Da settimane, la presenza del virus West Nile nelle cronache italiane è cresciuta sensibilmente, complici i nuovi casi segnalati in regioni finora parzialmente risparmiate dal fenomeno. L’ultimo bollettino pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità, che monitora costantemente la circolazione del virus, conta 89 casi umani confermati. Nove, invece, i decessi, con recente prevalenza in alcune aree del Centro e del Sud. Negli ultimi giorni, diverse infezioni sono state segnalate in Lazio, Puglia e Sardegna (per i dati aggiornati visitare la pagina “La sorveglianza dei casi umani di infezione da West Nile e Usutu virus”). Letti isolatamente, questi numeri possono preoccupare. Ma interpretati nel contesto di un sistema di sorveglianza ormai rodato, che da anni conosce a fondo il virus e le sue dinamiche, la situazione attuale non si configura come un’emergenza.

«Dal punto di vista scientifico, non c’è motivo di allarme», rassicura Fabrizio Montarsi, responsabile del Laboratorio di entomologia sanitaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). «Il virus West Nile circola in Italia in modo stabile dal 2008, con stagioni di maggiore o minore incidenza. Nel 2022, per esempio, abbiamo registrato quasi seicento casi umani, con diverse decine di decessi, concentrati soprattutto nei gruppi a rischio. Oggi i numeri sono ancora contenuti, e sebbene sia necessario mantenere un costante monitoraggio, parlare di emergenza generalizzata è fuorviante».

Diffusione e stabilizzazione del West Nile: vettori naturali, stagionalità e impatto climatico

Il virus West Nile, trasmesso dalle zanzare del genere Culex, è stato identificato per la prima volta in Italia nel 1998, nei cavalli. Dal 2008 al 2015 si assiste alla sua progressiva diffusione nell’essere umano, con casi particolarmente concentrati nelle regioni del Nord-Est. Negli anni successivi, il virus raggiunge molte altre aree del Paese: già durante la stagione estiva del 2018 se ne dimostra la circolazione in più di quaranta provincie italiane, comprese quelle di Roma e Latina.

Anche livello europeo, la diffusione del virus West Nile è ampia. Le analisi del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) notificano oltre 1.400 casi nel 2024, in almeno 19 Paesi europei e 212 regioni. Oltre all’Italia, si registrano regolarmente focolai estivi in Paesi come Grecia, Croazia, Spagna, Francia, Austria, Bulgaria e Slovenia.

Negli Stati Uniti il virus West Nile è presente nella popolazione dal 1999. Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) stima in totale oltre sessantamila casi umani, con 3134 decessi attribuiti a complicanze gravi.

Ogni anno, il picco delle infezioni si raggiunge nei mesi in cui le zanzare sono più attive, ovvero tra luglio e settembre. È proprio in piena estate, quando le giornate si allungano e le temperature restano alte anche di sera, che il virus trova le condizioni ideali per circolare. «Il meccanismo di diffusione del virus è legato ai suoi vettori naturali», aggiunge Montarsi. «West Nile arriva con gli uccelli migratori dall’Africa centrale, che svernano in aree umide, dove le zanzare abbondano. Queste, pungendo uccelli stanziali e successivamente l’uomo o i cavalli, permettono la circolazione locale del virus, che ha trovato condizioni ambientali idonee per stabilizzarsi. La presenza di ambienti umidi e temperature favorevoli stanno infatti contribuendo a far sì che il virus diventi endemico in gran parte del territorio nazionale».

A influenzare la modalità e i tempi di circolazione del virus West Nile è anche il cambiamento climatico, il cui impatto è sempre più rilevante nella diffusione di malattie tropicali in zone temperate. «Con il riscaldamento globale, parlare di malattie “solo tropicali” è sempre meno realistico», spiega Montarsi. «L’aumento delle temperature allunga il periodo di attività delle zanzare già dalla primavera fino a inizio autunno, e modifica le rotte migratorie degli uccelli. Questo apre anche alla comparsa in Europa di altre malattie trasmesse da zanzare, come dengue e chikungunya, che hanno dinamiche diverse: la dengue, ricordiamo, si trasmette da uomo a uomo, tramite zanzara tigre, una specie ancora più dipendente dal clima».

Sorveglianza, prevenzione e ricerca scientifica

Per affrontare questo quadro epidemiologico in evoluzione, esiste un sistema di sorveglianza che coinvolge istituzioni, centri di ricerca e presìdi territoriali. L’obiettivo è quello seguire da vicino la circolazione del virus e intervenire tempestivamente quando necessario. In Europa è l’European Centre for Disease Prevention and Control a coordinare la rete di sorveglianza epidemiologica delle malattie infettive: raccoglie dati aggiornati, agevola lo scambio di informazioni tra Paesi e aggiorna le linee guida per prevenire e controllare queste infezioni. In Italia, il lavoro è distribuito tra più attori. Gli Istituti Zooprofilattici analizzano i campioni biologici da vettori e animali, contribuendo a tracciare l’andamento del virus e a orientare gli interventi di sanità pubblica. Parallelamente, l’Istituto Superiore di Sanità guida la sorveglianza epidemiologica sull’uomo, mentre il Ministero della Salute definisce le strategie di prevenzione e coordinamento a livello nazionale.

