggi in Antartide suggeriscono che l’atmosfera terrestre non aveva livelli così elevati di CO2 da almeno tre milioni di anni, quando le calotte polari erano drasticamente ridotte e il livello del mare era fino a venti metri più alto di oggi.
Una folle ideologia antiscientifica contro gli osservatori climatici
L’importanza delle osservazioni condotte a Mauna Loa non sta solo nella sua lunga storia di misure, ma anche nella continuità e nell’affidabilità dei dati prodotti. Questi dati sono infatti alla base dei modelli climatici utilizzati in tutto il mondo, inclusi quelli dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite per la valutazione dello stato del clima), delle politiche di mitigazione e delle previsioni che guideranno le strategie di adattamento al cambiamento climatico per i decenni a venire. Interrompere anche solo per un breve periodo questa sequenza, o metterne a rischio l’affidabilità, significherebbe creare una enorme danno per la nostra capacità di leggere e prevedere il clima globale.
Già durante la prima presidenza Trump, la scienza del clima fu messa ripetutamente sotto attacco. Il Presidente, noto per le sue posizioni negazioniste, definì il cambiamento climatico “una bufala” e intraprese una sistematica demolizione delle infrastrutture ambientali a livello federale, con l’esplicita intenzione di ridurre l’attenzione sul cambiamento climatico.
In un momento storico come l’attuale, in cui gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più visibili – dalle ondate di calore agli eventi meteorologici estremi, dalla fusione dei ghiacciai all’innalzamento del livello dei mari – non possiamo permetterci il lusso di perdere l’operatività di infrastrutture chiave come la stazione di Mauna Loa. Mantenerla in funzione non è solo una scelta scientifica, è un atto di responsabilità civile.
Mauna Loa e Monte Cimone, le sentinelle cel clima
Vorrei a questo punto di accendere un faro, per una volta positivo, sul nostro Paese. Infatti, a pochi è noto che la stazione con la seconda più lunga serie storica di misura di CO2 dopo Mauna Loa è l’Osservatorio di Monte Cimone, posto a 2.165 metri di quota nell’Appennino modenese.
Qui dal 1979 il Centro Aeronautica Militare di Montagna (CAMM) misura, in collaborazione e con le stesse tecnologie della NOAA, la concentrazione di CO2 in atmosfera. A queste misure si sono aggiunte dal 2018, in stretto accordo con il CAMM, le misure dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISAC-CNR). Il grafico della Fig. 3 riporta l’andamento sovrapposto delle misure di Mauna Loa e di Monte Cimone che seguono lo stesso andamento di crescita della concentrazione di CO2 in atmosfera.
Sovrapposizione degli andamenti temporali della concentrazione di CO2 in atmosfera a Mauna Loa e a Monte Cimone.
La figura riporta anche un’indicazione dell’aumento percentuale della concentrazione di CO2 nel tempo e si vede come questo aumento stia sempre più accelerando, dagli 0.7 ppm/anno degli anni ’60 ai 2.8 ppm/anno attuali che riflettono le sempre maggiori emissioni causate dalle attività antropiche. Da qui derivano i fenomeni estremi sempre più frequenti e intensi collegati al riscaldamento del clima.
Sia Mauna Loa che Monte Cimone fanno parte di un ampio network di stazioni a livello globale nell’ambito del Global Greenhouse Gas Watch (G3W), coordinato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), che operano da vere e proprie “sentinelle del clima”. Questo network, del quale fanno parte anche altre tre stazioni climatiche della NOAA a rischio chiusura (Alaska, Samoa e Polo Sud), è una delle basi su cui poggiano le politiche, le strategie e le scelte che possono garantire un futuro vivibile alle prossime generazioni. Creare una discontinuità anche di una sola delle stazioni che costituiscono il network mondiale di misura di CO2 e degli altri gas a effetto serra che causano il riscaldamento del clima della Terra per motivi ideologici che non hanno alcuna valenza scientifica invia un messaggio politico devastante, oltre a indebolire gli sforzi per il contrasto al riscaldamento del clima e offrire un alibi a paesi, come purtroppo il nostro, che cercano di ritardare la transizione energetica necessaria per la mitigazione del riscaldamento climatico.