L’Unione Europea ama definirsi paladina della sicurezza alimentare, della sostenibilità ambientale e della tutela dei produttori.
Ma la realtà che emerge dal mercato dell’olio d’oliva racconta una storia diversa: mentre i contadini europei vengono schiacciati da regole, vincoli e burocrazia, il mercato viene progressivamente invaso da olio tunisino a basso costo, prodotto secondo standard che non sempre coincidono con quelli richiesti ai produttori UE.

Il recente intervento del governo tunisino, che ha fissato un prezzo minimo dell’olio d’oliva per sostenere il proprio export, rischia di amplificare una distorsione già evidente: l’Europa controlla tutto… tranne ciò che entra da fuori.

La Tunisia fissa il prezzo dell’olio: un’arma commerciale

Con un raccolto particolarmente abbondante per la stagione 2025/26 e difficoltà nell’export verso gli Stati Uniti, la Tunisia ha deciso di intervenire direttamente sul mercato fissando un prezzo di riferimento per l’olio d’oliva alla vendita in frantoio.

Tradotto in euro, il prezzo di uscita si aggira intorno ai 3.150 euro a tonnellata, un valore estremamente competitivo rispetto ai costi medi di produzione di Italia, Spagna e Grecia, dove il rispetto delle normative UE rende impossibile scendere sotto certe soglie.

Il risultato è un afflusso di olio estero che esercita una pressione al ribasso sui prezzi europei, mettendo in ginocchio i produttori locali.

L’UE iper-regola i suoi agricoltori, ma non il mercato globale

Gli agricoltori europei sono sottoposti a un sistema di regole sempre più stringenti: limiti sui fitofarmaci, obblighi ambientali, tracciabilità, certificazioni, condizionalità della PAC.

Tutto questo ha un costo. Un costo che non viene applicato allo stesso modo ai prodotti importati.
Ed è proprio questa asimmetria a generare rabbia e proteste.

Non a caso, negli ultimi mesi,
le proteste degli agricoltori europei davanti alle sedi UE
hanno fatto il giro dei media: trattori in piazza, letame davanti ai palazzi istituzionali, strade bloccate. Un segnale inequivocabile di un settore al collasso.

Secondo molte associazioni agricole, l’attuale
Politica Agricola Comune (PAC)
non tutela chi produce davvero, ma favorisce grandi flussi commerciali e accordi internazionali a scapito delle filiere locali.

Il paradosso dell’olio d’oliva: qualità europea, concorrenza sleale

L’olio d’oliva europeo è tra i più controllati al mondo. Eppure, il mercato UE consente l’ingresso di grandi quantità di olio importato, spesso destinato a essere:

  • miscelato con oli comunitari
  • raffinato e rietichettato
  • venduto come prodotto “conforme” al mercato europeo

Secondo diverse analisi sul commercio agroalimentare,
le importazioni agroalimentari nell’UE
crescono più rapidamente della capacità di controllo effettivo, creando un serio problema di concorrenza sleale.

Il rischio non è solo economico, ma anche culturale e sanitario: standard diversi producono qualità diverse, ma il consumatore finale raramente ha gli strumenti per capirlo.

Chi ci rimette davvero?

Alla fine di questa catena, a perdere sono sempre gli stessi:

  • gli agricoltori europei, schiacciati da costi insostenibili
  • i piccoli produttori, esclusi dal mercato globale
  • i consumatori, che credono di acquistare qualità europea

La domanda è ormai inevitabile:
ha senso continuare a iper-regolare l’agricoltura europea se poi il mercato viene lasciato senza difese?


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