Dal 2020 è in vigore il Piano nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle Arbovirosi, un documento quadro pensato per armonizzare metodi e tempi di intervento in tutto il Paese, non solo per il West Nile ma anche per altre malattie trasmesse da insetti. Il Piano stabilisce procedure condivise per individuare il virus e per attivare rapidamente misure locali in caso di necessità. Finora ha funzionato: ha permesso di ridurre il rischio di focolai estesi e di attivare tempestivamente campagne di disinfestazione mirate, oltre a iniziative di informazione rivolte alla popolazione. In assenza di un vaccino approvato per l’uso umano contro il virus West Nile, la prevenzione rimane infatti la strategia principale per limitarne diffusione e danni sanitari.

«Per ridurre il rischio di contagio, è fondamentale agire sul vettore, la zanzara», avverte Fausto Baldanti, professore di Microbiologia e Direttore Unità di microbiologia e virologia IRCCS Policlinico San Matteo, centro di riferimento per malattie infettive emergenti. «Le campagne di disinfestazione sono fondamentali, ma la prevenzione è una responsabilità condivisa con i cittadini, che sono garanti degli spazi privati». Gli accorgimenti da adottare sono semplici, ma fanno la differenza: eliminare i ristagni d’acqua (anche nei sottovasi, dove le zanzare depongono le uova), usare repellenti e zanzariere, soprattutto la sera, e indossare abiti lunghi e chiari per ridurre le punture.

Sul fronte della ricerca, anche grazie ai fondi del PNRR e della Commissione Europea, l’Italia ha avviato progetti strategici nel campo delle malattie infettive trasmesse da artropodi. In particolare, l’Università di Pavia è capofila di due progetti dedicati alle infezioni emergenti, incluse quelle trasmesse da zanzare: InfAct, che coinvolge oltre 25 istituzioni (tra cui ISS e CNR) e punta a individuare nuovi bersagli molecolari e strategie di diagnosi e cura, e Inflame, che si concentra sui flavivirus come West Nile, Dengue, Zika, con l’obiettivo di produrre anticorpi monoclonali in grado di bloccare l’infezione.

Quadro clinico, gruppi a rischio e sicurezza delle donazioni

La buona notizia è che, nella stragrande maggioranza dei casi, l’infezione da West Nile passa inosservata o provoca solo sintomi lievi. Secondo le stime, circa l’80% delle persone infettate non sviluppa alcun disturbo, mentre nel restante 20% compaiono sintomi simili a quelli di un’influenza, come febbre, spossatezza, e dolori muscolari. Meno dell’1% dei casi evolve in forme più gravi, le cosiddette neuro-invasive, che colpiscono il sistema nervoso centrale e possono causare danni seri o addirittura mettere a rischio la vita. In questi casi è fondamentale un intervento medico tempestivo. «L’età è uno dei fattori che più incidono sull’evoluzione della malattia», spiega Baldanti. «Le persone anziane sono più esposte, perché con l’avanzare dell’età il sistema immunitario diventa meno efficiente. Ma anche chi ha già un sistema immunitario indebolito, per esempio dopo un trapianto, o in caso di terapia con farmaci immunosoppressori come i corticosteroidi, corre un rischio maggiore di sviluppare complicanze».

Poiché il virus, nella maggior parte dei casi, circola nell’organismo in forma asintomatica, esiste il rischio che un donatore di sangue lo trasmetta inconsapevolmente. Per questo, uno degli aspetti più critici emersi finora, soprattutto per i soggetti più vulnerabili, riguarda la sicurezza delle donazioni. «Per minimizzare questo rischio, l’Italia ha adottato un sistema di screening molecolare obbligatorio nelle zone in cui la circolazione del virus è accertata», conclude Baldanti. «Le sacche di sangue vengono sottoposte a test specifici per identificare la positività, e i donatori asintomatici o che sono stati potenzialmente esposti vengono esclusi temporaneamente dalla donazione». Il test utilizzato si chiama NAT, acronimo di Nucleic Acid Testing, e permette di individuare il materiale genetico del virus anche in assenza di sintomi. Lo screening è attualmente obbligatorio nelle 31 province italiane in cui è accertata la circolazione del West Nile e rappresenta un presidio essenziale per la sicurezza trasfusionale. In una nota diffusa dal Centro Nazionale Sangue, la direttrice Luciana Teofili dichiara: «Il sistema di sorveglianza epidemiologica dei donatori è tarato ed efficace, tanto che nessun paziente italiano è stato contagiato dal West Nile Virus con una trasfusione».