Le inchieste e i numerosi sequestri dei cantieri milanesi decisi dalla Magistratura chiudono definitivamente il trentennio della cancellazione dell’urbanistica in Italia.
La fase inizia nel 1992 con i primi provvedimenti che inaugurano la stagione della prevalenza degli interessi dei singoli proprietari rispetto all’interesse dell’intera comunità. Questa restaurazione proprietaria fu nascosta da slogan che si affermarono proprio in quegli anni: l’urbanistica aveva tempi troppo lunghi per essere al passo con le caratteristiche dell’economia che si andava affermando. La prevalenza dei fondi di investimento immobiliari non poteva tollerare “le lungaggini della burocrazia”.
La fase iniziò con un evento simbolico. L’allora ministro dei Lavori pubblici, Giuseppe Prandini, tolse la direzione ministeriale a Vezio De Lucia, esponente della migliore urbanistica riformista italiana, per sostituirlo con personaggi più accomodanti che inaugurarono la stagione della contrattazione: nacquero nel 1992 e 1994 i “programmi di riqualificazione” che hanno inaugurato la peggiore stagione degli interventi nella città. In questo modo si è consentito ai proprietari delle aree di realizzare proposte a prescindere dalle destinazioni dei piani urbanistici.
Ma il peggio doveva ancora arrivare. Nel 2008, nel pieno della crisi economica mondiale causata dai mutui subprime statunitensi, il governo allora guidato da Silvio Berlusconi inventò il “piano casa”, che consentiva senza alcun controllo pubblico di aumentare la volumetria degli immobili. Tutte le regioni italiane legiferarono in materia e ancora oggi si arriva senza fatica a ottenere aumenti di volumetria nella misura del 30, 40%. In questo modo sono stati demoliti importanti esempi di villini per costruire volgari palazzine e rendere più brutte le periferie storiche.
Di questa fase ci sono esempi in tutti i centri urbani italiani. Per la risonanza che ebbe, va segnalato il caso dei villini dei primi decenni del ‘900 di corso Trieste a Roma: alcuni di essi, prima dell’apposizione del vincolo da parte della Soprintendenza, sono stati demoliti e al loro posto sono state costruite anonime palazzine che hanno alterato per sempre il volto di quei luoghi.
Questa folle corsa ha poi trovato nella legislazione sulla “rigenerazione urbana” il grimaldello per continuare a violare le regole. Pressoché tutte le ragioni hanno legiferato per incentivare gli intervento sulla città costruita al di fuori di qualsiasi ragionamento urbanistico. Ogni intervento di ristrutturazione urbanistica era consentito a prescindere da ragionamenti più complessivi legati al contesto in cui ricadevano. Sono nati e continuano a nascere esempi di demolizioni e ricostruzioni in tessuti abitativi saturi che aumentano grazie agli incentivi volumetrici il numero dei piani o il cambio tipologico.
Nella gara a rendere più brutte le città hanno avuto un ruolo anche i piani urbanistici. Nel 2008 a Roma è stato approvato un piano regolatore che ha consentito di alterare, aumentandone i piani, l’edilizia ottocentesca esistente in pieno centro storico. È il caso di Palazzo Marignoli, del palazzo dell’Unione militare nella centralissima via del Corso. Con lo strumento dell’accordo di programma è stato consentito l’aumento di un piano a uno dei due splendidi edifici gemelli di piazza Esedra e di due piani nell’edificio del Poligrafico dello Stato di piazza Verdi.
Questo arrembaggio verso l’aumento delle superfici –e dunque dei valori immobiliari- a scapito della qualità e della bellezza delle città ha riguardato tutta Italia. Lungo le coste italiane alberghi e villaggi turistici hanno aumentato la loro capienza. Attraverso la procedura degli accordi di programma sono stati costruiti dappertutto centinaia di centri commerciali. Oggi ci si è accorti che questa bulimia economica ha portato alla desertificazione della rete del commercio minuto che teneva vive le nostre città e in particolare le periferie.
Il girone infernale trova infine a Milano il suo perfezionamento. Lì proprietari, immobiliaristi e finanza speculativa sono riusciti a far approvare con semplice segnalazione amministrativa (Scia) la trasformazione di modesti capannoni o di veri e propri ruderi in grattacieli, mentre è noto a tutti che la legislazione in materia obbliga alla redazione di piani urbanistici particolareggiati.
Con questa procedura pubblicistica si sarebbe consentito ai residenti degli edifici circostanti di poter intervenire, di far valere i propri diritti individuali e chiedere il rispetto di quelli collettivi, come gli standard urbanistici. E invece nulla. Tutto è avvenuto nel silenzio di una segnalazione amministrativa!
Così numerose famiglie milanesi che hanno visto scomparire il panorama che godevano dalle loro finestre sono state costrette a denunciare i fatti avvenuti alla Magistratura per veder tutelati i propri diritti. La Nemesi è finalmente intervenuta a ristabilire la giustizia ed è arrivato il punto di svolta nella legislazione nazionale.
Da un trentennio si è operato in ogni modo per consentire interventi a prescindere dalle regole urbanistiche. L’urbanistica è stata cancellata per lasciare spazio alla cultura delle deroga, dell’arbitrio, della mancanza di considerazione dei contesti in cui avvenivano gli interventi. I risultati di questa follia unica nel panorama europeo sono sotto gli occhi di tutti. Non ci sono soltanto le mostruose torri di Milano. Ci sono, come abbiamo visto, le aggressioni ai quartieri di villini signorili dei primi decenni del novecento. Ci sono le sopraelevazioni all’interno centri storici. Ci sono le continue aggressioni alle coste marine.
È venuto il momento di ristabilire le regole urbanistiche negli interventi sulla città costruita. Solo così possono essere tutelati i diritti di coloro che vivono in adiacenza del nuovo intervento. Solo così si può ristabilire il primato della bellezza perduta in trent’anni di deroghe e devastazioni.