Si è concluso il Giro d’Italia 2025, edizione numero 108, e il ventunenne messicano Isaac Del Toro, della squadra più forte e più ricca in corsa, non ne è stato il vincitore. Ha perso ingenuamente la maglia rosa sugli ultimi chilometri del percorso, facendo scaramucce con l’ecuadoriano Richard Carapaz secondo in classifica. Rivalità e campanilismi, anche tra latinoamericani, di cui ha beneficiato (meritatamente) il britannico Simon Yates. I conquistadores europei portano sotto il loro controllo il nuovo mondo del pedale (almeno fino al Tour de France). Egan Bernal, primo vincitore colombiano nella storia a vincere nel 2019 il Tour de France, è terminato settimo. Il suo connazionale Einer Rubio chiude all’ottavo posto, l’altro, Nairo Quintana venticinquesimo. Se si aggiunge il venezuelano Orluis Alberto Aular Sanabria Jefferson e i due Cepeda ecuadoriani che sono arrivati con alcune ore di ritardo: un latinoamerica ben presente in questo Giro di partenze e arrivi di maggio.
Come ravvicinate sono state altre quattro partenze di latinoamericani, dal 13 aprile al 23 maggio 2025, quelle di Vargas Llosa, di Papa Francesco, di “Pepe” Mujica e l’ultima di Sebastião Salgado che, in quanto perdite, non possono che far ritornare alla memoria Le vene aperte dell’America Latina, di Eduardo Galeano. Pubblicato per la prima volta nel 1971, è il racconto della storia dell’America Latina nella sua essenza: «La povertà dell’uomo come risultato della ricchezza della terra» è il titolo del primo capitolo. «La divisione internazionale del lavoro consiste nel fatto che alcuni paesi si specializzano nel guadagnare e altri nel perdere…» la prima frase del testo.
«Corren años de revolución, tiempos de redención», ci dice Galeano. Le disuguaglianze e le sopraffazioni continuano nel tempo senza interruzione (con modalità e da luoghi diversi) sin dall’arrivo delle caravelle di Colombo (oggi si usano altri mezzi e si invade non solo l’America Latina) così, di lotta contro l’ingiustizia sono (ancora) revolución e redención. La Striscia di Gaza, il Donbas, il Darfur, il Karen, sono alcuni dei territori e popoli vittime di conquista, di predoni stranieri od oligarchie a loro legati. L’Impero, potere sovrano, governa il mondo, amministra l’ordine, definisce la struttura. Le “vene aperte” sono quindi tante, perché tante sono le realtà dove i diritti umani vengono negati. Perù, Argentina, Uruguay e Brasile le nazioni dei quattro difensori latinoamericani dei diritti umani che se ne sono andati di recente.
Battetevi per qualunque ragione; battetevi tanto più ora che i duelli sono vietati, e che, appunto per questo, ci vuole doppio coraggio a battersi.
(Alexandre Dumas, I tre moschettieri)
Quattro nazioni che da pochi decenni hanno conquistato la democrazia dopo periodi di dittatura, anche militare: in Perù nel 2000, in Argentina nel 1983, in Uruguay e in Brasile nel 1984.
Il tratto distintivo che accomuna questi quattro moschettieri latinoamericani è quello di essersi adoperati nella vita per la garanzia dei diritti universali, per ridurre le disuguaglianze, per una vita migliore per tutti. Con modalità diverse e competenze diverse, culture e fedi diverse, come diverse erano le virtù cavalleresche di ciascuno, ma con una testimonianza simile, caratterizzata dalla perseveranza, dalla combattività, dalla fiducia.
Tutti e quattro maschi, e purtroppo non perché fossero latinoamericani che hanno intrapreso quel cammino di interpretare e provare a modificare la realtà complessa della condizione umana, quattro utopisti.
L’utopia è là nell’orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Cammino 10 passi e l’orizzonte corre 10 passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l’utopia? Serve per questo: perché io non smetta mai di camminare.”
(Eduardo Galeano)
Jorge Mario Pedro Vargas Llosa con i grandi affreschi dei primi romanzi a rappresentare il Perù in tutta la sua complessità, tra violenza, potere e ribellione, conducendo il lettore tra il dramma, il grottesco e la tragedia. «La letteratura racconta la storia che la storia scritta dagli storici non sa, né può, raccontare». Un assunto centrale del ricco filone della letteratura latinoamericana degli anni sessanta con narratori impegnati alla riscrittura del passato dal punto di vista dei vinti, nell’asserire i diritti civili e nel difendere le minoranze: «Al centro e intorno a tutto, sempre, lei: la libertà».
È tra questi Mario Vargas Llosa, uno dei massimi romanzieri e saggisti contemporanei, premio Nobel per la letteratura nel 2010 e premio Cervantes nel 1994, l’enfant prodige con il suo primo romanzo, La città e i cani, pubblicato nel 1963 a ventisei anni. Ultimo esponente di quel gruppo di autori che comprendeva Julio Florencio Cortázar, Guillermo Cabrera Infante, Gabriel García Márquez, Carlos Fuentes Macías, Augusto Roa Bastos.
Papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio), forse il Charles D’Artagnan tra i quattro, in quanto capo, forse non capitano, ma pontefice. Primo pontefice gesuita e primo proveniente dal continente americano, primo a scegliere il nome Francesco, ha dichiarato fin da subito la sua attenzione verso i più fragili, la povertà, l’umiltà e la cura per il creato (l’ambiente, il clima). In segno di vicinanza e sobrietà, non ha mai vissuto negli appartamenti papali. Con l’enciclica Laudato si’ del 2015, papa Francesco ha posto la crisi ecologica al centro della riflessione spirituale, scientifica e politica.
Così come il sentimento della misericordia in un Giubileo straordinario per un mondo più accogliente e compassionevole, prodigo verso la miseria altrui a prescindere dalla fede o nazionalità. Una miseria reale subita dalle vittime delle guerre, una miseria morale quella degli artefici. Sperare e adoperarsi per la pace è possibile e dovere di tutti, è stato uno dei suoi messaggi. «Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo… laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui»: dove i diritti umani sono negati.
Siano sempre più numerosi coloro che, senza far rumore, con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace.
(papa Francesco)
José “Pepe” Mujica era solito ripetere «un guerrigliero ha diritto e bisogno di riposo» così, dopo cinque anni di presidenza della Repubblica Orientale dell’Uruguay, nel 2015 si è messo a riposo nella sua umile chacra (casolare) de Rincón del Cerro alla periferia povera di Montevideo. La sua abitazione che mai aveva abbandonato, neppure durante la presidenza, andando al lavoro con il suo Maggiolino blu del 1987 e a volare in classe economica, decidendo di devolvere quasi il 90% del proprio stipendio mensile in beneficenza. Una pecora nera sempre e fino in fondo. Proveniva dalla guerriglia del Movimento di liberazione nazionale, Tupamaros. Aveva scontato 13 anni di galera dura con i quali ha pagato la sua militanza. L’orizzonte della sua politica era la felicità: «Lo sviluppo deve essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane». Una vita spartana, ma suprema come Emir Kusturica racconta in El Pepe, una vita suprema del 2018; un punto di riferimento e una figura amatissima dal suo popolo e non solo.
Quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per sé stessi io lo chiamo libertà.
(José “Pepe” Mujica)
Sebastião Salgado, un fotografo importante (come l’ha definito il suo amico e collega altrettanto importante Ferdinando Scianna) che, con abilità e sentimento, ha documentato, in un bianco e nero naturale e vivo, estetico ed etico, il cammino dei popoli verso la libertà. Un cammino accidentato e doloroso, vicino e non a distanza dei soggetti che ha fotografato: vittime, ma anche eroi di un doveroso riscatto. Ha raccontato la dignità e la bellezza della vita in ogni sua forma, mostrando anche i disastrosi effetti con cui l’Impero affligge l’umanità: le guerre con il genocidio dei Tutsi; le violenze e i soprusi dei lavoratori nella miniera aurifera di Serra Pelada; l’emarginazione di donne, anziani e bambini, di rifugiati, migranti o profughi in ogni parte del mondo; la distruzione dell’ambiente con l’uccisione dell’armonia tra natura, animali e popolazioni. L’umanesimo di Salgado, il suo lavoro e la sua vita trovano una narrazione sincera e condivisa ne Il sale della terra del 2014, nello sguardo di Wim Wenders, che è un fotografo ancor prima che un regista cinematografico, e del figlio Juliano. Il comunicato stampa, con cui l’Instituto Terra da lui fondato nel 1998 per la rigenerazione del suolo e il recupero della biodiversità locale, ha comunicato la sua definitiva partenza, ben riassume il suo percorso di fiducioso seminatore: «Sebastião è stato molto più di uno dei maggiori fotografi del nostro tempo. Insieme alla sua compagna di vita, Lélia Deluiz Wanick Salgado, ha seminato speranza dove c’era devastazione, facendo rifiorire l’idea che la restaurazione ambientale è anche un gesto profondo di amore per l’umanità».
A volte, noi dell’emisfero meridionale ci chiediamo perché voi del Nord pensiate di avere il monopolio della bellezza, della dignità, della ricchezza. L’Etiopia è un paese in crisi, dove la popolazione sta soffrendo così profondamente, eppure gli etiopi sono probabilmente tra le persone più belle e nobili al mondo. Non ha davvero senso andare là per negare questa realtà.
(Sebastião Salgado)
Le “vene aperte” con i corpi sanguinanti e straziati, distruzioni, malnutrizione, sono la quotidianità in oltre 50 nazioni in cui sono in corso conflitti, prevalentemente armati. I valori di libertà, uguaglianza e fraternità, importanti ed essenziali, sinora non sono risultati sufficienti per garantire un futuro di pace in cui il diritto internazionale fosse garante di vita e non sodale di violenze e distruzioni. “Tutti per uno, uno per tutti” lo si può declinare in “Tutti i diritti per tutti” come fine della ricerca di nuovi sentieri. Come quelli percorsi da Vargas Llosa, papa Francesco, “Pepe” Mujica e Sebastião Salgado, faticando e sudando, ma dando soddisfazioni e alimentando sogni anche tra i tanti tifosi che a bordo strada li hanno sostenuti.